Nel ciclo delle Ninfee il sogno della sua vita. La natura diventa arte

Corriere della Sera 30.4.09
Venti quadri del maestro francese e le stampe giapponesi che influenzarono il suo stile
Monet. il giardino incantato
Nel ciclo delle Ninfee il sogno della sua vita. La natura diventa arte
di Francesca Montorfano

Pare quasi di vederlo, Monet, davanti a quello spettacolo magico della natura che lui stesso ha creato. È il 1890 quando il pittore acquista la casa di Giverny, rea­lizzando il sogno di una vita: un giardino che fosse «un baccanale» di colori, che di­ventasse la sua opera d’arte en plein air, che si trasformasse esso stesso in un qua­dro, anzi in una serie quasi infinita di di­pinti, di dimensioni sempre più grandi, per i quali dovrà costruire un apposito atelier. Da una parte il tripudio sfolgoran­te di girasoli, nasturzi, rose, iris, gerani, papaveri e dalie del Clos Normand, dall’al­tra il segreto di quello specchio d’acqua che negli ultimi decenni assorbirà gran parte del suo tempo e delle sue energie.
Neppure durante i soggiorni in Norve­gia e in Normandia, a Londra o a Venezia, Monet dimentica di essere un giardiniere e anche da lontano indica e controlla ciò che va fatto. «Ci vuole del tempo per com­prendere un paesaggio», scriverà. E lui di tempo a quel giardino diventato famoso nel mondo, visitato da artisti, letterati e uomini politici, Cézanne e Mary Cassat, Proust (che nella sua Recherche ne dà un’indimenticabile descrizione) e Cle­menceau, ne ha dedicato tanto.
Solo dopo anni e svariati tentativi ottie­ne dal Comune il permesso di far deviare il corso del vicino torrente Ru e trasforma­re lo stagno in uno specchio d’acqua più grande, che contorna di glicini e bambù, di cotogni, ciliegi ornamentali e salici piangenti e dove mette a dimora le ama­tissime ninfee, seguendo le suggestioni di quei paesaggi giapponesi che tanto lo affascinano. Renderle sulla tela diventerà per oltre trent’anni la gioia e il tormento della sua vita: «Non dormo più per colpa loro. Di notte mi torturo pensan­do a ciò che sto cercan­do di realizzare… Ma non voglio morire sen­za aver detto ciò che avevo da dire. E i miei giorni sono contati», annota nel 1925.
E proprio alle ninfee è dedicata la mo­stra di Palazzo Reale che vedrà esposti venti capolavori usciti per la prima volta in tal numero dal Museo Marmottan di Pa­rigi, dove è conservata una delle più im­portanti raccolte di opere del pittore: ven­ti grandi tele dipinte in quella sua ultima, altissima stagione creativa che lo porterà a superare le istanze della rivoluzione im­pressionista per andare oltre il suo tem­po, fino a preparare la strada alle nuove ricerche pittoriche dell’Informale e del­l’Astrattismo.
Ma accanto alle opere del pittore, accan­to alle sue prime, delicatissime ninfee, ai glicini, ai salici piangenti, ai ponti sullo stagno, accanto alla sua tavolozza e al li­bro che lo stesso Clemenceau dedicò al suo giardino, sono esposte in un suggesti­vo gioco di rimandi 56 stampe di Hiroshi­ge e di Hokusai e una preziosa collezione di cartoline dell’Ottocento, dipinte a ma­no, di giardini giapponesi. Monet, che non amava i musei e si annoiava anche al Louvre, fu infatti un appassionato colle­zionista di stampe giapponesi arrivando a possederne quasi trecento, con le quali tappezzò la casa di Giverny.
«L’obiettivo di una mostra come que­sta è di rileggere da un punto di vista inso­lito anche un artista molto conosciuto, quasi 'scontato' come Monet, per scoprir­ne aspetti ogni volta differenti. E qui il fi­lo conduttore è proprio il rapporto del pit­tore con i grandi maestri giapponesi, di cui l’allestimento rigoroso ne sottolinea la grafica essenziale», commenta Claudia Zevi, curatrice della rassegna.
«Dalle vedute quasi 'in sequenza' del Monte Fuji di Hokusai e da quelle dei pon­ti di Hiroshige, Monet trae quel concetto di serialità che ritroviamo in molti dei suoi soggetti preferiti — aggiunge —. Ma a suscitare il suo interesse è soprattutto il modo diverso di intendere il paesaggio nell’arte figurativa giapponese, lontano da quello occidentale e rinascimentale, che pone al centro l’uomo. Monet inizia a guardare alla natura con occhi diversi, ad ammorbidire i contorni delle forme per far parlare solo la luce e il colore, ad elimi­nare ogni punto di riferimento spaziale in una sorta di risonanza cosmica che tutto abbraccia nel fluire naturale del mondo, la natura, il paesaggio, l’uomo. Così, men­tre crea e continuamente trasforma il suo giardino, il suo giardino cambia il suo mo­do di fare arte».

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