Flaubert, Baudelaire, Ingres La seduzione di un «altrove» fra inganni, sogni e illusioni
Corriere della Sera 21.2.09
In cerca dell' Eden
Flaubert, Baudelaire, Ingres La seduzione di un «altrove» fra inganni, sogni e illusioni
Si inaugura domani un'esposizione con le opere di venticinque artisti che, dalla metà dell'800, hanno trovato il loro «paradiso» in terre esotiche
di Dacia Maraini
Si inaugura domani un'esposizione con le opere di venticinque artisti che, dalla metà dell'800, hanno trovato il loro «paradiso» in terre esotiche
Credo di avere avuto una prima idea dell'esotismo quando da bambina ho visto in Giappone il quadro di un allievo di mio padre che rappresentava gli scalini degradanti di un anfiteatro romano in una città fantasiosa, cosparsa di statue in pietra coperte da viluppi di edera e fiori selvatici che crescevano in mezzo alle colonne spezzate di un tempio romano. E io, che non avevo ricordi dell'Italia, essendo partita per il Giappone quando avevo un anno, sono subito stata spinta a identificarmi con quella visione di una città che pure mi era stata descritta tante volte dai miei genitori, ma con occhi razionali: una metropoli caotica, affollata, dominata dai preti e da una antica nobiltà terriera bigotta e senza scrupoli. Una città che ospitava il Parlamento, di cui aveva fatto scempio il fascismo. Questo era il pensiero dei miei. Ma io me la trovavo davanti molto piu accattivante, la grande capitale lontana e sconosciuta, come un misterioso luogo selvatico e silenzioso, abitato da lucertole e farfalle. Un luogo in cui il tempo era sospeso, e le memorie di fatti crudeli giacevano morte e rese inoffensive dal vento della storia, inghiottite da una specie di giungla vegetale fatta di riccioli contorti e spinosi. Per i giapponesi quello era l'esotico: un'Italia astratta e mai esistita in cui contavano solo le rovine di una civiltà scomparsa. Esotico è quel «sentimento che tende a esaltare forme e usanze di paesi lontani» come dice il vocabolario, una «predilezione per tutto ciò che è straniero».
Tornando in Italia nel dopoguerra ho scoperto che le cose che per me erano state la realtà quotidiana, per gli italiani rappresentavano qualcosa di affascinante, di sconosciuto ed esotico. Il teatro Noh, la festa dei ciliegi, i giardini di sabbia e pietra, i grandi Budda di legno, le pagode e i templi verniciati di rosso e di nero che per me erano pane di tutti i giorni, diventavano improvvisamente stranezze da scoprire.
Ho avuto la fortuna di provare in un tempo neanche tanto lungo cosa fosse il sentimento dell'esotismo. Capivo che era un innamoramento del diverso. Ma in che rapporto stava questo amore con l'opposto sentimento di sospetto e di odio per il dissimile? Non c'erano forse dei legami sotterranei che ne facevano l'uno la faccia scura e l'altro la faccia chiara di qualcosa che ci turba e ci inquieta?
Ricordo la prima volta che sono capitata davanti a un quadro di Gauguin. Quei cavalli azzurri, quelle palme rosa, quelle madonne dai piedi nudi e il seno fasciato da una veste di cotone, leggera, a colori sgargianti, mi sorprendevano e mi ammaliavano. Era l'esotismo europeo del XlX secolo. Un sogno succoso e colorato che rammentava isole lontane immaginate felici. Le stesse isole che si trovavano nei libri di Conrad, nei romanzi di Stevenson che io divoravo con fame insaziabile.
Certamente l'esotismo è seducente. Ti soggioga attraverso il sogno di qualcosa che non c'è e non ci sarà mai, ma lo stesso vive per i tuoi sensi abbagliati, in un interno sottile godimento che tocca le viscere.
Solo leggendo Flaubert e studiando le sue lettere ho capito quanto l'esotismo possa essere ingannevole e perverso. Flaubert detestava l'esotismo, lo considerava un moto dell'anima da disprezzare, un'emozione incolta, primitiva e infantile. Di cui però poi si ingozzava pure lui. Per pentirsene in un secondo tempo e attribuire i suoi «bassi gusti» alla eroina Madame Bovary.
