Caravaggio. Tenebre luci erotismo
La Repubblica 19.1.09
Caravaggio. Tenebre luci erotismo
In occasione dei 200 anni della pinacoteca di Brera
di Antonio Pinelli
La prima delle iniziative per festeggiare il bicentario raccoglie quattro importanti opere del maestro: scene sacre ma anche omosessualità e invito a godere dei sensi
L´Accademia di Belle Arti di Brera fu fondata nel 1776 e fin dall´origine volle dotarsi a fini didattici di una raccolta di opere d´arte. Avviata dal suo primo segretario Carlo Bianconi, tale collezione fu incrementata a dismisura dal suo successore Giuseppe Bossi, che a partire dal 1801 riorganizzò profondamente l´istituto milanese, infondendovi la sua impronta di pittore politicamente impegnato a sviluppare la funzione civile e morale delle arti. In questo contesto, segnato dalla scelta di Milano come capitale del Regno d´Italia napoleonico, il 15 agosto 1809, giorno del compleanno di Bonaparte, fu inaugurata la Pinacoteca di Brera, che a partire da questa data si emancipò dal suo scopo originario di palestra didattica per giovani artisti divenendo un museo pubblico a tutti gli effetti.
All´atto della sua nascita le sale erano solo quattro, anche se in esse erano già stipati ben 139 dipinti. Ma sull´esempio del Louvre, che si era andato arricchendo delle opere razziate e requisite in Italia e nei Paesi Bassi dalle truppe napoleoniche, anche le raccolte di Brera nel giro di pochi anni conobbero un incremento spettacolare, grazie all´infaticabile azione di Bossi e dei suoi emissari al seguito dell´Armée d´Italie, che in ossequio ai criteri enciclopedici allora vigenti, pianificarono innumerevoli requisizioni in Veneto, Emilia-Romagna e Marche allo scopo di colmare le lacune più gravi.
Sempre in quest´ottica si forzò la quadreria arcivescovile di Milano a cedere dipinti e disegni di ambito leonardesco e raffaellesco, si stipularono accordi con il Louvre per ricevere in scambio quadri in rappresentanza delle Scuole fiamminghe e olandesi, né si mancò di procedere ad una pianificata campagna di distacco di affreschi da chiese milanesi e lombarde, con conseguente acquisizione di importanti dipinti murali dei maggiori esponenti del Rinascimento lombardo.
Da allora ad oggi, pur decelerando, il ritmo di crescita delle raccolte non si è mai interrotto, grazie ad una politica di donazioni e acquisti mirati. Tra questi ultimi, basterà ricordare due casi famosi: quello del Cristo morto di Mantegna, comprato agli eredi di Giuseppe Bossi nel 1824, e quello della Cena in Emmaus di Caravaggio, che fu acquistata dall´Associazione degli Amici di Brera nel 1939, con il determinante contributo dell´ex Soprintendente Ettore Modigliani, che riuscì a portare a termine l´operazione nonostante fosse stato estromesso dalla carica a seguito delle ignominiose leggi razziali fasciste.
Per festeggiare il bicentenario della sua nascita, Brera si presenta in questi giorni al pubblico in veste rinnovata, con parecchie sale ritinteggiate e riallestite con dipinti disposti in doppio registro per esporre una parte delle opere custodite nei depositi. Ma non manca un denso programma di mostre a tema, che hanno la duplice accortezza di essere di dimensioni contenute, per non interferire con il normale percorso di visita, e di scalarsi lungo l´arco di dodici mesi, in modo da invitare il pubblico a tornare più volte in Pinacoteca e a riattivare quel rapporto di consuetudine tra cittadinanza e museo, che si è andato affievolendo un po´ ovunque in questi ultimi decenni dominati dall´assordante richiamo dei «grandi eventi».
