Una parte del Paese sta affondando se stessa
Una parte del Paese sta affondando se stessa
Andrea Carandini
Corriere della Sera, martedì 15 marzo 2011
Ho scelto un atteggiamento super partes, riuscendo a preservare il Consiglio dagli scontri della politica, convinto che il patrimonio culturale ha a che vedere più con il tutto che con le parti. Ho invitato l'Amministrazione a partecipare alle riunioni del Consiglio, stabilendo con essa un dialogo, che ha arricchito le scelte di riflessione. Ho invitato esperti esterni, che hanno perfezionato i nostri orientamenti. Il Consiglio è così diventato un luogo di dibattito istituzionale allargato. Oltre ai pareri obbligatori in materia di bilancio — progressivamente svuotati di significato per l'abbattimento dei fondi — e oltre alle difese con successo del Codice abbiamo avanzato proposte su questioni importanti. Si è trattato di problemi di rilevanza nazionale (Roma archeologica, vincoli nel Lazio, impostazione della Grande Brera, Galleria Corsini, via Appia), di problemi metodologici (ricostruzione dell'Aquila, rischio sismico, manutenzione programmata, sistemi informativi territoriali) e di problemi riguardo spese e finanziamenti (residui passivi, Arcus). Il fine è stato quello di favorire razionalizzazioni e finalizzazioni che non comportano esborsi. Nel marzo del 2009 il Ministero poteva contare su 155 milioni di euro per la tutela, cifra già allarmante, che per essere giudicata va comparata con la somma che l'istituzione era ed è in grado di spendere: circa 450 milioni l'anno in media per il 2005-2010. Ho sperato in un recupero o quantomeno in una assenza di tagli, come avvenuto per l'Università e la ricerca. Si sono succeduti, invece, tagli sempre più duri, che hanno leso la possibilità del Ministero di agire. Possiamo al momento contare solamente su 102 milioni per curare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, che è un obbligo imposto dalla Costituzione, cui il Ministero non è più in grado di ottemperare. E per questa ragione che mi sono appellato al presidente della Repubblica. A ciò oggi si aggiunge un congelamento del 10 per cento del finanziamento, a favore del digitale terrestre, per cui la disponibilità per gli investimenti è scesa a 92 milioni. Se dividiamo tale somma tra le 269 stazioni appaltanti otteniamo 340.000 euro per ciascuna. Rispetto a soli sei anni fa, il finanziamento è calato del 70 % e il nostro Ministero ha subito il taglio di risorse maggiore (31 %) nell'ultimo quadriennio, escluso il Ministero per l'Ambiente: altro che tagli lineari! Infine occorre l'assunzione di 8 dirigenti, 108 funzionari e 54 vigilanti. Possibili se non ci tagliano un ulteriore 10%. Il ministro Sandro Bondi è stato colpito, prima ancora che dall'opposizione, dal governo e dallo stesso partito di cui è il coordinatore nazionale. Governo che ha risposto alle reiterate richieste con altrettanti dinieghi, compresa una domanda di personale in favore di Pompei: a nulla sono valsi i crolli, il «vergogna» del presidente della Repubblica e le reazioni del mondo. Ho riflettuto su questi dinieghi e sono giunto alla conclusione, molto amara, che nella politica italiana hanno vinto, da ultimo e finora, gli avversari della cultura e dei beni culturali tutelati dallo Stato, che, non potendo abolire il Ministero (accusato fra l'altro di aver intralciato il Piano-Casa), sono riusciti a deprivarlo di uomini e mezzi per neutralizzarlo. A questi avversari della cultura rivolgo lo stesso monito del sottosegretario Francesco Maria Giro: «Fermatevi». Anche il ritardo nella nomina del nuovo ministro è un segnale che scoraggia. C'è bisogno enorme di orientamento. Confidando in una prossima nomina, ho affidato al Corriere le mie opinioni su un idealtipo di ministro, ma la scelta del successore continua a essere rimandata. Ora nessuno ci difende in Consiglio dei ministri. Credo che il Consiglio Superiore debba rappresentare un bastione tecnico da preservare fino in fondo. Il problema è che il fondo è stato raggiunto. In questa situazione miserevole ho perso la speranza. Se la nave fosse stata colpita da un nemico, rimarrei sulla tolda per dare man forte ai funzionari dediti al bene comune, ma qui è una parte rilevante della Repubblica che affonda sé medesima nella qualità e identità delle nostre vite. Per evitare questa auto-distruzione varrebbe la pena di scegliere, con più fatica e cura, dove premiare e dove tagliare più a .fondo, prendendo ad esempio di mira i costi immani della politica, da tutti denunciati ma da nessuno limitati, per salvare un patrimonio di storia e di arte, grazie a una somma contenuta e a un manipolo di assunzioni urgenti. Ho maturato così la decisione di dimettermi da presidente del Consiglio superiore. E bello servire lo Stato, quando sei messo nella condizione di farlo, e sarei ancora pronto a servirlo, ove un atto politico rilevante e concreto arrivasse a segnare una svolta — nella direzione, nei mezzi e negli uomini — senza la quale la prognosi per questo Ministero è la morte. Lancio un allarme: ci stiamo allontanando dalla patria, anche quella visibile fatta di paesaggio, storia e arte. Rischiamo di perderla, e non sono passate neppure cinque generazioni dalla fondazione dello Stato italiano.
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