Voluttà e amor celeste, con lui la sintesi perfetta
Corriere della Sera 4.4.09
Una corte raffinata dove avevano lasciato un’impronta Botticelli, Pollaiolo, Melozzo da Forlì e Piero della Francesca
Vasari racconta che morì per un eccesso sessuale
Bello, solare, donnaiolo Così il fattore erotico ha influenzato la sua arte
Voluttà e amor celeste, con lui la sintesi perfetta
di Francesca Bonazzoli
Gli unici che non lo sopportavano erano gli altri artisti rivali, in particolare l’invidioso Michelangelo. Arrivato a Roma a 25 anni e subito entrato nelle grazie del papa, Raffaello era troppo bello, troppo bravo, troppo subissato dalle richieste dei committenti più ricchi; aveva un talento naturale, non provava invidia per alcuno e divenne subito una star. Vasari dice che in lui risplendevano «tutte le più rare virtù dell’animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia e ottimi costumi... laonde, si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è lecito dire, dèi mortali».
Insomma era perfetto. Un conquistatore: possedeva un carattere solare e amabile che diffondeva serenità e grazia e lo rendeva concupito da tutti. Non ultime le donne, che giocarono un ruolo fondamentale nella sua opera e persino nella sua morte.
Secondo Vasari, infatti, l’artista morì perché, avendo «fuor di modo praticato i piaceri amorosi », «avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito » e tornò a casa con una gran febbre da cui non si riprese più. Possiamo immaginare che Raffaello sia rimasto troppo a lungo nudo in una stanza riscaldata male in quel freddo inizio di aprile del 1520, esattamente il 6, lo stesso giorno in cui era nato 37 anni prima, e l’influenza mal curata dal medico, che non trovò di meglio che praticargli un salasso, lo portò alla morte nel giorno di Venerdì santo. In una lettera alla duchessa di Mantova, Pandolfo Pico raccontò la coincidenza delle date e la caduta di pietre verificatasi alla sua morte nelle gallerie in costruzione scrivendo: «Di questa morte li cieli hanno voluto mostrare uno de li signi che mostrarono sulla morte di Christo».
E ancora pochi decenni dopo, il pittore e trattatista Giovanni Paolo Lomazzo scriveva: «Sì che non un semideo, ma un Dio dell’arte ai suoi tempi fu tenuto, per la bellezza anco et nobiltà della sua faccia, la qual si rassomiglia a quella che tutti gli eccellenti pittori rappresentano nel nostro Signore».
Può sembrare dunque quantomeno strano che di un uomo deceduto per eccessi sessuali si facesse un paragone con Cristo; eppure, al contrario, proprio qui sta la chiave di comprensione dell’enorme successo della sua arte. Come nessun altro, infatti, Raffaello seppe incarnare quel momento magico e irripetibile del Rinascimento italiano che, alla corte epicurea di Leone X (figlio di Lorenzo de’ Medici), assieme agli amici letterati Bembo e Baldassar Castiglione, portò fino alla sua ottava più alta la filosofia neoplatonica, ovvero la conciliazione fra l’Amor coelestis e l’ Amor terrestris: tutti i suoi dipinti, dalle innumerevoli Madonne alla Santa Cecilia fino alle storie di Amore e Psiche, sono stati informati dall’idea dell’Amor principium artis condivisa da quel gruppo di intellettuali amici di Raffaello.
In un saggio illuminante, André Chastel spiega come fu l’agiografia dei secoli successivi a mettere in ombra il lato erotico dell’Urbinate, mentre persino in occasione della veglia della salma in Santa Maria Rotonda, i suoi stessi allievi preparano la statua della Madonna come una Venere classica trasformando l’altare cristiano in uno dedicato alla dea pagana.
«Si può dire insomma che tutto ciò che riguarda la persona del pittore, il principio della sua arte, la risonanza della sua opera, sia stato compreso dai suoi contemporanei nel cerchio: Pulchritudo, Amor, Voluptas », scrive Chastel. E infatti, da Giulio Romano a Marcantonio Raimondi al Parmigianino, i seguaci di Raffaello si sono poi tutti distinti per l’erotismo della loro opera.
Non a caso, sempre il Lomazzo, nel suo trattato «Idea del tempio della pittura» del 1590, aveva designato Raffaello come uno dei sette «governatori» dell’arte ponendolo sotto il segno di Venere. Dal canto suo il Vasari non aveva risparmiato i dettagli: «Fu Raffaello persona molto amorosa ed affezionata alle donne e di continuo presto ai servizi loro» da esserne così distratto che il ricco banchiere Agostino Chigi, a sua volta invischiato in una scandalosa storia d’amore, pur di veder finalmente procedere i lavori della Villa Farnesina, fece in modo che la donna per la quale il pittore trascurava gli affreschi «venne a stare con esso in casa continuamente». Per questo, nella Galatea dipinta al piano terreno, alcuni hanno voluto riconoscere il ritratto dell’amata di Raffaello, la Fornarina. Che sia davvero lei o no, non c’è dubbio comunque che il fascinoso urbinate dipinse l’intera umanità sub specie amoris e di questo ne ha lasciata scritta la prova in un sonetto: «Il mio cuor d’un amoroso velo / a ricoperto tutti i miei pensier».