Flaubert disprezzava le fantasticherie esotiche di Emma, ma nel fondo del suo cuore ne era attratto anche se si impediva di praticarle. Questo non lo fermerà, sui trent'anni, dall'intraprendere un lungo viaggio in Oriente che lo farà stare lontano dalla Francia per ben due anni. E non gli impedirà di andare a cercare una famosa prostituta «nera e bellissima, tutta unta di oli speziati» di cui avevano parlato e scritto famosi esploratori dell'Africa del Nord. La cerca, la incontra, ci passa una notte e ne esce con la sifilide. Malattia che lo porterà poi alla morte. Ma subito comincia a ingrassare e a perdere i capelli. Tanto che quando rientra in Francia, la madre che va a incontrarlo al porto, non lo riconosce.
Per quanto io abbia amato e frequentato gli scrittori romantici, non riesco a vedere l'esotismo come una tentazione inesorabile dello spirito. Forse l'avere scoperto da bambina che l'esotismo è relativo e quindi fatto di fumi, mi ha salvato dall'innamoramento di paesi lontani e sconosciuti. Il mio viaggiare ha preso altri significati, quelli della conoscenza e dell'esperienza dell'altro, senza nebbie e vaghezze.
Eppure dobbiamo dire che l'esotismo ha guidato le mani di magnifici poeti e di generosi pittori. Ho amato e continuo ad amare Baudelaire per i suoi ritmi che conoscono il respiro delle grandi maree. «La stupidità è spesso ornamento della bellezza; è la stupidità che dà agli occhi la limpidezza opaca degli stagni nerastri, la calma oleosa dei mari tropicali», scrive Baudelaire nei «Diari intimi». E si capisce che questa esaltazione della bellezza come stupidità, natura perfetta in quanto incapace di capire e volere, non poteva che portare infelicità nei suoi rapporti con l'altro sesso.
Ma allora, ci chiediamo: esiste un esotismo incolto, volgare e un esotismo colto? O è proprio l'esotismo che porta alla falsificazione della conoscenza? O addirittura esclude ogni possibile conoscenza del reale? Per Flaubert questa è la maledizione sghemba e infida dell'amore idealizzato per paesi lontani. Consapevolezza che non gli ha impedito di costruire un intero romanzo, «Salambò », sugli ori, le gemme e il sangue di una civiltà tutta immaginata e grondante di misteri mai svelati.
Per altri, l'Oriente è un'occasione per ragionare da osservatori obiettivi, come per Montesquieu con le sue «Lettere persiane ». Ma questo accadeva un secolo prima. Saranno Ingres e Delacroix a svelarci un aspetto inedito e giocoso dell'esotismo con i loro corpi femminili, le loro teste fasciate, i loro abiti dal gusto fortemente teatrale.
In cerca dell' Eden
Flaubert, Baudelaire, Ingres La seduzione di un «altrove» fra inganni, sogni e illusioni
Si inaugura domani un'esposizione con le opere di venticinque artisti che, dalla metà dell'800, hanno trovato il loro «paradiso» in terre esotiche
di Dacia Maraini
Si inaugura domani un'esposizione con le opere di venticinque artisti che, dalla metà dell'800, hanno trovato il loro «paradiso» in terre esotiche
Credo di avere avuto una prima idea dell'esotismo quando da bambina ho visto in Giappone il quadro di un allievo di mio padre che rappresentava gli scalini degradanti di un anfiteatro romano in una città fantasiosa, cosparsa di statue in pietra coperte da viluppi di edera e fiori selvatici che crescevano in mezzo alle colonne spezzate di un tempio romano. E io, che non avevo ricordi dell'Italia, essendo partita per il Giappone quando avevo un anno, sono subito stata spinta a identificarmi con quella visione di una città che pure mi era stata descritta tante volte dai miei genitori, ma con occhi razionali: una metropoli caotica, affollata, dominata dai preti e da una antica nobiltà terriera bigotta e senza scrupoli. Una città che ospitava il Parlamento, di cui aveva fatto scempio il fascismo. Questo era il pensiero dei miei. Ma io me la trovavo davanti molto piu accattivante, la grande capitale lontana e sconosciuta, come un misterioso luogo selvatico e silenzioso, abitato da lucertole e farfalle. Un luogo in cui il tempo era sospeso, e le memorie di fatti crudeli giacevano morte e rese inoffensive dal vento della storia, inghiottite da una specie di giungla vegetale fatta di riccioli contorti e spinosi. Per i giapponesi quello era l'esotico: un'Italia astratta e mai esistita in cui contavano solo le rovine di una civiltà scomparsa. Esotico è quel «sentimento che tende a esaltare forme e usanze di paesi lontani» come dice il vocabolario, una «predilezione per tutto ciò che è straniero».
