Il mistero dello sguardo triste della Medusa del Bernini

Il mistero dello sguardo triste della Medusa del Bernini
Adele Cambria
06/08/2006; L'Unità, Roma

È l'emozione il frutto del primo impatto con la testa della Medusa scolpita da Gianlorenzo Bernini - uno dei tanti tesori custoditi nei Musei Capitolini, ma se qualcuno non te ne racconta la storia, tra mito ed arte, scultura e poesia, magari non ti fermi neppure a guardarla. Infatti: che cosa gli spersi frammenti di una educazione classica Anni Cinquanta ti consentono di associare a quel nome, Medusa?

Una testa femminile decapitata (per mano di Perseo) e grondante sangue, una creatura il cui sguardo aveva la «virtù» di pietrificare chi osasse affrontarlo, e perciò gli antichi guerrieri la portavano scolpita sugli scudi, a terrorizzare i nemici. Invece, la Medusa del Bernini - di cui è stato appena intrapreso il restauro - è una giovane donna dai minuti denti infantili, le labbra morbide e dolci, e quegli occhi il cui sguardo doveva pietrificare chiunque sembrano piuttosto gonfiarsi di lacrime, pervasi da un'umanissima angoscia. Per fortuna che Elena B. Di Gioia, la storica dell'arte (e funzionaria dei Musei Capitolini), responsabile di questo eccezionale restauro - la cui conclusione è prevista entro l'anno - mi introduce al capolavoro. E subito mi corregge: non è una testa, ma un busto di Medusa l'armoniosa scultura che abbiamo davanti, in marmo bianco di Carrara, macchiato dal tempo. È appena cominciato il restauro della scultura custodita dai Musei Capitolini: ma chi ritraeva in realtà? Storici dell’arte e curatori:
forse l’artista creò questo volto giovanile rievocando la donna di cui era innamorato agli inizi della carriera. A dicembre la soluzione.
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L'intervento è appena incominciato ed uno dei due restauratori, Sante Guido, è accanto a noi a trafficare con i suoi bastoncini avvolti in batuffoli d'ovatta. La esatta definizione dell'opera d'arte ha un suo preciso significato anche tematico: che la studiosa mi traduce in modo affettuoso e complice indicandomi la grazia con cui il collo (virginale?) di Medusa sostiene la testa della giovane donna dolente, gravata dalla sua chioma venefica che si attorce in un groviglio di serpi…
Gianlorenzo Bernini si allontana, con quest'opera, probabilmente creata «per suo studio e gusto», dall'iconografia della testa troncata di Medusa, proposta dalla scultura classica, rinascimentale e manierista. «Forse - suggerisce Di Gioia - l'artista creò questo volto giovanile rievocando la donna di cui si era innamorato agli inizi della sua carriera, e che era stata anche una sua modella, Costanza Bonarelli… Secondo Irving Lavin, il più importante studioso berniniano contemporaneo, professore emerito dell'Advanced Institute of Arts di Princeton, lo scultore avrebbe preso spunto da un madrigale di Giovan Battista Marino, in cui il poeta finge che sia una mirabile statua di Medusa a parlare».
E la studiosa cita i versi secenteschi… «Non so se mi scolpì scalpel mortale/o specchiando me stessa in chiaro vetro/la propria vista mia mi fece tale». «La statua immaginata dal Marino ovviamente non esisteva, Bernini la realizzò». È Medusa insomma, che, oppressa dal mito distruttivo di cui è portatrice, e del quale, per virtù dello scultore ignoto, diviene improvvisamente consapevole, pietrifica se stessa invece di coloro che ne sfidano lo sguardo. «Probabilmente questo ritratto - mi avverte la studiosa - nasce negli stessi anni in cui Bernini si ritira in se stesso e produce quel capolavoro che è "La Verità svelata dal Tempo"… La grande luminosa figura femminile che oggi si trova nella Galleria Borghese era la sua risposta alle calunnie e alle polemiche che lo amareggiavano, non volle mai separarsene in vita e la destinò per testamento al suo primogenito. Del resto, come tutti o quasi i grandi artisti del tempo, Michelangelo escluso, Gianlorenzo Bernini, che aveva la carica di Architetto dei Palazzi Pontifici, preferiva donare le sue opere a Principi, Cardinali e Pontefici, che non considerava tanto suoi committenti quanto suoi amici. E loro ricambiavano con gioielli preziosi, ori, argenti… ». Appuntamento dunque a dicembre, per la presentazione del restauro - finanziato dalla Fit per l'Arte e la Cultura, la Federazione Italiana Tabaccai e Logista Italia. «Questo contributo - mi spiega Di Gioia - era indispensabile per "radiografare", con metodi non invasivi, il busto di Medusa ». Ultima domanda: ma se alcune delle opere di Bernini erano destinate a se stesso, fatte «per suo studio e gusto», come scrive in una lettera il suo amico Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, in che modo la Medusa arriva in Campidoglio? L'itinerario percorso da questa scultura apre una finestra sulla società romana dei primi decenni del 1700. Si tratta infatti di una donazione del marchese Francesco Bichi - che era stato Conservatore capitolino per tre mesi nel 1731. (La carica onorifica atteneva all'amministrazione quotidiana della città, peraltro dominata dai Pontefici). Ed il dono magnifico, da esporre in bella mostra in una sala, in questo caso nella piccola Sala delle Oche del Palazzo dei Conservatori, era il modo più efficace per una famiglia toscana, «romanizzata» soltanto da un secolo, come quella dei Bichi, di essere ricordata nella Storia di Roma.La iscrizione latina incisa sul piedistallo settecentesco di antichi marmi colorati, dove poggia il busto, recita dunque: «L'immagine di Medusa, in antico posta ad ornamento degli scudi dei romani per terrorizzare i nemici, oggi rifulge in Campidoglio a gloria di un celeberrimo scultore…». Ma perché il marchese non fa il nome dello scultore? Ilmistero, forse, sarà svelato al momento della presentazione del restauro, a cui interverrà anche Irving Lanvin.

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