La variante di Artemidoro
La variante di Artemidoro
ERNESTO FERRERO
La Stampa 11/12/2008
Sono ormai quasi tre anni che infuria lo scontro scientifico sul «Papiro di Artemidoro». Partito dalle riviste specializzate, il dibattito sulla sua autenticità - o, meglio, la rivendicazione della sua inautenticità - è proseguito sui quotidiani, ha nutrito libri, discussioni e seminari internazionali, si è trasformato in un complicato giallo archeologico.
Una pirotecnia fatta di alta erudizione, sottigliezze filologiche, raffinati strumenti d`indagine, ingegnose ricostruzioni storiche e archeologiche. Non poteva essere diversamente, visto il calibro dei duellanti: Salvatore Settis e i papirologi Claudio Gallazzi e Bàrbel Kramer da una parte, Luciano Canfora e i suoi allievi dall`altra.
Ma, uscita la monumentale, attrezzatissima edizione critica a febbraio 2008 (edizioni Led, Milano), è ora di fare ordine e chiarezza, senza rinunciare a coinvolgere anche i non specialisti. È quello che fa Settis con il suo agile e denso Artemidoro. Un papiro dal I al XXI secolo (Einaudi, pp. 126, €26), che ripercorre le complesse questioni legate a questo singolare rotolo «interruptus», uno e trino: copia (arenata misteriosamente dopo cinque colonne di testo) del secondo libro della Geografia di Artemidoro già andata perduta, per di più arricchita (caso rarissimo) da mappe il cui disegno è rimasto anch`esso allo stato d`abbozzo; poi usata in epoche successive come album da disegno che porta sul verso una quarantina di animali, e sul recto (ma di mano diversa) figure anatomiche: sei teste, nove mani, sette piedi. Un fascinoso intreccio di temi, problemi, datazioni, confronti, tra arte, letteratura e cartografia, pratiche di bottega, tecniche di scrittura, pittura e disegno, statue, calchi in gesso e mosaici. Naturalmente non poteva mancare la risposta di Settis ai suoi oppositori: ferma e misurata, ma dura nella sostanza.
«Impazienze». Così, con ironica sprezzatura, Settis intitola il capitolo in cui procede a smontare le contestazioni: «Più impaziente degli altri [papirologi e studiosi, ndr], uno solo (L. Canfora) non ha saputo attendere; e contro le buone pratiche e il buon senso si è sforzato di "anticipare" l`edizione principe con non meno di 1400 pagine, sue e di alcuni collaboratori, pubblicate da tre diverse case editrici di Bari». In questi scritti si attribuisce la confezione a un noto falsario dell`Ottocento, il greco Costantinos Simonidis, morto nel 1867 (secondo alcuni nel 1890). Avendo rinunciato a conoscere i dati che solo l`edizione poteva offrire, «naturale che questi studiosi abbiano spesso mancato il bersaglio».
Segue campionatura. La parola che avrebbe dovuto dimostrare la falsità del papiro perché anacronistica, in quanto accertata solo in età tardo-antica e bizantina, è stata letta male. Come non è anacronistico il riferimento alla Lusitania, conquistata per intero solo da Augusto, ma ben nota anche prima come generica entità geografica. La copiatura di mani e piedi non ha per modello le tavole dell`Enciclopedia, ma fa parte di una pratica artistica di lunghissimo periodo. Così come non lasciano scampo il raffronto tra le lettere greche usate dal copista e quella di documenti coevi; il nome della città di Ipsa, citata da Artemidoro, non è attestato nelle fonti letterarie, ma solo in tre monete scoperte nel 1986; l`uso di un particolare segno alfabetico per indicare i multipli è emerso solo nel 1907.
Gli inchiostri sono identici a quelli vegetali antichi, mentre Simonidis si accontentava di rozze imitazioni fatte con ruggine e acqua.
Ma al di là di prove scientifiche e riscontri puntuali, resta poco credibile l`ipotesi di un falsario che congegni un papiro così macchinoso, tra testo (di un autore tutto sommato minore), mappe e disegni (di mani diverse); che riesca a procurarsi un rotolo originale e intonso lungo tre metri e dopo averlo istoriato lo faccia a pezzi per mescolarlo con altri documenti (autentici); che prima di ridurlo a un conglomerato da imbottitura lo esponga all`umidità, così che parti del testo finiscono per stampigliarsi sul verso; che addirittura reincolli due fogli che si erano staccati. Il tutto a beneficio di qualcuno che cento anni dopo riesca a farne un affare lucroso ingannando mecenati e studiosi.
Il falsario agisce per lucro e/o per l`acre piacere della beffa, come nel caso celebre di Vermeer. Ma qui? Non è la prima volta che un filologo, lavorando esclusivamente sul testo, sulla sua lingua e sulla sua sintassi, senza affrontare il documento della sua fisicità tutta intera, finisce per forzare prove presunte a vantaggio di una tesi prefissata (pensiamo alla querelle Maria Corti/Dante Isella sul Partigiano Johnny di Fenoglio). La vera carriera scientifica del papiro di Artemidoro comincia adesso, come auspica lo stesso Settis, sollecitando nuove indagini e approfondimenti che ne svelino i molti misteri, compreso quello della provenienza.
