Quando la madonna assomiglia alla regina di Saba
La Repubblica 23.3.09
Quando la madonna assomiglia alla regina di Saba
L´esposizione "Nigra sum sed formosa" a Ca´ Foscari
di Paolo Rumiz
A Venezia l´arte di quel mondo cristiano isolato per secoli e ricco di tradizioni altrove scomparse
Una varietà infinita di croci, che si impugnano come ostensori o spade
Sono immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine
VENEZIA. Madonne sensuali come regine di Saba, vestite in fascinose tuniche fucsia e blu oltremare. Pupille dilatate di santi che sbucano dalla penombra, icone che non svelano Dio ma favole vecchie di secoli, formule magiche contro demoni e malattie. E ancora croci come talismani, alberi della vita che gemmano all´infinito, si arrampicano nello spazio in direzioni ortogonali fino a diventare misura del mondo. E poi mappamondi veneziani che, già prima della scoperta dell´America, disegnano l´Africa fino alle misteriose sorgenti del Nilo e ai monasteri della prima nazione cristiana della storia.
E che dire del viaggio dei frati esploratori che battono gli altopiani del mitico "Prete Gianni" e insegnano ai popoli nomadi l´uso delle icone portatili, perfette per la loro vita pellegrinante. O di quel Gesù dipinto su legno che scende negli Inferi, prende teneramente per mano i progenitori, Eva e Adamo, e li porta alla luce in una resurrezione che non discrimina buoni e cattivi, ma porta l´umanità intera fuori dalla tenebra. Che cristianesimo vitale, carico di forza primitiva, quello che si scopre nella mostra inaugurata alla Ca´ Foscari di Venezia - al motto "Nigra sum sed formosa"- su sacro e bellezza nell´arte dell´Etiopia cristiana. La prima in Italia dedicata all´argomento.
Altro che radici occidentali del cristianesimo. La fonte la trovi qui, meglio ancora che a Gerusalemme, in questo viaggio fascinoso, provocatorio e multimediale all´università di Venezia. «Abbiamo dato un taglio alle mostre, vagamente colonialiste, sull´Etiopia dalla stele di Aksum allo scacciamosche di Menelik» sorride il professor Giampaolo Fraccadori, ordinario di storia dell´arte della tarda antichità e del medioevo alla Statale di Milano. «Stavolta abbiamo dato uno sguardo specifico a un mondo cristiano che prima, con l´espansione islamica, è rimasto isolato per secoli sugli altopiani rielaborando all´infinito tradizioni scomparse altrove, senza conoscere mai l´iconoclastia. Un mondo che poi si è aperto, stabilendo contatti fecondi con il Mediterraneo, e in particolare con Venezia».
Ed ecco che le pitture su tavola rilanciano con tecniche nuove - imparate dal francescano Niccolò Brancaleon, rimasto in Etiopia per quarant´anni alla fine del Quattrocento - immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine con un taglio veterotestamentario che all´occhio europeo pare tanto ebraismo. Il patto di misericordia di Cristo con la Madonna; l´onnipresenza di San Giorgio come grande mallevadore di intercessione presso i primi due; la centralità assoluta di Maria come grande benefattrice dei viventi e implacabile nemica del diavolo.
E poi le croci, in una varietà infinita, illuminate dalla luce di marzo che filtra dai finestroni sul Canal Grande. «In nessun altro posto al mondo ce ne sono di così diverse - spiega appassionato Mario Di Salvo, massimo esperto italiano sul tema - noi in Europa al massimo ne abbiamo qualche povera variante». Croci prolifiche, fitomorfe, che nascono dalla tomba di Adamo; croci iscritte nel cerchio, croci in legno e in bronzo, scolpite o coperte di iscrizioni; croci spesso senza Cristo, perché Dio non può soffrire; croci che si impugnano come ostensori o si innalzano come spade di luce. «L´Etiopia cristiana svela un mondo straordinario, di cui l´Europa non si è occupata fino a venti, trenta anni fa» si entusiasma Valeria Finocchi, curatrice multimediale e segretaria scientifica della mostra. «Io stessa ne sapevo poco, e ora non vedo l´ora di andare anch´io sugli altopiani per capire di più», e mostra le straordinarie acqueforti sulla Gerusalemme etiope - Lalibela - disegnate dal trevigiano Lino Bianchi Barriviera nella spedizione scientifica del �38-´39 a seguito dell´impresa coloniale fascista.
