Partita doppia per Beato Angelico

l’Unità 23.5.09
Partita doppia per Beato Angelico
di Renato Barilli

A 500 anni dalla morte di Fra’ Giovanni da Fiesole una mostra a Roma
con opere che arrivano da lontano

550 anni dalla morte di un personaggio illustre sono una ricorrenza alquanto artificiosa, se oltretutto viene realizzata ancora qualche anno dopo, come è nel caso di Fra’ Giovanni da Fiesole, universalmente noto sotto lo pseudonimo del Beato Angelico (1395-1455), ma il pretesto è opportuno in quanto consente di rifare i conti con una figura d’artista un po’ trascurata dalla critica, e di rendergli omaggio a Roma, tappa ultima del percorso di questo pittore. Il quale fu oppresso dal peso della santità che compariva fin nel soprannome assegnatogli. E dunque, siamo in presenza di un artista più che altro intento a compiti devozionali, a illustrare visioni di angeli, di beati o di reprobi, in luoghi magici alquanto lontani dalla nostra ribalta mondana? In parte è stato così, ma secondo un destino che non appartenne in esclusiva al nostro Beato, bensì venne condiviso dai suoi compagni di generazione, nati sul finire del Trecento e nei primi anni del Quattrocento, una generazione capeggiata da Masaccio ma nel cui ambito trovano posto altre figure di grande valore, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, e si aggiunga che proprio sul filo di quegli arditi ed avanzati esperimenti fu possibile a Leon Battista Alberti impostare la sua prospettiva, la celebre piramide rovesciata, con un vertice aguzzo, il punto di fuga, in cui andavano a convergere le linee che nella realtà scorrevano tra loro in parallelo. Una camicia di forza, in cui l’intero Occidente, al seguito della pattuglia degli sperimentatori fiorentini, in sintonia con i lontani colleghi delle Fiandre, andò a cacciarsi con supremo stoicismo, intuendo però che così, attraverso quel rigorismo matematico, ci si muniva di un perfetto strumento per inoltrarsi nelle lontananze geografiche, per stabilire le vie maestre dei traffici, dell’espansione mercantile. Fu insomma, quella del Beato Angelico, una generazione che patì su di sé un trauma, una scissione crudele. Col cuore, con l’apparato dei sensi, erano ancora i figli dell’età gotica, impacciata nel trattare la natura, monti aguzzi, rocce affilate come coltelli, schiere di angeli o demoni ordinate in lunghe file come su un pallottoliere. E questo versante era senza dubbio in carattere con una visione di paradisi o di inferni che non sono di questa terra. Ma per altro verso questi artisti ragionavano già in perfetta intesa con uno spirito mercantile e protoborghese, che intendeva apprestare lucide vie comunicative per conquistare le distanze, e che voleva fare ordine anche nel libro dei conti, magari imponendovi la logica stringente della partita doppia.
DUE DESTINI
La mostra romana ha il merito di non aver saccheggiato quel museo naturale dell’opera dell’Angelico che è, a Firenze, il Convento di San Marco. Le opere qui esposte vengono da sedi disperse ai quattro angoli del pianeta, ma ribadiscono questo doppio destino del Santo, perduto nel cuore dietro visioni celestiali, ben fermo nella mente a fare i conti con la realtà.
Beato Angelico a cura di A. Zuccari, G. Morelli, G. de Simone Roma Musei Capitolini Fino al 5 luglio Catalogo: Skira

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