Il British Museum riscopre Pompei
Il British Museum riscopre Pompei
Luigi Mosca
Corriere del Mezzogiorno 17/3/2013
Luigi Mosca
Corriere del Mezzogiorno 17/3/2013
Roberts, il curatore della grande mostra: attesi 400 mila visitatori
Per la prima volta nella storia, gli scavi di Pompei e il British Museum, due tra i siti culturali più importanti al mondo, si mettono insieme per un evento.
Accade a quasi tre secoli dal loro avvio, avvenuto quasi contemporaneamente intorno al 1750: tra fregi del Partenone, steli egizie, statue babilonesi, e tante note meraviglie, il museo londinese si appresta a ospitare una mostra dal titolo «Life and Death at Pompeii and Herculaneum», vita e morte a Pompei ed Ercolano. La mostra, che si inaugura il 28 marzo e resterà aperta per sei mesi, comprende circa trecento reperti, tra statue, utensili e molto altro ancora. Verranno esposti pezzi mai mostrati al pubblico, ad esempio mobili in legno ricoperti con pannelli d'avorio, scoperti negli ultimi anni in quella che fu la spiaggia di Ercolano. La mostra-spettacolo propone poi una riproduzione di una residenza pompeiana-tipo, allestita al centro del museo, nel grande salone di lettura vittoriano sormontato da una cupola. L'evento sta destando grande attesa Oltremanica, come testimoniano i servizi che vi hanno dedicato la Bbc e i principali quotidiani britannici. Ne abbiamo parlato con Paul Roberts, responsabile delle collezioni romane del British Museum e curatore di questa promettente mostra.
Perché proprio adesso avete deciso di portare Pompei ed Ercolano a Londra?
«Al momento registriamo un notevole interesse del pubblico per l'antica Roma, ma l'ultima grande mostra su questa civiltà ospitata dalla nostra capitale risale a più di venti anni fa, e non si tenne al British Museum. Quest'anno, sia da parte nostra che della Sovrintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, si sono create le condizioni giuste».
Pompei ed Ercolano sono citate alla pari nel titolo della mostra.
«Sì, ed è una scelta ben precisa. Noi vogliamo comunicare che Pompei ed Ercolano devono essere lette insieme. Soltanto mettendo insieme le diverse categorie di reperti ritrovate nei due siti, si può leggere la storia completa di queste straordinarie città. Ai giornalisti inglesi che mi chiedono di questo nostro progetto, io chiedo di dare pari visibilità alle due realtà. E poi, li prego di raccomandare ai loro lettori un soggiorno a Napoli piuttosto che a Sorrento, che piace tanto ai miei connazionali.
Visitare il Museo archeologico è d'obbligo per i turisti, e d'altronde, dalla mia sensazione personale, il centro di Napoli non è più pericoloso di quello di Londra».
La vostra mostra si presenta con tutte le caratteristiche del grande evento.
«Certo, è una delle mostre più durevoli mai organizzate dal British Museum. Abbiamo puntato molto su questo progetto, ospitandolo in uno dei nostri spazi più belli, la Round Reading Room. Contiamo di attirare tra i 300mila e i 400mila visitatori per questo evento. Ci auguriamo che, se raggiungeremo questo obiettivo, la cosa avrà forti ripercussioni positive per il turismo in Campania».
Qual è la filosofia che vi ha orientato, nella scelta dei reperti da esporre?
«Non abbiamo voluto ritrarre la Roma imperiale dei gladiatori e della grandezza monumentale, ma piuttosto la vita quotidiana, anche minuta. Nella Round Reading Room abbiamo ricreato un ambiente domestico, arredandolo con i preziosi reperti che ci ha prestato la Sovrintendenza, senza la cui collaborazione questo progetto non sarebbe ovviamente stato possibile, visto che l'ottanta percento degli oggetti in mostra proviene da questo ente. Saranno esposti reperti mai mostrati al pubblico, tra cui credenze e cassettoni, panche da giardino, e perfino una culla che ancora oggi, a distanza di duemila anni da quando è stata fabbricata, può essere fatta dondolare. Vogliamo che i nostri visitatori, in qualche modo, si sentano a casa, e sulle pareti della nostra sala di lettura abbiamo riprodotto l'affresco che ritrae un paesaggio da giardino, scoperto nella pompeiana Casa del Bracciale d'oro».
