Il grande artista già prima di trionfare a Roma realizzò opere straordinarie che testimoniano la leggenda del suo talento
Corriere della Sera 4.4.09
Il grande artista già prima di trionfare a Roma realizzò opere straordinarie che testimoniano la leggenda del suo talento
Raffaello. Gioventù baciata
di Francesca Montorfano
Il figlio prodigio di Urbino torna a Palazzo Ducale dove si nutrì di Rinascimento
Ci sono due nomi indissolubilmente legati nella storia dell’arte e della cultura italiana, quelli di Raffaello e della sua città natale, Urbino. È infatti qui, in una delle più vivaci e raffinate corti rinascimentali, quella dei duchi di Montefeltro, che il giovane trovò l’ambiente privilegiato per far risplendere il meraviglioso talento di cui la natura lo aveva dotato e preparare la strada alle future, grandiose imprese romane. Fanciullo prodigio fu sicuramente Raffaello, ma anche figlio d’arte e, soprattutto, figlio della sua città. A influire per primo sulla sua formazione fu il padre, Giovanni Santi, protagonista di rilievo della scena artistica urbinate, pittore a capo di una fiorente bottega, autore di rappresentazioni teatrali per la corte e di una famosa Chronaca rimata in cui esprime giudizi ancora oggi validi su artisti a lui contemporanei, coniando per Pietro Perugino l’appellativo di «divin pittore». Ma è tra quei palazzi di Urbino nati da una concezione nuova dell’architettura e della spazialità, in quella residenza ducale progettata dal Laurana che Baldassar Castiglione definì «una città in forma di palazzo», dove avevano lasciato la loro impronta artisti come il Botticelli, il Pollaiolo, Melozzo da Forlì, Giusto da Gand e Piero della Francesca, che il giovane Raffaello cresce e matura la sua arte. Ed è qui che rielaborerà in un suo personale, altissimo linguaggio pervaso di lirismo e di classica armonia la lezione paterna e gli echi della grande arte quattrocentesca, come farà in seguito con i nuovi, straordinari esiti raggiunti da Leonardo e Michelangelo: «studiando le fatiche de’ maestri vecchi e quelle de’ moderni prese da tutti il meglio », scrisse nelle sue Vite il Vasari. La grande rassegna che si apre in questi giorni a Palazzo Ducale si pone così l’obiettivo di ricostruire quell’ambito artistico e culturale che tanto peso ebbe per l’arte di Raffaello, indagando per la prima volta compiutamente anche la figura di Giovanni Santi e degli altri pittori che con lui lavorarono, come Girolamo Genga o Timoteo Viti. «Finora, nell’immaginario collettivo, Urbino è stato soltanto il luogo natale di Raffaello, che avrebbe in seguito imparato i segreti della pittura alla scuola del Perugino. Recenti studi hanno invece rivelato come la sua formazione sia avvenuta proprio qui, a contatto di quei capolavori e di quella corte dove si è giocato il Rinascimento, rendendo pieno merito anche alla figura del padre, personaggio di cultura straordinaria e raffinata tecnica, che seppe trasmettere al figlio — ha dichiarato Lorenza Mochi Onori, curatrice della mostra —. Sicuramente Raffaello non ha dovuto 'macinare i colori', non è stato un semplice garzone di bottega, ma un allievo in grado di collaborare col padre fin da giovanissimo in imprese prestigiose. Quando Giovanni muore nel 1495, Raffaello ne eredita la bottega, arrivando a soli diciassette anni, nel 1500, a firmarsi come 'magister' nella Pala di San Nicola per Città di Castello, qui eccezionalmente ricomposta in alcune sue parti». La mostra, allestita nel Salone del Trono e nelle sale dell’Appartamento della Duchessa, presenta i capolavori giovanili di Raffaello, disegni e dipinti, in un illuminante gioco di rimandi con la pittura del padre e di altri artisti a loro vicini. E proprio da Giovanni Santi inizia il percorso, con le Muse della Galleria Corsini recentemente restaurate, con quella Pala Buffi e quella di Monte Fiorentino che ben documentano le delicate assonanze stilistiche tra padre e figlio. Emozionano, tra le opere di Raffaello, lo «Stendardo della Trinità» databile al 1499, la sua prima commissione ufficiale, e brani di straordinaria bellezza come «Il sogno del cavaliere» di Londra, il «San Sebastiano» di Bergamo, la «Sacra Famiglia» del Prado o la piccola «Madonna Cowper», con la Chiesa di San Bernardino, il mausoleo dei Montefeltro, raffigurata sullo sfondo. Ritornano anche, proprio in quella Sala delle Veglie che li aveva visti protagonisti delle colte riunioni descritte nel «Cortegiano», Elisabetta Gonzaga e Guidobaldo da Montefeltro, nei celebri ritratti di Raffaello oggi agli Uffizi. Ma un altro elemento ancora sottolinea lo stretto legame tra padre e figlio: l’affresco della Cappella Tiranni a Cagli, capolavoro di Giovanni e completamento della mostra, con quell’angelo alla sinistra dipinto con le sembianze di Raffaello.
