L’arte in viaggio alla ricerca di sé
l’Unità 29.4.09
Oltre Gauguin e oltre il mito
L’arte in viaggio alla ricerca di sé
di Marco Di Capua
Oltre i confini. Al Mar di Ravenna Schifano e Matisse, Kokoschka e Dubuffet: le rotte dell’arte
L’antologica. E poi Boetti a Napoli: il mondo come sdoppiamento, metamorfosi e molteplicità
Orientalismo e primitivismo, il fiume Me Nam per Chini, la Hammamet di Klee, l’Oceania stilizzata di Matisse, ma anche il «primo dei nomadi», ossia Boetti: due mostre raccontano il connubio tra arte e viaggio.
In epoca di spostamenti in massa low cost (con massicce migrazioni di vita bassa, direbbe Arbasino) diventano corroboranti sia l’idea dell’artista Willem De Kooning, secondo cui se allunghi le braccia, beh è quello lo spazio che serve a un pittore, sia una convinzione di Doris Lessing: il miglior modo di viaggiare, anzi l’unico, è farlo dentro. Però ai tempi in cui non proprio tutti partivano e chi vagheggiava favolosi Orienti magari lo faceva sognando sul divano fin-di-secolo del suo salotto tra i Buddha di giada e i paraventi giapponesi, l’andarsene effettivo di Paul Gauguin, quella progressione fanatica e ascetica di addii verso il mai più del Paradiso Perduto risultò eclatante. Non muovetevi dalla Polinesia, non tornate per carità, Voi appartenete ormai alla schiera dei Grandi Morti! si raccomandò vivamente il suo amico Daniel de Monfreid. E Gauguin non tornò, consolidando per sempre il proprio mito, provando fisicamente, con la sua tensione a valicare confini e con la sua fine solitaria agli antipodi, che l’arte è sempre esotica. E questo anche se ti sposti da qui a lì, voglio dire. Il tema è immenso e le rotte degli artisti in viaggio sono scie numerose e luminose come costellazioni.
ORIENTALISMO & ESTETISMO
Ne hanno messo a fuoco una ventina quelli del Mar di Ravenna, con questa mostra fascinosa per forza che si intitola L’artista viaggiatore. Dentro ci sono: orientalismo e primitivismo, critica del colonialismo e culto dell’estetismo, elegantissime palme, mari blu, ore nostalgiche sul fiume Me Nam per Chini, incantevoli sere ad Hammamet per Klee, l’Oceania stilizzata in pura luce di Matisse (al quale andò meglio che, proprio allora, al Turista di banane di Simenon) l’Egitto di Kokoschka, pantere, leopardi e cannibali nella Nuova Guinea visitata dagli espressionisti tedeschi Nolde e Pechstein a caccia di emozioni forti come gli avventurieri sulla Via dei Re di Malraux, i deserti algerini di un Dubuffet alla scoperta di spazi puri e inumani. Poi si arriva a Schifano e Ontani, ma qui il diario di viaggio ha poi riletture e ricadute e atterraggi tra Piazza del Popolo e Bar della Pace. Là dove spesso passava a folate, come un rapidissimo vento, anche Alighiero Boetti. Lui era il primo dei nomadi, il trasandato principe dell’altrove, e merita una zona tutta per sé.
Gliela forniscono al Madre di Napoli con questa splendida antologica che si chiama Alighero & Boetti. Mettere all’Arte il Mondo 1993-1962. Dove già nel titolo c’è che: se oggi nell’arte contemporanea va di moda essere in 2 per diventare 1 Alighiero Boetti ha fatto di tutto per smettere di essere 1 e diventare una metà, oppure 2 (scrivo così perché so che amava i numeri) e anche molti di più se è per questo, perché amava lo sdoppiamento e la metamorfosi e la molteplicità; il mondo nasce dal ventre dell’arte, che però non sta nella pancia né nel cuore ma nella mente, nella sua rapidità e leggerezza di illuminazioni; in mostra si procede dagli ultimi lavori per arrivare ai primi, perché l’arte, e forse anche la vita, non sta mica su una linea retta ma è un cerchio.