Una corte raffinata dove avevano lasciato un’impronta Botticelli, Pollaiolo, Melozzo da Forlì e Piero della Francesca
Vasari racconta che morì per un eccesso sessuale
Bello, solare, donnaiolo Così il fattore erotico ha influenzato la sua arte
Voluttà e amor celeste, con lui la sintesi perfetta
di Francesca Bonazzoli
Gli unici che non lo sopportavano erano gli altri artisti rivali, in particolare l’invidioso Michelangelo. Arrivato a Roma a 25 anni e subito entrato nelle grazie del papa, Raffaello era troppo bello, troppo bravo, troppo subissato dalle richieste dei committenti più ricchi; aveva un talento naturale, non provava invidia per alcuno e divenne subito una star. Vasari dice che in lui risplendevano «tutte le più rare virtù dell’animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia e ottimi costumi... laonde, si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è lecito dire, dèi mortali».
Insomma era perfetto. Un conquistatore: possedeva un carattere solare e amabile che diffondeva serenità e grazia e lo rendeva concupito da tutti. Non ultime le donne, che giocarono un ruolo fondamentale nella sua opera e persino nella sua morte.
Secondo Vasari, infatti, l’artista morì perché, avendo «fuor di modo praticato i piaceri amorosi », «avvenne ch’una volta fra l’altre disordinò più del solito » e tornò a casa con una gran febbre da cui non si riprese più. Possiamo immaginare che Raffaello sia rimasto troppo a lungo nudo in una stanza riscaldata male in quel freddo inizio di aprile del 1520, esattamente il 6, lo stesso giorno in cui era nato 37 anni prima, e l’influenza mal curata dal medico, che non trovò di meglio che praticargli un salasso, lo portò alla morte nel giorno di Venerdì santo. In una lettera alla duchessa di Mantova, Pandolfo Pico raccontò la coincidenza delle date e la caduta di pietre verificatasi alla sua morte nelle gallerie in costruzione scrivendo: «Di questa morte li cieli hanno voluto mostrare uno de li signi che mostrarono sulla morte di Christo».
E ancora pochi decenni dopo, il pittore e trattatista Giovanni Paolo Lomazzo scriveva: «Sì che non un semideo, ma un Dio dell’arte ai suoi tempi fu tenuto, per la bellezza anco et nobiltà della sua faccia, la qual si rassomiglia a quella che tutti gli eccellenti pittori rappresentano nel nostro Signore».
Può sembrare dunque quantomeno strano che di un uomo deceduto per eccessi sessuali si facesse un paragone con Cristo; eppure, al contrario, proprio qui sta la chiave di comprensione dell’enorme successo della sua arte. Come nessun altro, infatti, Raffaello seppe incarnare quel momento magico e irripetibile del Rinascimento italiano che, alla corte epicurea di Leone X (figlio di Lorenzo de’ Medici), assieme agli amici letterati Bembo e Baldassar Castiglione, portò fino alla sua ottava più alta la filosofia neoplatonica, ovvero la conciliazione fra l’Amor coelestis e l’ Amor terrestris: tutti i suoi dipinti, dalle innumerevoli Madonne alla Santa Cecilia fino alle storie di Amore e Psiche, sono stati informati dall’idea dell’Amor principium artis condivisa da quel gruppo di intellettuali amici di Raffaello.
In un saggio illuminante, André Chastel spiega come fu l’agiografia dei secoli successivi a mettere in ombra il lato erotico dell’Urbinate, mentre persino in occasione della veglia della salma in Santa Maria Rotonda, i suoi stessi allievi preparano la statua della Madonna come una Venere classica trasformando l’altare cristiano in uno dedicato alla dea pagana.
«Si può dire insomma che tutto ciò che riguarda la persona del pittore, il principio della sua arte, la risonanza della sua opera, sia stato compreso dai suoi contemporanei nel cerchio: Pulchritudo, Amor, Voluptas », scrive Chastel. E infatti, da Giulio Romano a Marcantonio Raimondi al Parmigianino, i seguaci di Raffaello si sono poi tutti distinti per l’erotismo della loro opera.
Non a caso, sempre il Lomazzo, nel suo trattato «Idea del tempio della pittura» del 1590, aveva designato Raffaello come uno dei sette «governatori» dell’arte ponendolo sotto il segno di Venere. Dal canto suo il Vasari non aveva risparmiato i dettagli: «Fu Raffaello persona molto amorosa ed affezionata alle donne e di continuo presto ai servizi loro» da esserne così distratto che il ricco banchiere Agostino Chigi, a sua volta invischiato in una scandalosa storia d’amore, pur di veder finalmente procedere i lavori della Villa Farnesina, fece in modo che la donna per la quale il pittore trascurava gli affreschi «venne a stare con esso in casa continuamente». Per questo, nella Galatea dipinta al piano terreno, alcuni hanno voluto riconoscere il ritratto dell’amata di Raffaello, la Fornarina. Che sia davvero lei o no, non c’è dubbio comunque che il fascinoso urbinate dipinse l’intera umanità sub specie amoris e di questo ne ha lasciata scritta la prova in un sonetto: «Il mio cuor d’un amoroso velo / a ricoperto tutti i miei pensier».
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