Baricentro della mostra è il favoloso mappamondo di Fra´ Mauro, domenicano in Venezia, che alla metà del Quattrocento costruisce una raffigurazione quasi perfetta dell´Eurasia e dell´Africa, con quest´ultima già circumnavigabile e la prima che spazia fino al Mar del Giappone. Prestato con qualche resistenza dalla contigua Biblioteca Marciana, esso contiene, in un cerchio di meno di due metri di diametro, quasi tremila toponimi, maniacalmente esatti, e una morfologia dei fiumi, delle pianure e delle montagne che tiene conto delle relazioni di tutti i grandi viaggiatori passati all´epoca per Venezia.
In alto a destra (il mappamondo ha il Nord in basso) ecco l´Etiopia, piena di dettagli come la sorgente del Nilo, il Lago Tana, il castello del Prete Gianni e le terre della Regina di Saba. Google-Earth non accende la fantasia meglio di questo straordinario planisfero. «Fra Mauro raccolse tutti questi dati topografici da una delegazione etiope giunta in Italia nel 1439, per gli stati generali della cristianità a Firenze», racconta Giuseppe Barbieri, insegnante di metodologia della ricerca storico-artistica alla Ca´ Foscari. Ma tutto nel mappamondo è frutto di notizie di prima o seconda mano: dalle fonti arabe al racconto di Marco Polo, fondamentale per la ricostruzione dell´Asia Centrale.
Poi accade che nelle sale venerande dell´università veneziana ti appaia in più punti - da un caminetto o una nicchia - la figura tridimensionale viva del novantaquattrenne Stanislaw Choynacki, il polacco dalla vita romanzesca che nel secondo dopoguerra fu capo della biblioteca di Addis Abeba e poi patriarca dei cultori d´Etiopia nel mondo, il quale ti porta alle sorgenti del Nilo e della cristianità in poche frasi folgoranti (in perfetto italiano) che ti schiudono il senso del tuo viaggio nel tempo nei mille metri quadrati della mostra. Nel vestibolo d´ingresso, proiettato sul soffitto, uno di quei rotoli magici apparentemente simili alla Torah degli ebrei, che contiene le preghiere terapeutiche. Prima un lungo testo di scongiuri in lingua liturgica, poi una sfolgorante parte figurata con presenze in bilico tra il sacro e il profano - come l´angelo della vigilanza, i demoni in catene, Alessandro il Grande, gli apostoli, San Giorgio, il re Davide, Mosè.
Davvero un altro mondo, che varrebbe la pena di conoscere meglio anche per evitare che l´offensiva dell´Islam wahabita - favorito dalla nostra distrazione - abbia la meglio anche qui, nella culla della cristianità.
Quando la madonna assomiglia alla regina di Saba
L´esposizione "Nigra sum sed formosa" a Ca´ Foscari
di Paolo Rumiz
A Venezia l´arte di quel mondo cristiano isolato per secoli e ricco di tradizioni altrove scomparse
Una varietà infinita di croci, che si impugnano come ostensori o spade
Sono immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine
VENEZIA. Madonne sensuali come regine di Saba, vestite in fascinose tuniche fucsia e blu oltremare. Pupille dilatate di santi che sbucano dalla penombra, icone che non svelano Dio ma favole vecchie di secoli, formule magiche contro demoni e malattie. E ancora croci come talismani, alberi della vita che gemmano all´infinito, si arrampicano nello spazio in direzioni ortogonali fino a diventare misura del mondo. E poi mappamondi veneziani che, già prima della scoperta dell´America, disegnano l´Africa fino alle misteriose sorgenti del Nilo e ai monasteri della prima nazione cristiana della storia.
E che dire del viaggio dei frati esploratori che battono gli altopiani del mitico "Prete Gianni" e insegnano ai popoli nomadi l´uso delle icone portatili, perfette per la loro vita pellegrinante. O di quel Gesù dipinto su legno che scende negli Inferi, prende teneramente per mano i progenitori, Eva e Adamo, e li porta alla luce in una resurrezione che non discrimina buoni e cattivi, ma porta l´umanità intera fuori dalla tenebra. Che cristianesimo vitale, carico di forza primitiva, quello che si scopre nella mostra inaugurata alla Ca´ Foscari di Venezia - al motto "Nigra sum sed formosa"- su sacro e bellezza nell´arte dell´Etiopia cristiana. La prima in Italia dedicata all´argomento.
Altro che radici occidentali del cristianesimo. La fonte la trovi qui, meglio ancora che a Gerusalemme, in questo viaggio fascinoso, provocatorio e multimediale all´università di Venezia. «Abbiamo dato un taglio alle mostre, vagamente colonialiste, sull´Etiopia dalla stele di Aksum allo scacciamosche di Menelik» sorride il professor Giampaolo Fraccadori, ordinario di storia dell´arte della tarda antichità e del medioevo alla Statale di Milano. «Stavolta abbiamo dato uno sguardo specifico a un mondo cristiano che prima, con l´espansione islamica, è rimasto isolato per secoli sugli altopiani rielaborando all´infinito tradizioni scomparse altrove, senza conoscere mai l´iconoclastia. Un mondo che poi si è aperto, stabilendo contatti fecondi con il Mediterraneo, e in particolare con Venezia».