Si legge che la mostra punta a smentire alcuni luoghi comuni che il mondo anglosassone nutre sulla civiltà romana.
«Dalle opere artistiche e dagli utensili esposti, viene fuori un ruolo degli schiavi, e delle donne, rivalutato rispetto all'immaginario comune sull'antica Roma: gli schiavi, gli ex schiavi e i loro discendenti, presi tutti insieme, rappresentavano oltre metà della popolazione, e d'altronde le donne avevano un ruolo di primo piano nella vita civile. Sono ritratte, infatti, mentre leggono, discutono negli edifici pubblici e fanno di conto, e dagli oggetti risulta che gestissero attività economiche».
Per preparare la mostra, lei avrà visitato di recente i due siti archeologici. Come li ha trovati?
«In entrambi i siti ho notato un'attività fervida, un'iniezione di energia, il fiorire di nuovi progetti. A Ercolano, come è noto, lo Herculaneum Conservation Project è finanziato da fondi privati. A Londra abbiamo abitualmente sponsorizzazioni private (anche questa mostra ha uno sponsor privato), però, per il mio ruolo, non sta a me commentare questo tipo di aspetti. So che spesso la gestione di Pompei, in particolare, viene criticata, ma c'è anche da dire che la città è molto più grande dell'antica Ercolano, e perciò più difficile da curare. Poi spesso ci focalizziamo sulle cattive notizie, come quelle dei crolli negli ultimi anni, mentre quelle positive non fanno altrettanto rumore: ad esempio la riapertura delle terme stabiane, che secondo me è stata un vero trionfo».
Se la sente di rivolgere consigli agli italiani, rispetto alla gestione dei beni archeologici in Campania?
«Credo sia importante il nuovo concetto che già oggi si sta affermando per la salvaguardia di Pompei. Gli interventi sugli edifici non devono riguardare soltanto aspetti separati, ma piuttosto essere condotti con una visione organica, affrontando allo stesso tempo la canalizzazione delle acque, il consolidamento della struttura, il restauro degli affreschi e dei mosaici, eccetera: sbagliato affrontare un aspetto per volta».
Per la prima volta nella storia, gli scavi di Pompei e il British Museum, due tra i siti culturali più importanti al mondo, si mettono insieme per un evento.
Accade a quasi tre secoli dal loro avvio, avvenuto quasi contemporaneamente intorno al 1750: tra fregi del Partenone, steli egizie, statue babilonesi, e tante note meraviglie, il museo londinese si appresta a ospitare una mostra dal titolo «Life and Death at Pompeii and Herculaneum», vita e morte a Pompei ed Ercolano. La mostra, che si inaugura il 28 marzo e resterà aperta per sei mesi, comprende circa trecento reperti, tra statue, utensili e molto altro ancora. Verranno esposti pezzi mai mostrati al pubblico, ad esempio mobili in legno ricoperti con pannelli d'avorio, scoperti negli ultimi anni in quella che fu la spiaggia di Ercolano. La mostra-spettacolo propone poi una riproduzione di una residenza pompeiana-tipo, allestita al centro del museo, nel grande salone di lettura vittoriano sormontato da una cupola. L'evento sta destando grande attesa Oltremanica, come testimoniano i servizi che vi hanno dedicato la Bbc e i principali quotidiani britannici. Ne abbiamo parlato con Paul Roberts, responsabile delle collezioni romane del British Museum e curatore di questa promettente mostra.
Perché proprio adesso avete deciso di portare Pompei ed Ercolano a Londra?
«Al momento registriamo un notevole interesse del pubblico per l'antica Roma, ma l'ultima grande mostra su questa civiltà ospitata dalla nostra capitale risale a più di venti anni fa, e non si tenne al British Museum. Quest'anno, sia da parte nostra che della Sovrintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, si sono create le condizioni giuste».
Pompei ed Ercolano sono citate alla pari nel titolo della mostra.