Il grande artista già prima di trionfare a Roma realizzò opere straordinarie che testimoniano la leggenda del suo talento
Raffaello. Gioventù baciata
di Francesca Montorfano
Il figlio prodigio di Urbino torna a Palazzo Ducale dove si nutrì di Rinascimento
Ci sono due nomi indissolubilmente legati nella storia dell’arte e della cultura italiana, quelli di Raffaello e della sua città natale, Urbino. È infatti qui, in una delle più vivaci e raffinate corti rinascimentali, quella dei duchi di Montefeltro, che il giovane trovò l’ambiente privilegiato per far risplendere il meraviglioso talento di cui la natura lo aveva dotato e preparare la strada alle future, grandiose imprese romane. Fanciullo prodigio fu sicuramente Raffaello, ma anche figlio d’arte e, soprattutto, figlio della sua città. A influire per primo sulla sua formazione fu il padre, Giovanni Santi, protagonista di rilievo della scena artistica urbinate, pittore a capo di una fiorente bottega, autore di rappresentazioni teatrali per la corte e di una famosa Chronaca rimata in cui esprime giudizi ancora oggi validi su artisti a lui contemporanei, coniando per Pietro Perugino l’appellativo di «divin pittore». Ma è tra quei palazzi di Urbino nati da una concezione nuova dell’architettura e della spazialità, in quella residenza ducale progettata dal Laurana che Baldassar Castiglione definì «una città in forma di palazzo», dove avevano lasciato la loro impronta artisti come il Botticelli, il Pollaiolo, Melozzo da Forlì, Giusto da Gand e Piero della Francesca, che il giovane Raffaello cresce e matura la sua arte. Ed è qui che rielaborerà in un suo personale, altissimo linguaggio pervaso di lirismo e di classica armonia la lezione paterna e gli echi della grande arte quattrocentesca, come farà in seguito con i nuovi, straordinari esiti raggiunti da Leonardo e Michelangelo: «studiando le fatiche de’ maestri vecchi e quelle de’ moderni prese da tutti il meglio », scrisse nelle sue Vite il Vasari. La grande rassegna che si apre in questi giorni a Palazzo Ducale si pone così l’obiettivo di ricostruire quell’ambito artistico e culturale che tanto peso ebbe per l’arte di Raffaello, indagando per la prima volta compiutamente anche la figura di Giovanni Santi e degli altri pittori che con lui lavorarono, come Girolamo Genga o Timoteo Viti. «Finora, nell’immaginario collettivo, Urbino è stato soltanto il luogo natale di Raffaello, che avrebbe in seguito imparato i segreti della pittura alla scuola del Perugino. Recenti studi hanno invece rivelato come la sua formazione sia avvenuta proprio qui, a contatto di quei capolavori e di quella corte dove si è giocato il Rinascimento, rendendo pieno merito anche alla figura del padre, personaggio di cultura straordinaria e raffinata tecnica, che seppe trasmettere al figlio — ha dichiarato Lorenza Mochi Onori, curatrice della mostra —. Sicuramente Raffaello non ha dovuto 'macinare i colori', non è stato un semplice garzone di bottega, ma un allievo in grado di collaborare col padre fin da giovanissimo in imprese prestigiose. Quando Giovanni muore nel 1495, Raffaello ne eredita la bottega, arrivando a soli diciassette anni, nel 1500, a firmarsi come 'magister' nella Pala di San Nicola per Città di Castello, qui eccezionalmente ricomposta in alcune sue parti». La mostra, allestita nel Salone del Trono e nelle sale dell’Appartamento della Duchessa, presenta i capolavori giovanili di Raffaello, disegni e dipinti, in un illuminante gioco di rimandi con la pittura del padre e di altri artisti a loro vicini. E proprio da Giovanni Santi inizia il percorso, con le Muse della Galleria Corsini recentemente restaurate, con quella Pala Buffi e quella di Monte Fiorentino che ben documentano le delicate assonanze stilistiche tra padre e figlio. Emozionano, tra le opere di Raffaello, lo «Stendardo della Trinità» databile al 1499, la sua prima commissione ufficiale, e brani di straordinaria bellezza come «Il sogno del cavaliere» di Londra, il «San Sebastiano» di Bergamo, la «Sacra Famiglia» del Prado o la piccola «Madonna Cowper», con la Chiesa di San Bernardino, il mausoleo dei Montefeltro, raffigurata sullo sfondo. Ritornano anche, proprio in quella Sala delle Veglie che li aveva visti protagonisti delle colte riunioni descritte nel «Cortegiano», Elisabetta Gonzaga e Guidobaldo da Montefeltro, nei celebri ritratti di Raffaello oggi agli Uffizi. Ma un altro elemento ancora sottolinea lo stretto legame tra padre e figlio: l’affresco della Cappella Tiranni a Cagli, capolavoro di Giovanni e completamento della mostra, con quell’angelo alla sinistra dipinto con le sembianze di Raffaello.
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