Poggio Rota come Stonehenge
Poggio Rota come Stonehenge
MERCOLEDÌ, 17 GIUGNO 2009 IL TIRRENO - Grosseto
Il sito può diventare un richiamo per il turismo culturale
Si avvicina il solstizio estivo ed il sole “invicto” inizia a scendere sul monolite centrale del sito archeologico di Poggio Rota che, conosciuto dalla Soprintendenza in quanto segnalatole alcuni anni fa dal ricercatore Giovanni Feo, è stato oggetto di studio dal paleoastronomo Enrico Calzolari.
Professore, quali le conclusioni dei suoi studi?
«Ho partecipato allo studio del sito di Poggio Rota con i ricercatori dell’associazione Arca di Ajaccio. Il mio compito è stato quello di eseguire una mappa il più possibile precisa del sito. Dalla frequentazione del luogo è emersa l’intelligenza degli antichi costruttori, capaci di modellare il tufo per far nascere speciali fasci di luce che, osservati contemporaneamente da più postazioni, offrivano delle certezze calendariali, sia agli equinozi sia ai solstizi. Tutto ciò ha fornito una prova del valore del sito sotto l’aspetto della paleoastronomia. Questo primo risultato non consente però di affermare che siano state raggiunte delle conclusioni sulla conoscenza del sito, perché per ottenere ciò dovranno essere fatti degli scavi mirati, organizzati e seguiti da personale di fiducia della Soprintendenza Archeologica di Firenze, che ne consentano, prima di tutto, la datazione e l’attribuzione ad una delle civiltà che si sono succedute nell’Italia Centrale. Gli scavi dovranno mostrare sia l’estensione in profondità sia l’estensione dello sito in senso orizzontale, soprattutto per far emergere lo speciale rapporto con il regime delle acque, sia minerali sia termali, che abbondavano in antico in quest’ansa del Fiora. Da ciò si capisce la necessità della presenza di diversi specialisti: archeologi, geologi, petrografi, idrologi».
D’accordo, ma una campagna di scavi presuppone finanziamenti e forse tempi lunghi di realizzazione.
«Ritengo che Poggio Rota costituisca un unicum che possa fornire risposte eccezionali nella conoscenza dell’immaginario collettivo dei nostri progenitori, che non può emergere dallo stato attuale degli studi, pur così già affascinanti. Se qualcuno pensa che il sito possa restare così com’è, significa che non ha conoscenze sulla complessità del mondo degli antenati, e soprattutto delle interazioni geomasse/biomasse, che consentivano di vivere momenti di grande intensità ai membri delle tribù che frequentavano il sito e che ne influenzavano la religiosità e l’evoluzioni a livello dello spirito, dell’anima e del corpo. Poggio Rota deve divenire un patrimonio per quel tipo di turismo culturale che gli Inglesi chiamano di “special interest”. Questo dovrebbe spingere le istituzioni a cercare i finanziamenti per progetti di grande respiro, finanziabili anche con i fondi europei per lo sviluppo. D’altronde il sito va tutelato sia dal degrado naturale, sia da atti vandalici che metterebbero a rischio la sua stessa storia».
An. Carr.
MERCOLEDÌ, 17 GIUGNO 2009 IL TIRRENO - Grosseto
Il sito può diventare un richiamo per il turismo culturale
Si avvicina il solstizio estivo ed il sole “invicto” inizia a scendere sul monolite centrale del sito archeologico di Poggio Rota che, conosciuto dalla Soprintendenza in quanto segnalatole alcuni anni fa dal ricercatore Giovanni Feo, è stato oggetto di studio dal paleoastronomo Enrico Calzolari.
Professore, quali le conclusioni dei suoi studi?
«Ho partecipato allo studio del sito di Poggio Rota con i ricercatori dell’associazione Arca di Ajaccio. Il mio compito è stato quello di eseguire una mappa il più possibile precisa del sito. Dalla frequentazione del luogo è emersa l’intelligenza degli antichi costruttori, capaci di modellare il tufo per far nascere speciali fasci di luce che, osservati contemporaneamente da più postazioni, offrivano delle certezze calendariali, sia agli equinozi sia ai solstizi. Tutto ciò ha fornito una prova del valore del sito sotto l’aspetto della paleoastronomia. Questo primo risultato non consente però di affermare che siano state raggiunte delle conclusioni sulla conoscenza del sito, perché per ottenere ciò dovranno essere fatti degli scavi mirati, organizzati e seguiti da personale di fiducia della Soprintendenza Archeologica di Firenze, che ne consentano, prima di tutto, la datazione e l’attribuzione ad una delle civiltà che si sono succedute nell’Italia Centrale. Gli scavi dovranno mostrare sia l’estensione in profondità sia l’estensione dello sito in senso orizzontale, soprattutto per far emergere lo speciale rapporto con il regime delle acque, sia minerali sia termali, che abbondavano in antico in quest’ansa del Fiora. Da ciò si capisce la necessità della presenza di diversi specialisti: archeologi, geologi, petrografi, idrologi».
D’accordo, ma una campagna di scavi presuppone finanziamenti e forse tempi lunghi di realizzazione.
«Ritengo che Poggio Rota costituisca un unicum che possa fornire risposte eccezionali nella conoscenza dell’immaginario collettivo dei nostri progenitori, che non può emergere dallo stato attuale degli studi, pur così già affascinanti. Se qualcuno pensa che il sito possa restare così com’è, significa che non ha conoscenze sulla complessità del mondo degli antenati, e soprattutto delle interazioni geomasse/biomasse, che consentivano di vivere momenti di grande intensità ai membri delle tribù che frequentavano il sito e che ne influenzavano la religiosità e l’evoluzioni a livello dello spirito, dell’anima e del corpo. Poggio Rota deve divenire un patrimonio per quel tipo di turismo culturale che gli Inglesi chiamano di “special interest”. Questo dovrebbe spingere le istituzioni a cercare i finanziamenti per progetti di grande respiro, finanziabili anche con i fondi europei per lo sviluppo. D’altronde il sito va tutelato sia dal degrado naturale, sia da atti vandalici che metterebbero a rischio la sua stessa storia».
An. Carr.
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fabio lì etrusco