Ad aprire l´anno di celebrazioni ecco ora questa prima mostra, ubicata nella sala XV, che consiste in solo quattro quadri - ma che quadri! (Caravaggio ospita Caravaggio, a cura di M. Gregori e A. Pacia, fino al 29 marzo). Nel solco delle mostre-dossier del Louvre e «In focus» della National Gallery londinese, la minirassegna nasce attorno ad un capolavoro appartenente alle raccolte di Brera, la Cena in Emmaus di Caravaggio, acquistata nel 1939 dalla collezione romana del principe Patrizi. Ad essa, grazie al prestito di tre prestigiosi musei, sono stati affiancati l´altra versione autografa dello stesso tema, appartenente alla National Gallery di Londra, e due capolavori giovanili del grande artista lombardo: il Ragazzo con canestro di frutta della Galleria Borghese di Roma e il Concerto di giovani del Metropolitan Museum di New York.
La tela della Borghese è una delle prime eseguite da Caravaggio appena giunto a Roma nel 1593, quando entrò per qualche mese nella bottega dell´allora celeberrimo Cavalier d´Arpino, distinguendosi per la produzione di quadri con mezze figure di giovani modelli (tra cui se stesso), in pose allusivamente omoerotiche, accompagnati da brani di natura morta sbalorditivi per verosimiglianza naturalistica. Come nel caso del lussureggiante canestro di frutta che il protagonista di questa tela sembra offrire a noi spettatori, con un esplicito invito al godimento dei sensi cui si affianca un richiamo alla fugacità del piacere (i bachi in certi frutti troppo maturi, foglie già sul punto di appassire). Il dipinto fa parte di quel consistente gruppo di tele di cui riuscì ad impadronirsi nel 1607 il «cardinal nepote» Scipione Borghese, famelico collezionista di opere di Caravaggio, facendo prima incarcerare il Cavalier d´Arpino per possesso illegale di archibugi, per poi consentirne il rilascio in cambio di un ghiotto sequestro di quadri di sua proprietà.
Il Concerto di New York fu invece realizzato intorno al 1695, quando il pittore era entrato al servizio del cardinal Del Monte, colto rappresentante della Corte medicea presso quella papale. Anch´esso partecipa del clima omoerotico delle prime tele, cui si aggiunge il tema della musica, anch´esso particolarmente caro al cardinale.
Pur avendo sofferto parecchio, è un quadro cui non mancano brani di sontuoso splendore, ma è importante anche perché fu quasi certamente il primo in cui l´artista sperimentò una composizione a più figure, mostrando ancora qualche impaccio nella concatenazione spaziale ed emotiva dell´episodio.
Quanto al confronto ravvicinato tra le due versioni della Cena in Emmaus, esso non fa che confermare la stupefacente rapidità dell´evoluzione stilistica dell´artista: i dipinti infatti sono separati da solo cinque anni - il primo, quello di Londra fu realizzato per Ciriaco Mattei a Roma nel 1601, mentre quello di Brera fu quasi certamente eseguito nell´ultimo scorcio del 1606 a Zagarolo o a Palestrina, quando Caravaggio dovette fuggire da Roma dopo aver ucciso Ranuccio Tomassoni per un banale litigio mentre assisteva al gioco della pallacorda.
Il primo dipinto è un abbagliante saggio di vigoroso realismo, tutto giocato sulla nitida incisività ottica della resa delle figure e delle nature morte, sull´efficacia retorica dell´illusività prospettica e di una gestualità perentoria: il gesto benedicente di un Gesù giovane e sbarbato, a giustificazione del mancato riconoscimento da parte degli Apostoli, il cesto di frutta in bilico sulla tavola, Pietro che, alludendo alla croce, spalanca le braccia come a misurare la distanza che ci separa dallo sfondo e il suo compagno di spalle, che nel sollevarsi dalla sedia sembra invadere lo spazio di noi spettatori fino a «bucare» illusoriamente con il gomito dalla manica strappata l´invisibile barriera della superficie dipinta. La seconda versione è invece più concentrata e sommessa. I gesti e gli scorci sono meno enfatici: prevalgono i toni lividi e terrosi, la tenebra avvolge la scena e la luce, sapientemente calibrata, scava i volti assorti ed intenti, creando un´atmosfera trepidante e meditativa, velata di malinconia.
