Canova. A passo di danza
Corriere della Sera 24.1.09
Centosessanta opere tra marmi, gessi, bassorilievi, dipinti per mettere in luce un aspetto insolito della poetica del grande artista nel suo dialogo con il passato
Canova. A passo di danza
Amava il teatro e la musica Così molte sue sculture catturavano il movimento
di Francesca Montorfano
Moderno Fidia è stato chiamato. E sicuramente Antonio Canova, già in vita celebrato come il più grande interprete del Neoclassicismo, meglio di ogni altro ha saputo riportare nel mondo la bellezza e la perfezione della scultura greca. «Le opere di Fidia sono una vera carne, cioè la bella natura...», aveva scritto all'amico Quatremère de Quincy, quasi a indicare quello che sarebbe stato il fine della sua arte: rendere in quei suoi marmi così vivi, così palpitanti, lo splendore di seta di un corpo femminile, la gloria immortale di un giovane dio, i sogni e le passioni di tutti gli uomini, perché «sempre sono stati gli uomini composti di carne flessibile e non di bronzo ». E poi, andare più avanti ancora, seguire altre vie, fino misurarsi con il difficile motivo della figura in volo, fino a tradurre in marmo o in dipinto tutto il dinamismo, tutta la grazia e la leggerezza della danza.
A ripercorrere la folgorante carriera dell'artista, conteso da regnanti, papi e ambasciatori, è oggi la mostra ospitata negli spazi di San Domenico a Forlì, la più completa ed emozionante a lui dedicata dopo quella veneziana del 1992 perché indaga aspetti insoliti o ancora poco conosciuti della sua poetica. «Canova è stato un grande innovatore. Il primo a introdurre la rappresentazione del movimento in quei suoi stupefacenti lavori che paiono quasi espandersi nello spazio e che vanno ammirati girandovi tutt'attorno per coglierne appieno la meraviglia. Come nella bellissima Ebe di Forlì che procede lieve, le vesti mosse dal vento, esposta accanto a quella sulla nuvola dell'Ermitage e al Mercurio volante del Giambologna, capolavoro del XVI secolo», commenta Fernando Mazzocca, curatore della rassegna insieme ad Antonio Paolucci e a Sergéj Androsov.
«Il maestro veneto frequentava i teatri, era un grande appassionato di musica e amico del coreografo e ballerino Carlo Blasis, maestro di danza alla Scala di Milano e autore di un celebre trattato sull'argomento. E proprio la raffigurazione della danza è un tema caro all'artista, un motivo ricorrente nelle sue opere». A documentarlo sono lavori straordinari, come la superba Danzatrice col dito al mento destinata al banchiere forlivese Domenico Manzoni, andata dispersa dopo la sua morte ma in seguito approdata ai Musei Civici della città, la Danzatrice con le mani sui fianchi dell'Ermitage già appartenuta all'imperatrice Giuseppina e le delicate figure danzanti delle tempere di Bassano, straordinaria prova di Canova pittore oggi finalmente recuperate all'antico splendore da un sapiente restauro. Una passione, quella di Canova per la danza, che contagiò numerosi artisti del tempo, a partire da Francesco Hayez le cui Danzatrici del Museo Correr di Venezia certamente risentono di quelle canoviane. Le 160 opere esposte a Forlì, tra marmi, gessi, bassorilievi, disegni e dipinti, metteranno infatti a confronto le opere di Canova non solo con i modelli antichi a cui si è ispirato, ma anche con sculture e dipinti di artisti a lui contemporanei. La stessa Ebe, così mirabilmente da lui trattata, fu uno dei motivi prediletti dai maggiori artisti neoclassici, da Reynolds ad Hamilton a Vigéé Le Brun a Lampi, Pellegrini o Landi, i cui lavori creeranno un intrigante gioco di rimandi tra scultura e pittura. Anche uno dei due inediti, già conosciuti alla critica ma esposti per la prima volta al pubblico con nuovi studi, il ritratto ad olio del Principe Lubomirski in veste di Giovannino, evidenzia la versatilità dell'ingegno del-l'artista che del giovane realizzò anche una scultura in marmo.
Straordinari i prestiti che ne celebreranno la grandezza del maestro. I colossali Pugilatori dei Musei Vaticani ispirati a quei Dioscuri del Quirinale da lui a lungo studiati in giovinezza, la Venere Italica di Palazzo Pitti, ritenuta dal Foscolo superiore all'antica Venere dei Medici per l'essere splendida donna oltre che dea e ancora la Maddalena penitente dell'Ermitage, capolavoro che influenzò Hayez con il suo pittoricismo, portandolo a creare la stupenda Maddalena del 1825. Non solo a Fidia o a Prassitele è stato avvicinato Antonio Canova, né solo al divino Raffaello, per quella ricerca del bello ideale che li accomunò. A paragonarlo a Tiziano è stato il suo nuovo modo di fare arte, di ottenere anche con il marmo quegli effetti luministici, quella resa sensuale delle carni della grande pittura veneta.