Ed ecco che le pitture su tavola rilanciano con tecniche nuove - imparate dal francescano Niccolò Brancaleon, rimasto in Etiopia per quarant´anni alla fine del Quattrocento - immagini antichissime che sposano Bisanzio e negritudine con un taglio veterotestamentario che all´occhio europeo pare tanto ebraismo. Il patto di misericordia di Cristo con la Madonna; l´onnipresenza di San Giorgio come grande mallevadore di intercessione presso i primi due; la centralità assoluta di Maria come grande benefattrice dei viventi e implacabile nemica del diavolo.
E poi le croci, in una varietà infinita, illuminate dalla luce di marzo che filtra dai finestroni sul Canal Grande. «In nessun altro posto al mondo ce ne sono di così diverse - spiega appassionato Mario Di Salvo, massimo esperto italiano sul tema - noi in Europa al massimo ne abbiamo qualche povera variante». Croci prolifiche, fitomorfe, che nascono dalla tomba di Adamo; croci iscritte nel cerchio, croci in legno e in bronzo, scolpite o coperte di iscrizioni; croci spesso senza Cristo, perché Dio non può soffrire; croci che si impugnano come ostensori o si innalzano come spade di luce. «L´Etiopia cristiana svela un mondo straordinario, di cui l´Europa non si è occupata fino a venti, trenta anni fa» si entusiasma Valeria Finocchi, curatrice multimediale e segretaria scientifica della mostra. «Io stessa ne sapevo poco, e ora non vedo l´ora di andare anch´io sugli altopiani per capire di più», e mostra le straordinarie acqueforti sulla Gerusalemme etiope - Lalibela - disegnate dal trevigiano Lino Bianchi Barriviera nella spedizione scientifica del �38-´39 a seguito dell´impresa coloniale fascista.
Baricentro della mostra è il favoloso mappamondo di Fra´ Mauro, domenicano in Venezia, che alla metà del Quattrocento costruisce una raffigurazione quasi perfetta dell´Eurasia e dell´Africa, con quest´ultima già circumnavigabile e la prima che spazia fino al Mar del Giappone. Prestato con qualche resistenza dalla contigua Biblioteca Marciana, esso contiene, in un cerchio di meno di due metri di diametro, quasi tremila toponimi, maniacalmente esatti, e una morfologia dei fiumi, delle pianure e delle montagne che tiene conto delle relazioni di tutti i grandi viaggiatori passati all´epoca per Venezia.
In alto a destra (il mappamondo ha il Nord in basso) ecco l´Etiopia, piena di dettagli come la sorgente del Nilo, il Lago Tana, il castello del Prete Gianni e le terre della Regina di Saba. Google-Earth non accende la fantasia meglio di questo straordinario planisfero. «Fra Mauro raccolse tutti questi dati topografici da una delegazione etiope giunta in Italia nel 1439, per gli stati generali della cristianità a Firenze», racconta Giuseppe Barbieri, insegnante di metodologia della ricerca storico-artistica alla Ca´ Foscari. Ma tutto nel mappamondo è frutto di notizie di prima o seconda mano: dalle fonti arabe al racconto di Marco Polo, fondamentale per la ricostruzione dell´Asia Centrale.
Poi accade che nelle sale venerande dell´università veneziana ti appaia in più punti - da un caminetto o una nicchia - la figura tridimensionale viva del novantaquattrenne Stanislaw Choynacki, il polacco dalla vita romanzesca che nel secondo dopoguerra fu capo della biblioteca di Addis Abeba e poi patriarca dei cultori d´Etiopia nel mondo, il quale ti porta alle sorgenti del Nilo e della cristianità in poche frasi folgoranti (in perfetto italiano) che ti schiudono il senso del tuo viaggio nel tempo nei mille metri quadrati della mostra. Nel vestibolo d´ingresso, proiettato sul soffitto, uno di quei rotoli magici apparentemente simili alla Torah degli ebrei, che contiene le preghiere terapeutiche. Prima un lungo testo di scongiuri in lingua liturgica, poi una sfolgorante parte figurata con presenze in bilico tra il sacro e il profano - come l´angelo della vigilanza, i demoni in catene, Alessandro il Grande, gli apostoli, San Giorgio, il re Davide, Mosè.
Davvero un altro mondo, che varrebbe la pena di conoscere meglio anche per evitare che l´offensiva dell´Islam wahabita - favorito dalla nostra distrazione - abbia la meglio anche qui, nella culla della cristianità.
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