Leopardi antropologo. l’Oriente oltre la siepe
l’Unità 23.9.08
Leopardi antropologo. l’Oriente oltre la siepe
di Antonio Prete
IL CONVEGNO La scrittura del poeta muove spesso da una prospettiva antropologica, che si affida di volta in volta all’altro, all’antico, o al lontano... come accade per i versi orientali che scorrono nella sua lingua. È l’inzio di una nuova stagione di studi leopardiani? Forse sì...
A Recanati quattro giorni con studiosi di tutto il mondo
Torna a Recanati, dopo quasi un decennio, un grande convegno internazionale organizzato dal Centro Nazionale di Studi Leopardiani. Da oggi a venerdì si discuterà su La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi. Aprirà il convegno, nell’aula Magna del Comune, Antonio Prete con un intervento su «Nomadismo dello sguardo e pensiero dell’alterità. Sull’antropologia poetica di Leopardi». A seguire Pietro Clemente («Comparazioni immaginative: Leopardi preantropologo»), Ernesto Miranda («Sulla natura degli uomini. Leopardi e l’antropologia filosofica»), Gilberto Lonardi («Prima della scrittura: il “qualunque”, il lontano, il canto con le ali del pastore dell’Asia»), Perle Abbrugiati («Se ben vi si guardasse. La critica leopardiana del pensiero a priori, tra filosofia e antropologia»). E ancora Marco Moneta («Dal bosco a civiltade. Antropologia e storia in Leopardi»), Alessandra Aloisi («Esperienza del sublime e dinamica del desiderio in Giacomo Leopardi»), Gilda Policastro («La ragion perché i morti ebber sotterra.... Per un’antropologia dell’Ade»). Nei giorni successivi interverranno, tra gli altri, Jean-Charles Vegliante, Joanna Ugniewska, Nicola Feo, Giulio Ferroni, Sebastian Neumeister, Massimo Natale, Michael Caesar, Gaspare Polizzi, Stefano Biancu, Maurizio Bettini, Gianni D’Elia, Alberto Folin, Marino Niola.
Il convegno che si apre oggi a Recanati ha per tema La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi. Per quattro giorni studiosi non solo italiani, e appartenenti a generazioni diverse, si incontreranno intorno alla grande esperienza di colui che della modernità ha colto, con straordinaria passione critica, il gioco delle maschere, il dominio dell’opinione e del danaro, le forme di astrazione e di violenza, la dimenticanza del «poetico», e dunque del vivente e corporeo, la trama resistente dell’egoismo e gli stili di sopraffazione.
Questo convegno, proposto dal Centro nazionale di studi leopardiani (ora rinnovato nel suo Comitato scientifico, diretto da Lucio Felici, e con la nuova presidenza del sindaco di Recanati, Fabio Corvatta) è dedicato alla memoria di Franco Foschi, che per vent’anni del Centro studi è stato Presidente attivissimo e solerte.
Nella grande Sala del Palazzo comunale di Recanati - inaugurata nel 1898 con una prolusione leopardiana di Carducci - si succederanno letture e interpretazioni: il vero soggetto della scena sarà, dunque, la scrittura leopardiana. Con la sua distanza da ogni sistematica e dottrinaria postura. Con le sue variabilissime forme (il testo poetico, il frammento teorico, il dialogo, il saggio, la lettera, l’indagine filologica, la traduzione). Con la sua libertà inventiva, che sempre prelude e domanda e mai si acquieta. Con la sua singolare capacità di unire meditazione e canto, interrogazione sul tragico dell’esistenza e invenzione poetica.
I convegni leopardiani a Recanati hanno scadenza quadriennale: per qualche giorno, nella città di vento e di pietra, dove la luce giunge, da una parte, dal mare, e dall’altra, dalla sconfinata onda collinare, accade che gli incontri di studiosi e le discussioni diano origine a solide amicizie intellettuali e anche a concreti progetti di ricerca. Molto devono gli studiosi a quegli incontri (quanto alla mia esperienza, tra tanti nomi, voglio fare quelli di Cesare Luporini e di Giuseppe Pacella).
Questo convegno cade in un momento in cui la presenza di Leopardi nelle diverse lingue appare consolidata nel solo modo per dir così duraturo, cioè attraverso le traduzioni, le edizioni, i commenti. Da pochi anni, presso Allia, è uscita l’edizione francese di tutto lo Zibaldone, nella traduzione di Bertrand Schefer. Le edizioni Allia - quasi in analogia a quello che in Italia hanno fatto Boringhieri per Freud e Adelphi per Nietzsche - hanno tradotto quasi tutto Leopardi: l’anno scorso è uscito l’intero Epistolario, nella bella traduzione di Monique Baccelli. È ora in corso la traduzione inglese dello Zibaldone, affidata a un’équipe diretta a Birmingham da Mike Caesar e Franco D’Intino. E il progetto di una traduzione spagnola dello Zibaldone sta per muovere i primi passi in Spagna, a cura di Blanca Muñiz che aveva già tradotto e commentato i Canti.
