Hey William, giù la maschera e dicci chi eri veramente

l’Unità 30.6.09
Hey William, giù la maschera e dicci chi eri veramente
di Ugo Leonzio

Il mistero sull’identità del Bardo, un autore che non sapeva scrivere neppure la sua firma
Uno, cento, mille William Shakespeare: è esistito veramente il Bardo? E se no, chi era in grado di scrivere gli immortali drammi che portano il suo nome, come fosse un marchio di fabbrica?

Shakespeare era analfabeta. Sì, proprio lui, il «dolce cigno dell’Avon», non era in grado di mettere una firma decente neppure in fondo al suo testamento.
Se quest’estate pensate di andare al «Globe» di villa Borghese a Roma, e commuovervi mentre i monologhi di Macbeth, di Prospero o di Lear si aggirano tra i vostri occhi umidi e il palcoscenico, cercate su google il saggio di Robert Detobel Shakespeare’s signatures analyzed. Delle sei firme autografe, considerate l’unica prova autentica della sua scrittura, nessuna è veramente una «firma» ma l’anonima esecuzione di uno scrivano. Quando consegnava i copioni di drammi, commedie e tragedie costruite con la prosa più intatta e immortale che sia mai stata scritta in lingua inglese, gli attori notavano l’immancabile assenza di correzioni come se qualcuno li avesse diligentemente ricopiati. Nessuno dei suoi ritratti è autentico e certamente non è Will l’autore dei Sonetti. L’autore, alle soglie della vecchiaia, descrive la sua implacabile decadenza fisica. All’epoca Will aveva più o meno ventisei, anni.
Chi era l’analfabeta Will? E chi era «Shake-speare», la misteriosa entità che scrivendo Amleto, poteva permettersi di usare 600 parole nuove di zecca, mai apparse nelle opere precedenti? Che conosceva Venezia meglio dei veneziani? Che maneggiava il greco e il latino come i Wit di Oxford e la filosofia meglio Giordano Bruno? E le abitudini dei calzolai, degli armigeri, le danze, gli usi, i pettegolezzi, le congiure, le perversioni, le parentele, i gradi di nobiltà della Corte come se ci vivesse e ci fosse vissuto da sempre? Che Will avesse una vocazione a raddoppiarsi e a sparire era evidente fin dai suoi esordi, quando ancora non si chiamava Shakespeare e non pensava di fuggire a Londra per fare l’attore.
WILL UNO E BINO
Al suo doppio testamento (nel quale lasciava dieci tremolanti sterline ai poveri del paese) corrisponde anche un doppio matrimonio. Non nel senso che Will si sia sposato due volte ma che mentre William Shagspere di Stratford otteneva, il 28 novembre 1582, una licenza matrimoniale per sposarsi con Anne Hathwey (incinta di tre mesi) un’altra licenza veniva rilasciata in data 27 novembre 1582 per il matrimonio di William Shaxpere e Anne Whatley di Temple Grafton, un villaggio a cinque miglia da Stratford. È inutile cercare una persona, un vero Will. Inutile e infruttuoso per un motivo semplice, nessun poeta o drammaturgo nato in quell’epoca aveva un genio sufficiente per creare le opere di «Shake-speare». Nessuno, tranne Christopher Marlowe, che era morto nel 1593, a ventinove anni, assassinato in un complotto organizzato da Sir Francis Welsingham, il potente Segretario di Stato, capo delle spie della regina Elisabetta. Intorno alla morte di Marlowe e alla certezza che fosse morto davvero (il corpo su cui venne eseguita l’autopsia non era certamente il suo), esiste un libro ormai leggendario The reckoning di Charles Nicholl (Random House).
Questo omicidio potrebbe contenere, in modo del tutto imprevedibile, il segreto dell’entità enigmatica, ironica e crudele che amava firmare le sue opere «Shake-speare», come se fosse un soprannome, una marca. O una factory che disponesse di un immenso potere.
UN’ENTITÀ
Will venne ingaggiato da «Shake-speare», in una strada di Londra, verso la fine del 1591. Venne rimosso dal suo incarico il 23 marzo 1603 alla morte della regina Elisabetta. Era famoso, ricco, molto ricco. Greene, Fletcher, Kid, Beaumont, Lodge, Peele e tutti i magistrali protagonisti della bella brigata elisabettiana erano morti senza niente. Per tutti quegli anni, Will recitò un ruolo che solo un genio assoluto avrebbe potuto inventare, qualcuno che non aveva mai conosciuto, con cui non aveva mai scambiato una parola, una lettera, da cui non aveva mai ricevuto messaggi e che restò per lui misterioso almeno quanto lo è per noi. È strano che questo problema sfiori di rado le opere degli studiosi, anche quelle acute, profonde, intelligenti come quella di Luca Fontana Shakespeare come vi piace (il Saggiatore) o molto glamour come Shakespeare in Venice di Shaul Bassi e Alberto Toso Fei (edizioni Elzeviro) da leggere assolutamente prima di inseguire il nostro amato fantasma tra Rialto e il Ponte de le Tette.
Poi, provate a domandarvi chi è l’entità «Shake-speare» che esprime nel suo stile meravigliosamente unico una mente inquieta, ferita, violata, abituata a scendere negli abissi, capace di uccidere, di nascondere il proprio sesso, di vivere nel bordello di miss Overdone, di odiare il padre, di perdere un regno e riconquistarlo e perderlo di nuovo come in un sogno? (il primo nome che vi viene in mente sarà quello giusto).

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