Una mostra a Trento. La vita ai tempi dell’ Egitto

Corriere della Sera 29.5.09
Una mostra a Trento. La vita ai tempi dell’ Egitto
Oggetti, amuleti e sarcofagi: gli antichi giorni sul Nilo in attesa dell’ultimo viaggio
di Marcello Parilli

Esposte per la prima volta in pubblico due ricche collezioni di reperti
Gli ottocento pezzi provengono dai depositi dei musei di Torino e di Trento

In fondo al cunicolo di pietra si in­travvede un sarcofago aperto con dentro la sua mummia, i vasi ca­nopi per conservare le viscere del defunto, ciotole e suppellettili e una barchetta di legno con tanto di equipaggio per affrontare il Grande Viaggio. Si tratta di una tomba ripor­tata alla luce dal grande archeologo Ernesto Schiaparelli ad Assiut (do­ve, secondo la tradizione copta, la sacra Famiglia trovò rifugio nella sua fuga in Egitto) durante la cam­pagna egiziana del 1908-1920, che portò alla celebre scoperta della tomba di Kha, l’architetto del farao­ne Amenofi III. Anche se qui siamo 3.000 chilometri più a nord, nelle sale del Castello del Buonconsiglio di Trento, dove si respira il profu­mo della montagna piuttosto che quello delle sabbie africane.
Ma il contrasto ci sta tutto, per­ché la mostra che si apre domani a Trento è proprio figlia dell’egitto­mania che nell’Ottocento ha prima affascinato e poi conquistato l’ari­stocrazia della Vecchia Europa, di­sposta a sponsorizzare scienziati, esploratori e tombaroli in partenza per l’Egitto pur di arricchire le colle­zioni dei propri musei privati. Ma l’opportunità è ghiotta, perché fino al prossimo 8 novembre al Castello sarà possibile ammirare per la pri­ma volta due ricche collezioni (per un totale di 800 pezzi) che non era­no mai state mostrate in pubblico.
La prima è quella proveniente dai depositi del Museo Egizio di Torino ed è frutto delle campagne di scavo dello Schiaparelli ad Assiut e Gebe­lein. La seconda è quella assemblata dall’ufficiale dell’Impero Austro-Un­garico Taddeo Tonelli, appassionato egittologo: 33 casse di reperti che vennero cedute al Municipio di Trento in cambio di 500 fiorini da destinare in beneficienza, e che so­no rimaste fino a oggi custodite nei depositi del museo del castello, oggi diretto da Franco Marzatico.
La componente «torinese» della mostra, curata da Elvira D’Amicone e Massimiliana Pozzi, prevede una prima parte dedicata agli scavi di Schiaparelli. Tra pareti di roccia ben riprodotte, alcuni dei reperti si ritro­vano un secolo dopo accanto alle macchine fotografiche, ai diari e al­le lettere dell’archeologo. Segue un’ampia sezione tipicamente mu­seale all’insegna del legno (gli egi­ziani erano maestri nel lavorarlo), con l’esposizione di sarcofagi e mummie, accompagnati da tutti gli elementi del corredo funerario che servivano nell’Aldilà, considerato l’estensione della nostra vita socia­le ed economica terrena: specchi, vasellame, sandali, archi e frecce, ma anche poggiatesta per la mum­mia, barchette funerarie, scalpelli di scultori, «plastici» di attività agri­cole o artigianali, dieci stele e 40 pa­reti di sarcofago con geroglifici inci­si e dipinti che raccontano la vita della classe media, di amministrato­ri provinciali e di piccoli proprietari terrieri nella provincia del Medio Egitto fra il Primo Periodo Interme­dio e il Medio Regno (2200-1800 a.C.).
La parte «trentina» della mostra, che diventerà permanente ed è cura­ta da Sabina Malgora, riguarda inve­ce gli oggetti acquistati da Tonelli sul mercato, anche egiziano, nella prima metà dell’Ottocento. Ne fan­no parte una bellissima maschera funeraria in foglia d’oro, centinaia di amuleti (come gli scarabei del cuore, simbolo di vita eterna), oc­chi udjiat, monili in paste vitree co­lorate e moltissimi modelli di servi­tori ( ushabti), deposti nelle tombe perché sostituissero il defunto nel­le attività nell’Oltretomba.
Gli oggetti più curiosi della colle­zione di Tonelli sono però un paio di mummie di gatto: «Come tanti al­tri animali, i gatti rappresentavano delle divinità o si pensava che fosse­ro in contatto con esse, ma erano ve­nerati anche perché mangiavano i topi, vera minaccia per le riserve ali­mentari e funesti perché attiravano i serpenti velenosi — dice Sabina Malgora —. Ma c’era anche l’abitu­dine, per inviare delle richieste agli dei, di far uccidere, imbalsamare e seppellire gli animali a loro associa­ti, come coccodrilli, babbuini e, ap­punto, gatti, visto che ai maschi era associato il dio del sole Ra, e alle femmine la dea Bastet, protettrice della casa e dei bambini. Erano del­le specie di ex voto».
L’allestimento della mostra è cu­rato dall’architetto Michelangelo Lupo, che a Trento propone anche un video girato appositamente sul­l’ «Egitto mai visto» di oggi, e che contemporaneamente sta preparan­do per il Quirinale una mostra sulla Giordania in occasione della visita di Re Abd Allah e della moglie Ra­nia in ottobre.

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