Lévi-Strauss, una rivoluzionaria idea di uomo

La Repubblica 21.11.08
Lévi-Strauss, una rivoluzionaria idea di uomo
Il grande antropologo compie cent’anni il 28 novembre
di Marino Niola

Il padre dello strutturalismo non è diventato famoso per aver descritto popoli primitivi, ma per le implicazioni generali del suo pensiero che incidono profondamente sul rapporto natura-cultura aprendo strade del tutto nuove
Il suo è un attacco frontale alla concezione antropocentrica dell´universo
Ad essere scardinata è la storia della metafisica e dei suoi concetti

Il 28 novembre si festeggia il centesimo compleanno di Claude Lévi-Strauss. L´ultimo dei maîtres à penser. L´uomo che ha fatto dell´antropologia quel che Freud fece della psicoanalisi, cioè uno dei grandi saperi del Novecento. Non solo una disciplina specialistica, per pochi esploratori di mondi esotici, ma un nuovo modo di vedere l´uomo.
Nessun antropologo ha esercitato un´influenza altrettanto vasta al di fuori del proprio campo. Con questo moralista classico in presa diretta sullo stato d´urgenza planetaria l´antropologia va fuori di sé per diventare scommessa filosofica in grado di revocare in questione l´opposizione tra natura e cultura, e la definizione stessa dell´umano. A differenza di altri grandi antropologi come Franz Boas, Bronislaw Malinowski, Margaret Mead e Gregory Bateson, il padre dello strutturalismo non è divenuto celebre per aver descritto popoli primitivi ma piuttosto per le implicazioni generali del suo pensiero. E proprio in questo ampio respiro stanno il fascino e la sfida dell´impresa teorica levistraussiana.
L´antropologo francese non è stato il primo né il solo a sottolineare il carattere strutturale dei fenomeni sociali, ma la sua originalità sta nel prendere questo carattere sul serio e trarne imperturbabilmente le conseguenze. È naturale che una ricerca di questo tipo abbia suscitato discussioni e polemiche non fosse altro che per il fatto di condurre ad una messa in discussione di certe categorie tipiche dell´umanesimo occidentale, non ultimi i concetti di «uomo» e di «umanità». E d´altra parte in un celebre passo del Pensiero selvaggio Lévi-Strauss ha affermato che «il fine ultimo delle scienze umane non consiste nel costituire l´uomo ma nel dissolverlo».
La conoscenza dell´alterità, che rappresenta il compito dell´etnologia, è solo la prima tappa di un itinerario di ricerca delle invarianti che consentono di riassorbire «talune umanità particolari in una umanità generale». E dunque di «reintegrare la cultura nella natura e, in sostanza, la vita nell´insieme delle sue condizioni fisico-chimiche». Il vero oggetto della polemica levistraussiana è con tutta evidenza quell´umanismo che fonda i diritti dell´uomo sul carattere unico e privilegiato di una specie vivente, quella umana, anziché vedere in tale carattere un caso particolare dei diritti di tutte le specie. Più che di una professione di antiumanesimo si tratta di un attacco frontale portato alla sua declinazione antropocentrica, alla metafisica umanistica del soggetto. A questo insopportabile enfant gaté delle scienze umane, il grande antropologo oppone una concezione dell´uomo «che pone l´altro prima dell´io, e una concezione dell´umanità che, prima degli uomini, pone la vita». In questo senso è stato osservato che Lévi-Strauss ha contribuito a decostruire «la convinzione giudaico-cristiana e cartesiana secondo la quale la creatura umana è la sola ad essere stata creata ad immagine e somiglianza di Dio».
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Se si chiede ad un Indiano americano cosa sia un mito, ci sono molte probabilità che risponda: «una storia dei tempi in cui gli uomini e gli animali non erano ancora distinti». Questa definizione appare a Lévi-Strauss di grande profondità perché «malgrado le nuvole d´inchiostro sollevate dalla tradizione ebraico-cristiana per mascherarla, nessuna situazione pare più tragica, più offensiva per il cuore e per l´intelligenza, di quella di una umanità che coesiste con altre specie viventi su una terra di cui queste ultime condividono l´usufrutto e con le quali non può comunicare». Affiora qui il pessimismo dell´autore di Tristi Tropici che all´idea prometeica dell´uomo che assoggetta la natura, sostituisce una visione tragica del soggetto e di una natura entrambi mutilati, perché separati dall´altra parte di sé.