Caravaggio. Tenebre luci erotismo
In occasione dei 200 anni della pinacoteca di Brera
di Antonio Pinelli
La prima delle iniziative per festeggiare il bicentario raccoglie quattro importanti opere del maestro: scene sacre ma anche omosessualità e invito a godere dei sensi
L´Accademia di Belle Arti di Brera fu fondata nel 1776 e fin dall´origine volle dotarsi a fini didattici di una raccolta di opere d´arte. Avviata dal suo primo segretario Carlo Bianconi, tale collezione fu incrementata a dismisura dal suo successore Giuseppe Bossi, che a partire dal 1801 riorganizzò profondamente l´istituto milanese, infondendovi la sua impronta di pittore politicamente impegnato a sviluppare la funzione civile e morale delle arti. In questo contesto, segnato dalla scelta di Milano come capitale del Regno d´Italia napoleonico, il 15 agosto 1809, giorno del compleanno di Bonaparte, fu inaugurata la Pinacoteca di Brera, che a partire da questa data si emancipò dal suo scopo originario di palestra didattica per giovani artisti divenendo un museo pubblico a tutti gli effetti.
All´atto della sua nascita le sale erano solo quattro, anche se in esse erano già stipati ben 139 dipinti. Ma sull´esempio del Louvre, che si era andato arricchendo delle opere razziate e requisite in Italia e nei Paesi Bassi dalle truppe napoleoniche, anche le raccolte di Brera nel giro di pochi anni conobbero un incremento spettacolare, grazie all´infaticabile azione di Bossi e dei suoi emissari al seguito dell´Armée d´Italie, che in ossequio ai criteri enciclopedici allora vigenti, pianificarono innumerevoli requisizioni in Veneto, Emilia-Romagna e Marche allo scopo di colmare le lacune più gravi.
Sempre in quest´ottica si forzò la quadreria arcivescovile di Milano a cedere dipinti e disegni di ambito leonardesco e raffaellesco, si stipularono accordi con il Louvre per ricevere in scambio quadri in rappresentanza delle Scuole fiamminghe e olandesi, né si mancò di procedere ad una pianificata campagna di distacco di affreschi da chiese milanesi e lombarde, con conseguente acquisizione di importanti dipinti murali dei maggiori esponenti del Rinascimento lombardo.
Da allora ad oggi, pur decelerando, il ritmo di crescita delle raccolte non si è mai interrotto, grazie ad una politica di donazioni e acquisti mirati. Tra questi ultimi, basterà ricordare due casi famosi: quello del Cristo morto di Mantegna, comprato agli eredi di Giuseppe Bossi nel 1824, e quello della Cena in Emmaus di Caravaggio, che fu acquistata dall´Associazione degli Amici di Brera nel 1939, con il determinante contributo dell´ex Soprintendente Ettore Modigliani, che riuscì a portare a termine l´operazione nonostante fosse stato estromesso dalla carica a seguito delle ignominiose leggi razziali fasciste.
Per festeggiare il bicentenario della sua nascita, Brera si presenta in questi giorni al pubblico in veste rinnovata, con parecchie sale ritinteggiate e riallestite con dipinti disposti in doppio registro per esporre una parte delle opere custodite nei depositi. Ma non manca un denso programma di mostre a tema, che hanno la duplice accortezza di essere di dimensioni contenute, per non interferire con il normale percorso di visita, e di scalarsi lungo l´arco di dodici mesi, in modo da invitare il pubblico a tornare più volte in Pinacoteca e a riattivare quel rapporto di consuetudine tra cittadinanza e museo, che si è andato affievolendo un po´ ovunque in questi ultimi decenni dominati dall´assordante richiamo dei «grandi eventi».
