Il lato oscuro di Antonio Canova
l’Unità 24.1.09
Il lato oscuro di Antonio Canova
di Renato Barilli
A Forlì in mostra una sua leziosa «Ebe»
Occasione per esplorare invece l’altrasua vena. Che anticipa l’Informale
Il Comune di Forlì, con l’aiuto di una Fondazione bancaria, si è dotato del bel complesso museale del San Domenico, dove tiene mostre annuali. E ora è la volta di celebrare una Ebe, capolavoro di Antonio Canova presente nelle raccolte civiche, il che giustifica l’allestimento di un’esposizione attorno al grande scultore, di cui forse, senza questa presenza in loco, non si sarebbe sentito uno stretto bisogno. Infatti il Canova (1757-1822), dopo una latenza quasi secolare, è riemerso in gloria, al seguito delle rinnovate fortune del Neoclassicismo, e non si contano le sue comparse espositive. Tuttavia forse non si è ancora imboccata la pista giusta per farne un valore ancora provvisto di attualità. La pista giusa non sta certo nell’apprezzare in lui il freddo cultore di un’inanimata concezione appunto neoclassica del bello. Si veda questa Ebe appunto, in sé figuretta insulsa, leziosa, che come tale meriterebbe l’ostracismo decretato contro lo scultore veneto da Roberto Longhi.
LA POETICA DELLA CITAZIONE
La via da percorrere è assai più tortuosa, sta nell’adottare la poetica della citazione, puntualmente rilanciata in seguito da De Chirico, e su su da Giulio Paolini, e magari anche da Jeff Koons. Quei reperti museali, in sé ormai scaduti al livello del kitsch, vanno ripresi «tali e quali», come se si trattasse di ready-made, non molto diversi dalla ruota di biciclette o dallo scolabottiglie di Duchamp. L’artista non «rappresenta», ma assembla oggetti già esistenti. E per esempio, questa Ebe esibisce un’anfora e una coppa che sono proprio «tali e quali». Ma a contrasto con questa ostentata stereotipia nell’artista, come nei suoi fratelli in spirito di altre parti di Europa, Füssli, Blake, Goya, ribolle un lato oscuro, infernale, che produce vampe, attorcimenti impetuosi, giustificati dal panneggio, basta andare a vedere nel retro della statua come le vesti si agitino allo spirare di un vento tempestoso, con soluzioni tali da anticipare l’Espressionismo e l’Informale. Questi aspetti audacemente protesi verso il futuro si colgono ancor meglio nei bassorilievi in gesso, su temi omerici e socratici, che Canova produsse senza poi tradurli in marmo, dato che egli stesso ne intendeva il valore sperimentale, sconveniente ai gusti del neoclassico ufficiale.
TRA BLAKE E GOYA
Infatti in questi pannelli è del tutto negata la prospettiva, le immagini si schiacciano sul piano, come vuole lo spazio dell’età contemporanea, attraversato in un baleno dal rapidissimo trascorrere della luce, ovvero delle onde elettromagnetiche. E le figurette, di Socrate steso sul letto di morte, o dei guerrieri suggeriti dai poemi omerici, si allungano, subiscono la ben nota deformazione stilizzante, volutamente artificiale, antinaturalistica, che è tra i compiti normali di ogni manifestazione «contemporanea» a tutti gli effetti. Da qui la delusione e la condanna di tutti i naturalisti convinti, a cominciare proprio da Roberto Longhi, che giudicava nel nome di Caravaggio o di Courbet.
Il lato oscuro di Antonio Canova
di Renato Barilli
A Forlì in mostra una sua leziosa «Ebe»
Occasione per esplorare invece l’altrasua vena. Che anticipa l’Informale
Il Comune di Forlì, con l’aiuto di una Fondazione bancaria, si è dotato del bel complesso museale del San Domenico, dove tiene mostre annuali. E ora è la volta di celebrare una Ebe, capolavoro di Antonio Canova presente nelle raccolte civiche, il che giustifica l’allestimento di un’esposizione attorno al grande scultore, di cui forse, senza questa presenza in loco, non si sarebbe sentito uno stretto bisogno. Infatti il Canova (1757-1822), dopo una latenza quasi secolare, è riemerso in gloria, al seguito delle rinnovate fortune del Neoclassicismo, e non si contano le sue comparse espositive. Tuttavia forse non si è ancora imboccata la pista giusta per farne un valore ancora provvisto di attualità. La pista giusa non sta certo nell’apprezzare in lui il freddo cultore di un’inanimata concezione appunto neoclassica del bello. Si veda questa Ebe appunto, in sé figuretta insulsa, leziosa, che come tale meriterebbe l’ostracismo decretato contro lo scultore veneto da Roberto Longhi.
LA POETICA DELLA CITAZIONE
La via da percorrere è assai più tortuosa, sta nell’adottare la poetica della citazione, puntualmente rilanciata in seguito da De Chirico, e su su da Giulio Paolini, e magari anche da Jeff Koons. Quei reperti museali, in sé ormai scaduti al livello del kitsch, vanno ripresi «tali e quali», come se si trattasse di ready-made, non molto diversi dalla ruota di biciclette o dallo scolabottiglie di Duchamp. L’artista non «rappresenta», ma assembla oggetti già esistenti. E per esempio, questa Ebe esibisce un’anfora e una coppa che sono proprio «tali e quali». Ma a contrasto con questa ostentata stereotipia nell’artista, come nei suoi fratelli in spirito di altre parti di Europa, Füssli, Blake, Goya, ribolle un lato oscuro, infernale, che produce vampe, attorcimenti impetuosi, giustificati dal panneggio, basta andare a vedere nel retro della statua come le vesti si agitino allo spirare di un vento tempestoso, con soluzioni tali da anticipare l’Espressionismo e l’Informale. Questi aspetti audacemente protesi verso il futuro si colgono ancor meglio nei bassorilievi in gesso, su temi omerici e socratici, che Canova produsse senza poi tradurli in marmo, dato che egli stesso ne intendeva il valore sperimentale, sconveniente ai gusti del neoclassico ufficiale.
TRA BLAKE E GOYA
Infatti in questi pannelli è del tutto negata la prospettiva, le immagini si schiacciano sul piano, come vuole lo spazio dell’età contemporanea, attraversato in un baleno dal rapidissimo trascorrere della luce, ovvero delle onde elettromagnetiche. E le figurette, di Socrate steso sul letto di morte, o dei guerrieri suggeriti dai poemi omerici, si allungano, subiscono la ben nota deformazione stilizzante, volutamente artificiale, antinaturalistica, che è tra i compiti normali di ogni manifestazione «contemporanea» a tutti gli effetti. Da qui la delusione e la condanna di tutti i naturalisti convinti, a cominciare proprio da Roberto Longhi, che giudicava nel nome di Caravaggio o di Courbet.
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