ERNESTO FERRERO
La Stampa 11/12/2008
Sono ormai quasi tre anni che infuria lo scontro scientifico sul «Papiro di Artemidoro». Partito dalle riviste specializzate, il dibattito sulla sua autenticità - o, meglio, la rivendicazione della sua inautenticità - è proseguito sui quotidiani, ha nutrito libri, discussioni e seminari internazionali, si è trasformato in un complicato giallo archeologico.
Una pirotecnia fatta di alta erudizione, sottigliezze filologiche, raffinati strumenti d`indagine, ingegnose ricostruzioni storiche e archeologiche. Non poteva essere diversamente, visto il calibro dei duellanti: Salvatore Settis e i papirologi Claudio Gallazzi e Bàrbel Kramer da una parte, Luciano Canfora e i suoi allievi dall`altra.
Ma, uscita la monumentale, attrezzatissima edizione critica a febbraio 2008 (edizioni Led, Milano), è ora di fare ordine e chiarezza, senza rinunciare a coinvolgere anche i non specialisti. È quello che fa Settis con il suo agile e denso Artemidoro. Un papiro dal I al XXI secolo (Einaudi, pp. 126, €26), che ripercorre le complesse questioni legate a questo singolare rotolo «interruptus», uno e trino: copia (arenata misteriosamente dopo cinque colonne di testo) del secondo libro della Geografia di Artemidoro già andata perduta, per di più arricchita (caso rarissimo) da mappe il cui disegno è rimasto anch`esso allo stato d`abbozzo; poi usata in epoche successive come album da disegno che porta sul verso una quarantina di animali, e sul recto (ma di mano diversa) figure anatomiche: sei teste, nove mani, sette piedi. Un fascinoso intreccio di temi, problemi, datazioni, confronti, tra arte, letteratura e cartografia, pratiche di bottega, tecniche di scrittura, pittura e disegno, statue, calchi in gesso e mosaici. Naturalmente non poteva mancare la risposta di Settis ai suoi oppositori: ferma e misurata, ma dura nella sostanza.
«Impazienze». Così, con ironica sprezzatura, Settis intitola il capitolo in cui procede a smontare le contestazioni: «Più impaziente degli altri [papirologi e studiosi, ndr], uno solo (L. Canfora) non ha saputo attendere; e contro le buone pratiche e il buon senso si è sforzato di "anticipare" l`edizione principe con non meno di 1400 pagine, sue e di alcuni collaboratori, pubblicate da tre diverse case editrici di Bari». In questi scritti si attribuisce la confezione a un noto falsario dell`Ottocento, il greco Costantinos Simonidis, morto nel 1867 (secondo alcuni nel 1890). Avendo rinunciato a conoscere i dati che solo l`edizione poteva offrire, «naturale che questi studiosi abbiano spesso mancato il bersaglio».
Segue campionatura. La parola che avrebbe dovuto dimostrare la falsità del papiro perché anacronistica, in quanto accertata solo in età tardo-antica e bizantina, è stata letta male. Come non è anacronistico il riferimento alla Lusitania, conquistata per intero solo da Augusto, ma ben nota anche prima come generica entità geografica. La copiatura di mani e piedi non ha per modello le tavole dell`Enciclopedia, ma fa parte di una pratica artistica di lunghissimo periodo. Così come non lasciano scampo il raffronto tra le lettere greche usate dal copista e quella di documenti coevi; il nome della città di Ipsa, citata da Artemidoro, non è attestato nelle fonti letterarie, ma solo in tre monete scoperte nel 1986; l`uso di un particolare segno alfabetico per indicare i multipli è emerso solo nel 1907.
Gli inchiostri sono identici a quelli vegetali antichi, mentre Simonidis si accontentava di rozze imitazioni fatte con ruggine e acqua.
Ma al di là di prove scientifiche e riscontri puntuali, resta poco credibile l`ipotesi di un falsario che congegni un papiro così macchinoso, tra testo (di un autore tutto sommato minore), mappe e disegni (di mani diverse); che riesca a procurarsi un rotolo originale e intonso lungo tre metri e dopo averlo istoriato lo faccia a pezzi per mescolarlo con altri documenti (autentici); che prima di ridurlo a un conglomerato da imbottitura lo esponga all`umidità, così che parti del testo finiscono per stampigliarsi sul verso; che addirittura reincolli due fogli che si erano staccati. Il tutto a beneficio di qualcuno che cento anni dopo riesca a farne un affare lucroso ingannando mecenati e studiosi.
Il falsario agisce per lucro e/o per l`acre piacere della beffa, come nel caso celebre di Vermeer. Ma qui? Non è la prima volta che un filologo, lavorando esclusivamente sul testo, sulla sua lingua e sulla sua sintassi, senza affrontare il documento della sua fisicità tutta intera, finisce per forzare prove presunte a vantaggio di una tesi prefissata (pensiamo alla querelle Maria Corti/Dante Isella sul Partigiano Johnny di Fenoglio). La vera carriera scientifica del papiro di Artemidoro comincia adesso, come auspica lo stesso Settis, sollecitando nuove indagini e approfondimenti che ne svelino i molti misteri, compreso quello della provenienza.
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