Se volete che qualcuno vi racconti chi fosse questo leggendario, mercuriale torinese leggetevi la bellissima Vita avventurosa di AB che Pino Corrias pubblica in catalogo (Electa). Le opere, gli amori, le mogli, i figli, l’identificazione con un avo settecentesco che da domenicano diventa musulmano, l’amore per l’Oriente, per il sufismo, la scoperta dell’Afghanistan, l’hascish, gli arazzi e i tappeti di preghiera come finestre sull’universo, la mappatura del mondo, la noncuranza per il fare e l’esaltazione della prima intuizione, la consacrazione dei gesti plurali e anonimi, l’amore e il disdegno per il denaro, la velocità, sempre, anche nel morire a soli 54 anni, di cancro, nel 1994.
Lo spazio di questo viaggiatore è stato vastissimo ma anche singolarmente simile a quello indicato da Willem De Kooning: A&B distende le braccia, scrivendo, e sia nella mano destra che nella sinistra ha una biro. Ciò gli basta: quello è un mondo. Fatti i conti, il suo nome gemellare ci fa fare pace con un’epoca, del Concettuale imperante, che attraverso di lui smette di essere noiosa e petulante e brutta e diventa trasparente, geniale, tutta raccolta in un permanente stato di grazia. «Sai da dove vengono i miei ricami? - ha confidato una volta - da mia madre che li faceva fare per i corredi delle ragazze torinesi. E sai dove teneva i modelli di quei ricami? Dentro buste da lettere usate. Ricami, buste, francobolli… Viene tutto da lì». Una gestazione di opere tra pudori e memorie piemontesi? O tra laconiche riservatezze zen? Il talento è timido, ha spiegato Franca Valeri. E L’eleganza è frigida (Adelphi) già intitolò un suo incantevole diario giapponese Goffredo Parise.
Oltre Gauguin e oltre il mito
L’arte in viaggio alla ricerca di sé
di Marco Di Capua
Oltre i confini. Al Mar di Ravenna Schifano e Matisse, Kokoschka e Dubuffet: le rotte dell’arte
L’antologica. E poi Boetti a Napoli: il mondo come sdoppiamento, metamorfosi e molteplicità
Orientalismo e primitivismo, il fiume Me Nam per Chini, la Hammamet di Klee, l’Oceania stilizzata di Matisse, ma anche il «primo dei nomadi», ossia Boetti: due mostre raccontano il connubio tra arte e viaggio.
In epoca di spostamenti in massa low cost (con massicce migrazioni di vita bassa, direbbe Arbasino) diventano corroboranti sia l’idea dell’artista Willem De Kooning, secondo cui se allunghi le braccia, beh è quello lo spazio che serve a un pittore, sia una convinzione di Doris Lessing: il miglior modo di viaggiare, anzi l’unico, è farlo dentro. Però ai tempi in cui non proprio tutti partivano e chi vagheggiava favolosi Orienti magari lo faceva sognando sul divano fin-di-secolo del suo salotto tra i Buddha di giada e i paraventi giapponesi, l’andarsene effettivo di Paul Gauguin, quella progressione fanatica e ascetica di addii verso il mai più del Paradiso Perduto risultò eclatante. Non muovetevi dalla Polinesia, non tornate per carità, Voi appartenete ormai alla schiera dei Grandi Morti! si raccomandò vivamente il suo amico Daniel de Monfreid. E Gauguin non tornò, consolidando per sempre il proprio mito, provando fisicamente, con la sua tensione a valicare confini e con la sua fine solitaria agli antipodi, che l’arte è sempre esotica. E questo anche se ti sposti da qui a lì, voglio dire. Il tema è immenso e le rotte degli artisti in viaggio sono scie numerose e luminose come costellazioni.