Ad aprire l´anno di celebrazioni ecco ora questa prima mostra, ubicata nella sala XV, che consiste in solo quattro quadri - ma che quadri! (Caravaggio ospita Caravaggio, a cura di M. Gregori e A. Pacia, fino al 29 marzo). Nel solco delle mostre-dossier del Louvre e «In focus» della National Gallery londinese, la minirassegna nasce attorno ad un capolavoro appartenente alle raccolte di Brera, la Cena in Emmaus di Caravaggio, acquistata nel 1939 dalla collezione romana del principe Patrizi. Ad essa, grazie al prestito di tre prestigiosi musei, sono stati affiancati l´altra versione autografa dello stesso tema, appartenente alla National Gallery di Londra, e due capolavori giovanili del grande artista lombardo: il Ragazzo con canestro di frutta della Galleria Borghese di Roma e il Concerto di giovani del Metropolitan Museum di New York.
La tela della Borghese è una delle prime eseguite da Caravaggio appena giunto a Roma nel 1593, quando entrò per qualche mese nella bottega dell´allora celeberrimo Cavalier d´Arpino, distinguendosi per la produzione di quadri con mezze figure di giovani modelli (tra cui se stesso), in pose allusivamente omoerotiche, accompagnati da brani di natura morta sbalorditivi per verosimiglianza naturalistica. Come nel caso del lussureggiante canestro di frutta che il protagonista di questa tela sembra offrire a noi spettatori, con un esplicito invito al godimento dei sensi cui si affianca un richiamo alla fugacità del piacere (i bachi in certi frutti troppo maturi, foglie già sul punto di appassire). Il dipinto fa parte di quel consistente gruppo di tele di cui riuscì ad impadronirsi nel 1607 il «cardinal nepote» Scipione Borghese, famelico collezionista di opere di Caravaggio, facendo prima incarcerare il Cavalier d´Arpino per possesso illegale di archibugi, per poi consentirne il rilascio in cambio di un ghiotto sequestro di quadri di sua proprietà.
Il Concerto di New York fu invece realizzato intorno al 1695, quando il pittore era entrato al servizio del cardinal Del Monte, colto rappresentante della Corte medicea presso quella papale. Anch´esso partecipa del clima omoerotico delle prime tele, cui si aggiunge il tema della musica, anch´esso particolarmente caro al cardinale.
Pur avendo sofferto parecchio, è un quadro cui non mancano brani di sontuoso splendore, ma è importante anche perché fu quasi certamente il primo in cui l´artista sperimentò una composizione a più figure, mostrando ancora qualche impaccio nella concatenazione spaziale ed emotiva dell´episodio.
Quanto al confronto ravvicinato tra le due versioni della Cena in Emmaus, esso non fa che confermare la stupefacente rapidità dell´evoluzione stilistica dell´artista: i dipinti infatti sono separati da solo cinque anni - il primo, quello di Londra fu realizzato per Ciriaco Mattei a Roma nel 1601, mentre quello di Brera fu quasi certamente eseguito nell´ultimo scorcio del 1606 a Zagarolo o a Palestrina, quando Caravaggio dovette fuggire da Roma dopo aver ucciso Ranuccio Tomassoni per un banale litigio mentre assisteva al gioco della pallacorda.
Il primo dipinto è un abbagliante saggio di vigoroso realismo, tutto giocato sulla nitida incisività ottica della resa delle figure e delle nature morte, sull´efficacia retorica dell´illusività prospettica e di una gestualità perentoria: il gesto benedicente di un Gesù giovane e sbarbato, a giustificazione del mancato riconoscimento da parte degli Apostoli, il cesto di frutta in bilico sulla tavola, Pietro che, alludendo alla croce, spalanca le braccia come a misurare la distanza che ci separa dallo sfondo e il suo compagno di spalle, che nel sollevarsi dalla sedia sembra invadere lo spazio di noi spettatori fino a «bucare» illusoriamente con il gomito dalla manica strappata l´invisibile barriera della superficie dipinta. La seconda versione è invece più concentrata e sommessa. I gesti e gli scorci sono meno enfatici: prevalgono i toni lividi e terrosi, la tenebra avvolge la scena e la luce, sapientemente calibrata, scava i volti assorti ed intenti, creando un´atmosfera trepidante e meditativa, velata di malinconia.
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