Tornando in Italia nel dopoguerra ho scoperto che le cose che per me erano state la realtà quotidiana, per gli italiani rappresentavano qualcosa di affascinante, di sconosciuto ed esotico. Il teatro Noh, la festa dei ciliegi, i giardini di sabbia e pietra, i grandi Budda di legno, le pagode e i templi verniciati di rosso e di nero che per me erano pane di tutti i giorni, diventavano improvvisamente stranezze da scoprire.
Ho avuto la fortuna di provare in un tempo neanche tanto lungo cosa fosse il sentimento dell'esotismo. Capivo che era un innamoramento del diverso. Ma in che rapporto stava questo amore con l'opposto sentimento di sospetto e di odio per il dissimile? Non c'erano forse dei legami sotterranei che ne facevano l'uno la faccia scura e l'altro la faccia chiara di qualcosa che ci turba e ci inquieta?
Ricordo la prima volta che sono capitata davanti a un quadro di Gauguin. Quei cavalli azzurri, quelle palme rosa, quelle madonne dai piedi nudi e il seno fasciato da una veste di cotone, leggera, a colori sgargianti, mi sorprendevano e mi ammaliavano. Era l'esotismo europeo del XlX secolo. Un sogno succoso e colorato che rammentava isole lontane immaginate felici. Le stesse isole che si trovavano nei libri di Conrad, nei romanzi di Stevenson che io divoravo con fame insaziabile.
Certamente l'esotismo è seducente. Ti soggioga attraverso il sogno di qualcosa che non c'è e non ci sarà mai, ma lo stesso vive per i tuoi sensi abbagliati, in un interno sottile godimento che tocca le viscere.
Solo leggendo Flaubert e studiando le sue lettere ho capito quanto l'esotismo possa essere ingannevole e perverso. Flaubert detestava l'esotismo, lo considerava un moto dell'anima da disprezzare, un'emozione incolta, primitiva e infantile. Di cui però poi si ingozzava pure lui. Per pentirsene in un secondo tempo e attribuire i suoi «bassi gusti» alla eroina Madame Bovary.
Flaubert disprezzava le fantasticherie esotiche di Emma, ma nel fondo del suo cuore ne era attratto anche se si impediva di praticarle. Questo non lo fermerà, sui trent'anni, dall'intraprendere un lungo viaggio in Oriente che lo farà stare lontano dalla Francia per ben due anni. E non gli impedirà di andare a cercare una famosa prostituta «nera e bellissima, tutta unta di oli speziati» di cui avevano parlato e scritto famosi esploratori dell'Africa del Nord. La cerca, la incontra, ci passa una notte e ne esce con la sifilide. Malattia che lo porterà poi alla morte. Ma subito comincia a ingrassare e a perdere i capelli. Tanto che quando rientra in Francia, la madre che va a incontrarlo al porto, non lo riconosce.
Per quanto io abbia amato e frequentato gli scrittori romantici, non riesco a vedere l'esotismo come una tentazione inesorabile dello spirito. Forse l'avere scoperto da bambina che l'esotismo è relativo e quindi fatto di fumi, mi ha salvato dall'innamoramento di paesi lontani e sconosciuti. Il mio viaggiare ha preso altri significati, quelli della conoscenza e dell'esperienza dell'altro, senza nebbie e vaghezze.
Eppure dobbiamo dire che l'esotismo ha guidato le mani di magnifici poeti e di generosi pittori. Ho amato e continuo ad amare Baudelaire per i suoi ritmi che conoscono il respiro delle grandi maree. «La stupidità è spesso ornamento della bellezza; è la stupidità che dà agli occhi la limpidezza opaca degli stagni nerastri, la calma oleosa dei mari tropicali», scrive Baudelaire nei «Diari intimi». E si capisce che questa esaltazione della bellezza come stupidità, natura perfetta in quanto incapace di capire e volere, non poteva che portare infelicità nei suoi rapporti con l'altro sesso.
Ma allora, ci chiediamo: esiste un esotismo incolto, volgare e un esotismo colto? O è proprio l'esotismo che porta alla falsificazione della conoscenza? O addirittura esclude ogni possibile conoscenza del reale? Per Flaubert questa è la maledizione sghemba e infida dell'amore idealizzato per paesi lontani. Consapevolezza che non gli ha impedito di costruire un intero romanzo, «Salambò », sugli ori, le gemme e il sangue di una civiltà tutta immaginata e grondante di misteri mai svelati.
Per altri, l'Oriente è un'occasione per ragionare da osservatori obiettivi, come per Montesquieu con le sue «Lettere persiane ». Ma questo accadeva un secolo prima. Saranno Ingres e Delacroix a svelarci un aspetto inedito e giocoso dell'esotismo con i loro corpi femminili, le loro teste fasciate, i loro abiti dal gusto fortemente teatrale.
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