ORIENTALISMO & ESTETISMO
Ne hanno messo a fuoco una ventina quelli del Mar di Ravenna, con questa mostra fascinosa per forza che si intitola L’artista viaggiatore. Dentro ci sono: orientalismo e primitivismo, critica del colonialismo e culto dell’estetismo, elegantissime palme, mari blu, ore nostalgiche sul fiume Me Nam per Chini, incantevoli sere ad Hammamet per Klee, l’Oceania stilizzata in pura luce di Matisse (al quale andò meglio che, proprio allora, al Turista di banane di Simenon) l’Egitto di Kokoschka, pantere, leopardi e cannibali nella Nuova Guinea visitata dagli espressionisti tedeschi Nolde e Pechstein a caccia di emozioni forti come gli avventurieri sulla Via dei Re di Malraux, i deserti algerini di un Dubuffet alla scoperta di spazi puri e inumani. Poi si arriva a Schifano e Ontani, ma qui il diario di viaggio ha poi riletture e ricadute e atterraggi tra Piazza del Popolo e Bar della Pace. Là dove spesso passava a folate, come un rapidissimo vento, anche Alighiero Boetti. Lui era il primo dei nomadi, il trasandato principe dell’altrove, e merita una zona tutta per sé.
Gliela forniscono al Madre di Napoli con questa splendida antologica che si chiama Alighero & Boetti. Mettere all’Arte il Mondo 1993-1962. Dove già nel titolo c’è che: se oggi nell’arte contemporanea va di moda essere in 2 per diventare 1 Alighiero Boetti ha fatto di tutto per smettere di essere 1 e diventare una metà, oppure 2 (scrivo così perché so che amava i numeri) e anche molti di più se è per questo, perché amava lo sdoppiamento e la metamorfosi e la molteplicità; il mondo nasce dal ventre dell’arte, che però non sta nella pancia né nel cuore ma nella mente, nella sua rapidità e leggerezza di illuminazioni; in mostra si procede dagli ultimi lavori per arrivare ai primi, perché l’arte, e forse anche la vita, non sta mica su una linea retta ma è un cerchio.
Se volete che qualcuno vi racconti chi fosse questo leggendario, mercuriale torinese leggetevi la bellissima Vita avventurosa di AB che Pino Corrias pubblica in catalogo (Electa). Le opere, gli amori, le mogli, i figli, l’identificazione con un avo settecentesco che da domenicano diventa musulmano, l’amore per l’Oriente, per il sufismo, la scoperta dell’Afghanistan, l’hascish, gli arazzi e i tappeti di preghiera come finestre sull’universo, la mappatura del mondo, la noncuranza per il fare e l’esaltazione della prima intuizione, la consacrazione dei gesti plurali e anonimi, l’amore e il disdegno per il denaro, la velocità, sempre, anche nel morire a soli 54 anni, di cancro, nel 1994.
Lo spazio di questo viaggiatore è stato vastissimo ma anche singolarmente simile a quello indicato da Willem De Kooning: A&B distende le braccia, scrivendo, e sia nella mano destra che nella sinistra ha una biro. Ciò gli basta: quello è un mondo. Fatti i conti, il suo nome gemellare ci fa fare pace con un’epoca, del Concettuale imperante, che attraverso di lui smette di essere noiosa e petulante e brutta e diventa trasparente, geniale, tutta raccolta in un permanente stato di grazia. «Sai da dove vengono i miei ricami? - ha confidato una volta - da mia madre che li faceva fare per i corredi delle ragazze torinesi. E sai dove teneva i modelli di quei ricami? Dentro buste da lettere usate. Ricami, buste, francobolli… Viene tutto da lì». Una gestazione di opere tra pudori e memorie piemontesi? O tra laconiche riservatezze zen? Il talento è timido, ha spiegato Franca Valeri. E L’eleganza è frigida (Adelphi) già intitolò un suo incantevole diario giapponese Goffredo Parise.
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