«Sì, ed è una scelta ben precisa. Noi vogliamo comunicare che Pompei ed Ercolano devono essere lette insieme. Soltanto mettendo insieme le diverse categorie di reperti ritrovate nei due siti, si può leggere la storia completa di queste straordinarie città. Ai giornalisti inglesi che mi chiedono di questo nostro progetto, io chiedo di dare pari visibilità alle due realtà. E poi, li prego di raccomandare ai loro lettori un soggiorno a Napoli piuttosto che a Sorrento, che piace tanto ai miei connazionali.
Visitare il Museo archeologico è d'obbligo per i turisti, e d'altronde, dalla mia sensazione personale, il centro di Napoli non è più pericoloso di quello di Londra».
La vostra mostra si presenta con tutte le caratteristiche del grande evento.
«Certo, è una delle mostre più durevoli mai organizzate dal British Museum. Abbiamo puntato molto su questo progetto, ospitandolo in uno dei nostri spazi più belli, la Round Reading Room. Contiamo di attirare tra i 300mila e i 400mila visitatori per questo evento. Ci auguriamo che, se raggiungeremo questo obiettivo, la cosa avrà forti ripercussioni positive per il turismo in Campania».
Qual è la filosofia che vi ha orientato, nella scelta dei reperti da esporre?
«Non abbiamo voluto ritrarre la Roma imperiale dei gladiatori e della grandezza monumentale, ma piuttosto la vita quotidiana, anche minuta. Nella Round Reading Room abbiamo ricreato un ambiente domestico, arredandolo con i preziosi reperti che ci ha prestato la Sovrintendenza, senza la cui collaborazione questo progetto non sarebbe ovviamente stato possibile, visto che l'ottanta percento degli oggetti in mostra proviene da questo ente. Saranno esposti reperti mai mostrati al pubblico, tra cui credenze e cassettoni, panche da giardino, e perfino una culla che ancora oggi, a distanza di duemila anni da quando è stata fabbricata, può essere fatta dondolare. Vogliamo che i nostri visitatori, in qualche modo, si sentano a casa, e sulle pareti della nostra sala di lettura abbiamo riprodotto l'affresco che ritrae un paesaggio da giardino, scoperto nella pompeiana Casa del Bracciale d'oro».
Si legge che la mostra punta a smentire alcuni luoghi comuni che il mondo anglosassone nutre sulla civiltà romana.
«Dalle opere artistiche e dagli utensili esposti, viene fuori un ruolo degli schiavi, e delle donne, rivalutato rispetto all'immaginario comune sull'antica Roma: gli schiavi, gli ex schiavi e i loro discendenti, presi tutti insieme, rappresentavano oltre metà della popolazione, e d'altronde le donne avevano un ruolo di primo piano nella vita civile. Sono ritratte, infatti, mentre leggono, discutono negli edifici pubblici e fanno di conto, e dagli oggetti risulta che gestissero attività economiche».
Per preparare la mostra, lei avrà visitato di recente i due siti archeologici. Come li ha trovati?
«In entrambi i siti ho notato un'attività fervida, un'iniezione di energia, il fiorire di nuovi progetti. A Ercolano, come è noto, lo Herculaneum Conservation Project è finanziato da fondi privati. A Londra abbiamo abitualmente sponsorizzazioni private (anche questa mostra ha uno sponsor privato), però, per il mio ruolo, non sta a me commentare questo tipo di aspetti. So che spesso la gestione di Pompei, in particolare, viene criticata, ma c'è anche da dire che la città è molto più grande dell'antica Ercolano, e perciò più difficile da curare. Poi spesso ci focalizziamo sulle cattive notizie, come quelle dei crolli negli ultimi anni, mentre quelle positive non fanno altrettanto rumore: ad esempio la riapertura delle terme stabiane, che secondo me è stata un vero trionfo».
Se la sente di rivolgere consigli agli italiani, rispetto alla gestione dei beni archeologici in Campania?
«Credo sia importante il nuovo concetto che già oggi si sta affermando per la salvaguardia di Pompei. Gli interventi sugli edifici non devono riguardare soltanto aspetti separati, ma piuttosto essere condotti con una visione organica, affrontando allo stesso tempo la canalizzazione delle acque, il consolidamento della struttura, il restauro degli affreschi e dei mosaici, eccetera: sbagliato affrontare un aspetto per volta».
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