La rivoluzione luminosa dei maestri fiamminghi

La Repubblica 4.5.09
Alla Gemäldegalerie di Berlino Rogier Van der Weyden e i suoi contemporanei
La rivoluzione luminosa dei maestri fiamminghi

BERLINO. Tutto comincia negli anni Trenta del ´400, nei Paesi Bassi, dove si sviluppa un nuovo modo, più preciso e realistico, di restituire il mondo in pittura. È l´«ars nova», secondo il dettato di Ervin Panofsky. Ma non appena gli storici dell´arte cercano di stabilire il diverso ruolo e la diversa identità dei pittori che dettero vita a quel movimento, inizia una interminabile disputa che, lungi dall´essersi risolta, resta a tutt´oggi aperta. Perciò è tanto più importante la bellissima mostra della Gemäldegalerie di Berlino (aperta fino al 21 giugno), incentrata sul Maestro di Flémalle e su Rogier Van der Weyden.
La Gemäldegalerie dispone, come noto, di una delle più importanti collezioni al mondo dei primi maestri fiamminghi del quindicesimo secolo. In questo caso però è il contributo di quadri provenienti dal resto d´Europa, dalla Russia e dagli Stati Uniti, a fare la differenza. Perché mentre in passato l´indisponibilità ai prestiti aveva reso più problematico il confronto diretto tra l´opera del Maestro di Flémalle e quella del suo allievo Rogier Van der Weyden (con tutte le disparità interpretative che ne erano discese), ora finalmente le opere stanno fianco a fianco. Davanti ai nostri occhi. Facilitando perciò stesso una comparazione chiara e puntuale. Malgrado sia ancora dibattuta l´identificazione del Maestro di Flémalle con il pittore Robert Campin (o addirittura con un singolo artista). E malgrado Rogier Van der Weyden abbia apposto firma e data soltanto a uno dei suoi quadri.
Visitando la mostra in compagnia di uno dei due curatori (Stephan Kemperdick e Jochen Sander), ho potuto saggiare con l´occhio (guardando) e con l´orecchio (ascoltando), gli aspetti più strettamente "investigativi" della questione. Aspetti quanto mai fascinosi, ricostruiti attraverso una sorta di concreta applicazione di quel metodo indiziario di cui parlò Carlo Ginzburg in un suo famoso saggio. Comunque, anche chi non subisse questo tipo di fascino, storico e intellettuale, non abbia timori: le sessanta opere in mostra sono talmente belle che gli basterà abbandonarsi al piacere delle forme. Al succedersi dei colori. All´intensità dei volti, all´ininterrotto dispiegarsi dei paesaggi. Già, perché la prima cosa che colpisce, nella cosiddetta «ars nova», è proprio la sua sbalorditiva ricchezza, la complessità pittorica di ogni singolo quadro. Quasi che le figure rappresentate vivessero in un universo (domestico o naturale) molto più ampio di quanto accadeva in precedenza.
Il prerequisito di questa innovazione - spiegano i curatori - è di natura tecnica: l´agente principale della coesione dei pigmenti non è più la tempera, ma l´olio. Il che moltiplica le chance coloristiche dell´artista. I possibili giochi di luce e di ombra, la cura dei dettagli. Che ora risaltano sulla tela in maniera precedentemente impensabile: nella descrizione minuziosa delle rughe di un volto, nella puntuale raffigurazione del tessuto di un abito. A trarne vantaggio, naturalmente, non è soltanto la caratterizzazione del mondo visibile, ma la complessità psicologica dei personaggi: basti, per tutti, la mirabile Santa Veronica del monumentale trittico di Flémalle con cui si apre la mostra. Ma forse il tema più indicato per cogliere il senso del "salto" pittorico in atto è quello dell´Annunciazione. Al rigore ieratico impresso dai vecchi sfondi dorati, si sostituisce il costante contrappunto tra una nuova interiorità domestica e l´estensione in lontananza di "paesaggi atmosferici" animati da una vasta varietà di fenomeni luminosi che moltiplicano di continuo i piani della narrazione. In una parola, si va affermando una pittura infinitamente più ricca e perciò stesso più precisa e profonda.

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