Un decentramento del soggetto che riflette l´idea di un rapporto non strumentale con la natura in cui, per dirla con Adorno, questa non è mero oggetto, Gegenstand, ma piuttosto partner, Gegenspieler. Già nei primi anni Cinquanta, con una sensibilità ecologista in largo anticipo sui movimenti ambientalisti attuali, l´antropologo francese denunciava il pericolo di un umanesimo narcisisticamente antropocentrico, e per ciò stesso etnocentrico, che dimentica i diritti del vivente in nome di un´idea astratta della vita, che fa dell´uomo il signore unico del pianeta e della sua riproduzione il fine ultimo della natura. In questo senso Michel Maffessoli ha ritenuto di poter accostare la denuncia levistraussiana del saccheggio del mondo alla critica heideggeriana della devastazione della terra da parte della metafisica.
Per Derrida la nascita stessa dell´antropologia è stata possibile a condizione di questo decentramento del soggetto che ha inizio «nel momento in cui la cultura europea - e di conseguenza la storia della metafisica e dei suoi concetti - è stata scardinata, scacciata dal suo posto, costretta quindi a non considerarsi più come cultura di riferimento». La critica dell´etnocentrismo, che è stata, e resta, la condizione stessa dei saperi antropologici è, per l´autore de La scrittura e la differenza, contemporanea, addirittura simultanea alla distruzione della storia della metafisica.
In un celebre testo dedicato a Jean-Jacques Rousseau, Lévi-Strauss istituisce una relazione tra l´identificazione agli altri, e addirittura «al più "altro" fra tutti gli altri, l´animale», e il rifiuto di tutto ciò che può rendere accettabile l´io. Il rifiuto insomma di quella trascendenza di ripiego che resta, a suo avviso, profondamente insediata nell´umanesimo. In molte occasioni il padre dello strutturalismo rimprovera infatti ai filosofi, in particolare agli esistenzialisti, di aver operato un rovesciamento prospettico, dando prova di un´autentica perversione epistemologica, pur di costruire un rifugio per l´io «nel quale quel misero tesoro che è l´identità personale tenda a essere protetto e dato che le due cose insieme sono impossibili essi preferiscono un soggetto senza razionalità a una razionalità senza soggetto». In questa idea di una razionalità senza soggetto affiora proprio quel «kantismo senza soggetto trascendentale» attribuito a Lévi-Strauss da Paul Ricoeur a proposito dell´analisi dei miti con la quale il grande antropologo ha offerto la formulazione più radicale delle sue tesi sull´accordo esistente tra cultura e natura, fra spirito e mondo.
E a quei filosofi che lo accusano di avere abolito il significato dei miti e di averne ridotto lo studio a sintassi di un discorso che non dice niente, Lévi-Strauss, nelle ultime pagine de L´uomo nudo, riserva una risposta a dir poco tranchante. Le mitologie, egli afferma, non nascondono nessuna verità metafisica né ideologica ma in compenso ci insegnano, per un verso, molte cose sulle società che le tramandano e per l´altro verso ci offrono l´accesso a certe modalità operative dello spirito così stabili nel tempo e ricorrenti nello spazio da poterle considerare basilari. E conclude con una suprema sprezzatura: «lungi dall´averne abolito il senso, la mia analisi dei miti di un pugno di tribù americane ne ha tratto più significato di quanto se ne trovi nelle banalità e nei luoghi comuni a cui si riducono, da circa duemilacinquecento anni, le riflessioni dei filosofi sulla mitologia, a eccezione di quelle di Plutarco».
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Molti hanno rimproverato allo strutturalismo un atteggiamento antistorico, ma in realtà Lévi-Strauss ha sempre tenuto a distinguere nettamente la storia, alla quale attribuisce un´importanza straordinaria, dalla filosofia della storia à la Sartre, una pseudo-storia che, in ogni sua versione, laica o confessionale, evoluzionista o storicista, costituisce un tentativo di sopprimere i problemi posti dalla diversità delle culture pur fingendo di riconoscerli in pieno. Tale filosofia della storia - che appare a Lévi-Strauss della medesima natura del mito - deriva dalla fede biblica in un compimento futuro e finisce con la secolarizzazione del suo modello escatologico che si muta in teoria del progresso. Il vizio costitutivo di tale filosofia, che rivolge verso il futuro il concetto classico di istorein e trasforma il racconto del passato in previsione del futuro, un futuro oggetto di un´attesa fideistica. In questo senso Lévi-Strauss non si limita a respingere l´accusa di antistoricismo ma, quel che più conta, rivendica all´antropologia un modo tutto proprio di interrogare i materiali storici, con quell´attenzione ai fatti minuti della vita quotidiana che fa degli etnologi gli «straccivendoli» della storia, quelli che rimestano nelle sue pattumiere.
E una vera e propria eterologia quella messa in opera da Claude Lévi-Strauss, in grado di farci cogliere quanto di noi stessi c´è nell´altro e quanto di altro si trova in fondo a noi stessi. Quel fondo che ci fa tutti parenti perché tutti differenti e che qualcuno continua a chiamare umanità.

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