La ninfea e l’informe

l’Unità 30.5.09
La ninfea e l’informe
Le opere di Monet in mostra a Milano e i suoi lontani concorrenti
giapponesi: Hokusai e Hiroshige
di Renato Barilli

Una mostra al Palazzo Reale di Milano riprende utilmente il tema delle ninfee, cavallo di battaglia negli ultimi decenni della lunga esistenza del padre dell’Impressionismo, Claude Monet (1840-1926). A dire il vero, non si sarebbe sentito un particolare bisogno di frugare nella produzione che il grande artista ricavava dal bacino fatto costruire apposta nella sua tenuta di Giverny, tante altre mostre vi si erano già soffermate, ma a rendere utile questa ennesima tappa sta il confronto espressamente tematizzato con i lontani concorrenti giapponesi, qui evocati nelle persone dei grandi illustratori del Sol Levante Hokusai e Hiroshige, attivi circa un secolo prima di Monet. Si aggiunga che a Roma, Museo del Corso, sarà aperta fino al 13 settembre un’amplissima mostra dedicata al secondo dei due, e dunque ci sono tutti i termini per impostare il confronto. A livello di contenuti esso è più che legittimo, basti ricordare che Monet aveva voluto ricreare nella sua tenuta un Ponte Giapponese, e le ninfee, gli iris, le varie piante acquatiche in cui tuffava avidamente il suo sguardo corrispondono in pieno ai motivi floreali coltivati dagli artisti dell’Estremo Oriente. Ma questa è anche l’occasione di dire risolutamente che le vie stilistiche erano assai diverse, per non dire opposte. Monet è l’ultimo cultore delle soluzioni adottate dall’Occidente con i due grandi apripista, Leon Battista Alberti, e soprattutto Leonardo, colui che scopre la presenza dell’atmosfera, la cui massa corrode i corpi man mano che si allontanano da noi e li affonda nell’indistinzione dello sfumato. A quel modo l’Occidente sceglieva una via di grande rigore scientifico, offriva una mappa veritiera a tutte le future incursioni e invasioni del pianeta.
LA «SCIENZA» NELLE OPERE
I Cinesi, allora già sviluppatissimi, adottavano invece soluzioni opposte, distillavano da piante e fiori dei profili sciolti, affidati a un linearismo fluente. I loro reticoli grafici si accampavano sulla piattezza delle superfici, traendo dalle cose degli schemi di estrema eleganza, colmi di valenze decorative, ma ben poco utili per chi avesse voluto davvero affrontare altri paesi nelle loro condizioni atmosferiche reali. E i giapponesi Hokusai e Hiroshige, tra Sette e Ottocento, furono eredi di quelle maniere limpide, dilettose, schematiche. Invece nella visione di Monet le ninfee si intridono in una massa indistinta, vischiosa, quasi impenetrabile. Insomma i dati reali, di massa, di consistenza, di illuminazione cangiante predominano sulla pretesa di astrarre, da quegli ammassi, qualche profilo ben ordinato, e di disporlo con bella grazia sul piano.Ma sul finire dell’Ottocento era in vista la grande rivoluzione scientifica e tecnologica impostata sull’elettromagnetismo, che ci avrebbe insegnato a cogliere dal reale sagome essenziali, dando ragione alla soluzione estremo-orientale, e obbligando i nostri artisti ad andare a Canossa, a convertirsi alle maniere agili e stilizzate del Sol Levante.
Monet. Il tempo delle ninfee a cura di Claudia Beltramo Ceppi
Milano Palazzo Reale Fino al 27 settembre catalogo: Giunti

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