Centosessanta opere tra marmi, gessi, bassorilievi, dipinti per mettere in luce un aspetto insolito della poetica del grande artista nel suo dialogo con il passato
Canova. A passo di danza
Amava il teatro e la musica Così molte sue sculture catturavano il movimento
di Francesca Montorfano
Moderno Fidia è stato chiamato. E sicuramente Antonio Canova, già in vita celebrato come il più grande interprete del Neoclassicismo, meglio di ogni altro ha saputo riportare nel mondo la bellezza e la perfezione della scultura greca. «Le opere di Fidia sono una vera carne, cioè la bella natura...», aveva scritto all'amico Quatremère de Quincy, quasi a indicare quello che sarebbe stato il fine della sua arte: rendere in quei suoi marmi così vivi, così palpitanti, lo splendore di seta di un corpo femminile, la gloria immortale di un giovane dio, i sogni e le passioni di tutti gli uomini, perché «sempre sono stati gli uomini composti di carne flessibile e non di bronzo ». E poi, andare più avanti ancora, seguire altre vie, fino misurarsi con il difficile motivo della figura in volo, fino a tradurre in marmo o in dipinto tutto il dinamismo, tutta la grazia e la leggerezza della danza.
A ripercorrere la folgorante carriera dell'artista, conteso da regnanti, papi e ambasciatori, è oggi la mostra ospitata negli spazi di San Domenico a Forlì, la più completa ed emozionante a lui dedicata dopo quella veneziana del 1992 perché indaga aspetti insoliti o ancora poco conosciuti della sua poetica. «Canova è stato un grande innovatore. Il primo a introdurre la rappresentazione del movimento in quei suoi stupefacenti lavori che paiono quasi espandersi nello spazio e che vanno ammirati girandovi tutt'attorno per coglierne appieno la meraviglia. Come nella bellissima Ebe di Forlì che procede lieve, le vesti mosse dal vento, esposta accanto a quella sulla nuvola dell'Ermitage e al Mercurio volante del Giambologna, capolavoro del XVI secolo», commenta Fernando Mazzocca, curatore della rassegna insieme ad Antonio Paolucci e a Sergéj Androsov.
«Il maestro veneto frequentava i teatri, era un grande appassionato di musica e amico del coreografo e ballerino Carlo Blasis, maestro di danza alla Scala di Milano e autore di un celebre trattato sull'argomento. E proprio la raffigurazione della danza è un tema caro all'artista, un motivo ricorrente nelle sue opere». A documentarlo sono lavori straordinari, come la superba Danzatrice col dito al mento destinata al banchiere forlivese Domenico Manzoni, andata dispersa dopo la sua morte ma in seguito approdata ai Musei Civici della città, la Danzatrice con le mani sui fianchi dell'Ermitage già appartenuta all'imperatrice Giuseppina e le delicate figure danzanti delle tempere di Bassano, straordinaria prova di Canova pittore oggi finalmente recuperate all'antico splendore da un sapiente restauro. Una passione, quella di Canova per la danza, che contagiò numerosi artisti del tempo, a partire da Francesco Hayez le cui Danzatrici del Museo Correr di Venezia certamente risentono di quelle canoviane. Le 160 opere esposte a Forlì, tra marmi, gessi, bassorilievi, disegni e dipinti, metteranno infatti a confronto le opere di Canova non solo con i modelli antichi a cui si è ispirato, ma anche con sculture e dipinti di artisti a lui contemporanei. La stessa Ebe, così mirabilmente da lui trattata, fu uno dei motivi prediletti dai maggiori artisti neoclassici, da Reynolds ad Hamilton a Vigéé Le Brun a Lampi, Pellegrini o Landi, i cui lavori creeranno un intrigante gioco di rimandi tra scultura e pittura. Anche uno dei due inediti, già conosciuti alla critica ma esposti per la prima volta al pubblico con nuovi studi, il ritratto ad olio del Principe Lubomirski in veste di Giovannino, evidenzia la versatilità dell'ingegno del-l'artista che del giovane realizzò anche una scultura in marmo.
Straordinari i prestiti che ne celebreranno la grandezza del maestro. I colossali Pugilatori dei Musei Vaticani ispirati a quei Dioscuri del Quirinale da lui a lungo studiati in giovinezza, la Venere Italica di Palazzo Pitti, ritenuta dal Foscolo superiore all'antica Venere dei Medici per l'essere splendida donna oltre che dea e ancora la Maddalena penitente dell'Ermitage, capolavoro che influenzò Hayez con il suo pittoricismo, portandolo a creare la stupenda Maddalena del 1825. Non solo a Fidia o a Prassitele è stato avvicinato Antonio Canova, né solo al divino Raffaello, per quella ricerca del bello ideale che li accomunò. A paragonarlo a Tiziano è stato il suo nuovo modo di fare arte, di ottenere anche con il marmo quegli effetti luministici, quella resa sensuale delle carni della grande pittura veneta.
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