Raffaello nella bottega del padre

La Repubblica 6.4.09
Raffaello nella bottega del padre
Ad Urbino La rassegna sulle sue radici
di Antonio Pinelli

Giovanni era un artista preparato e trasmise al figlio un´ampiezza di orizzonti culturali
Smentito il Vasari secondo cui l´artista si allontanò presto dalla sua città
Quaranta capolavori provenienti da raccolte europee e americane

URBINO. Con questa importante mostra Raffaello torna nella sua città natale con una quarantina di capolavori, tra dipinti e disegni provenienti dalle più prestigiose raccolte europee e d´oltreoceano. Ma quel che più conta, torna per affermarvi a chiare lettere (e per così dire, documenti alla mano) che Urbino, contrariamente a quanto sostiene una tradizione storiografica dura a morire, lasciò un´impronta indelebile nella sua formazione culturale (Raffaello e Urbino, Palazzo Ducale, a cura di L. Mochi Onori, fino al 12 luglio).
Come spesso accade, tutto nasce da Vasari, fonte storiografica fondamentale per i nostri studi, ma talvolta insidiosamente fuorviante. La biografia vasariana di Raffaello infatti imbastisce per l´adolescenza dell´artista un raccontino edificante, imperniato sulla sollecitudine mostrata da suo padre Giovanni Santi, che dopo aver addestrato il figlio ancor fanciullo nella propria bottega di pittore ed averne ricevuto «grande aiuto in molte opere», sentendosi inadeguato a svilupparne a dovere il prodigioso talento, si recò a Perugia e lo affidò a Pietro Perugino, «il quale teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo». Come talvolta succede con Vasari, il racconto parte da alcune premesse indiscutibili: esistono opere del giovane Raffaello, come ad esempio la Crocifissione Mond, proveniente da Città di Castello, e il gonfalone con la Trinità e la Creazione di Eva, tuttora conservato nella medesima cittadina umbra, in cui il giovane urbinate mostra di aver assimilato talmente lo stile del Perugino da rendersi praticamente indistinguibile da lui. Ma da queste premesse incontestabili, Vasari fa derivare un precoce allontanamento del giovane Raffaello da Urbino e un suo alunnato a Perugia nella bottega del Perugino, che in realtà sono ben lungi dall´essere dimostrati. Anzi, facendo tesoro di intuizioni risalenti a Wittkower e a M. Grazia Ciardi Dupré, ma anche basandosi sulle recenti e clamorose scoperte documentarie compiute da Anna Falcioni e Vincenzo Mosconi negli archivi urbinati, questa rassegna, che sicuramente costituirà un punto fermo per gli studi a venire, dimostra che la prima convinzione vasariana - e cioè che Raffaello si allontanò precocemente dalla sua città - è sicuramente destituita di fondamento, mentre sulla seconda, quella del suo alunnato presso Perugino, se non si può essere altrettanto categorici, poco ci manca.
Proviamo a ricapitolare: Raffaello nasce nella primavera del 1483. Urbino in quegli anni è seconda solo a Firenze per prestigio culturale: vi hanno lavorato protagonisti della rivoluzione artistica del Quattrocento come Piero della Francesca, Francesco di Giorgio, Luciano Laurana, Paolo Uccello, grandi maestri fiamminghi. Vi si sono formati Bramante e Melozzo da Forlì e vi si coltivano ai massimi livelli la matematica, la prospettiva e l´architettura militare. Raffaello perde la madre a otto anni e il padre a undici, divenendone l´erede universale.
Più che probabile dunque che, da fanciullo prodigio, abbia ricevuto i primi rudimenti dal padre, ma è da escludere che abbia potuto davvero essergli di valido aiuto nella sua attività di pittore. Un pittore che peraltro non era affatto mediocre, ma che soprattutto era un intellettuale a tutto tondo, un artista di corte colto e aggiornato, come dimostra il suo poema in versi, con cui ci fa compiere l´intero periplo della civiltà figurativa del Quattrocento, definendo con pochi ma appropriati aggettivi ben trentotto tra pittori e scultori italiani e fiamminghi. Sono quest´ampiezza di orizzonti culturali e acutezza di giudizio le maggiori doti che egli trasmise a suo figlio, anche se la mostra non manca di farci toccare con mano, attraverso opportuni confronti tra opere, come anche sul piano tecnico e stilistico egli poté insegnare qualcosa a quel genio che gli stava crescendo accanto. Ma oltre a ciò, Giovanni lasciò al figlio una bottega assai bene avviata e condotta da un suo sperimentato collaboratore, Evangelista da Pian di Meleto. Ruota attorno a questa inoppugnabile circostanza, corroborata da una gran mole di documenti, a cominciare da quel contratto del dicembre 1500 in cui il diciassettenne Raffaello, già definito magister, s´impegna assieme ad Evangelista ad eseguire una pala per una cappella di Città di Castello, la dimostrazione che il giovane urbinate aveva ben altre opportunità e impegni che non fare il garzone a Perugia nella bottega di un artista che, peraltro, nell´ultimo scorcio del Quattrocento era più attivo a Firenze e altrove che a Perugia. La verità è che Raffaello respirò a pieni polmoni e a lungo l´aria, satura di cultura, della sua Urbino, pur spostandosi per lavoro a Città di Castello, Siena, Firenze, e, perché no, anche a Perugia. Ma da onnivoro qual era, rielaborò stimoli offertigli, in patria e altrove, da conterranei come Genga e Timoteo Viti, da Signorelli, da Pintoricchio. E, naturalmente, anche dal Perugino. Del quale, proprio perché era il più grande, volle assimilare tutto fino in fondo, per poi liquidare il suo debito nel 1504, quando dipingendo lo Sposalizio della Vergine di Brera, prese a prestito un´idea di Pietro, ma la rielaborò con una genialità tale, da rendere in un sol colpo il prototipo irrimediabilmente vecchio d´un secolo.

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