Tornando al tema del convegno, si potrebbe dire che nelle rappresentazioni dell’antico, della sua poesia, dei suoi miti, nella ricerca assidua intorno ai modi della civilizzazione, nello sguardo sui rapporti che intercorrono tra individui e nazioni, tra popoli e lingue, la riflessione di Leopardi muove spesso da una prospettiva antropologica. Anzi quella prospettiva per molti aspetti inaugura o contribuisce a definire. Ma, come accade per il rapporto tra filosofia e poesia, anche per il rapporto tra antropologia e poesia, ogni distinzione di genere è destinata a naufragare: lo sguardo antropologico, cioè quello sguardo capace di dislocarsi ogni volta nel punto di vista dell’altro, o del lontano, o dell’antico, o del fanciullo, o del cosiddetto primitivo, non si fissa in nessuna forma disciplinare o di sapere precostituito, e si affida di volta in volta alla narrazione, al dialogo, al frammento, al ritmo della poesia. Se le forme di questo sguardo hanno qualche precedente, esso va cercato nella capacità di incantamento degli antichi, nella grande tensione comparativa di Vico - nella sua genealogia della conoscenza -, nell’affabulazone critica di Montaigne, dei suoi Essais.
Per Leopardi la disposizione etnografica negli studi adolescenziali - dalle Dissertazioni filosofiche alla Storia della astronomia al Saggio sopra gli errori popolari degli antichi - non è mai abbandonata, e l’interesse per le rappresentazioni di culture e popoli lontani trascorre in molti passaggi dello Zibaldone. Singolare è, in questo senso, l’attenzione alle cronache del Nuovo Mondo. Non solo è criticata in più occasioni la «pretesa perfezione» della nostra civiltà, la quale sulla miseria dei molti fonda il benessere dei pochi, ma è rifiutata l’opposizione tra barbarie e civiltà («E generalmente noi chiamiamo barbaro quel ch’è diverso dalle nostre assuefazioni ecc.» ). Ed è rovesciato il senso delle immagini che gli europei hanno dei «Californi»: in analogia a quanto aveva fatto Montaigne nel saggio su Les Cannibales, a proposito dell’idea europea di sauvage, idea riportata alla sua vera radice, cioè intesa come relazione spontanea con la natura, sottratta dunque all’opposizione con «civilizzato».
Per Leopardi non solo il lontano, ma anche il vicino è oggetto di un’attenzione antropologica: va ricordato il rilievo che il poeta dà alle tradizioni popolari, in particolare a quelle marchigiane, al loro rapporto con l’oralità, il canto, la musica, la poesia.
Racconto fantastico dell’etnos e critica della civiltà, delle sue credenze, si uniscono nelle Operette morali: dalla Storia del genere umano alla Scommessa di Prometeo al dialogo della Moda e la Morte al Tristano il sapere della civiltà mostra la sua astrazione dal corpo, dai sensi, dal desiderio. E si dovrebbe ancora dire, nell’orizzonte di un’antropologia critica, del particolare orientalismo di Leopardi, di fatto assai poco studiato sino ad oggi. L’Oriente è per Leopardi una figura dello sguardo. Un principio di alterità. Da assumere come soglia per la critica. Ha la stessa funzione che ha la lontananza. Ci sono, nella scrittura leopardiana, passaggi rilevantissimi su un’idea di poesia «orientale» - accesa, piena di vita e di immaginazione, fortemente metaforica -, sulla poesia biblica e l’Oriente, sugli alfabeti orientali e il loro rapporto con le vocali, intese come le vere animatrici «di tutta la favella», e che di fatto scorrono in tutto il corpo della lingua «come il sangue per le vene degli animali». La stessa antropologia del male, quando nello Zibaldone si dispiega come meditazione sul «Tutto è male», è affidata allo sguardo di «un filosofo antico, indiano...».
L’origine, poi, della poesia, è osservata nella relazione tra memoria, oralità e canto. L’idea della radice musicale e popolare della poesia, del rapporto tra la voce e il ritmo, tra l’oralità e il verso non abbandonerà mai Leopardi e mostrerà del resto i suoi riflessi nella stessa poesia dei Canti. In particolare il Canto notturno di un pastore errante nell’Asia raccoglierà i tanti motivi fin qui esposti (l’occasione stessa di quel canto è dovuta, si sa, a una notizia antropologica sui canti lunari e malinconici dei nomadi Kirghisi).
E si dovrebbe ricordare lo studio leopardiano, nello Zibaldone, sul ruolo che ha l’assuefazione nella formazione delle opinioni, del gusto, e nelle rappresentazioni dell’altro. E ancora: lo studio della lingua e delle lingue dal punto di vista dei rapporti tra le culture, i popoli, i caratteri nazionali. La comparazione tra la società italiana - usanze, convenzioni, caratteri, uniformità, morale pubblica - e le società di altre nazioni «civili», così come appare nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani. Infine la riscrittura dell’idea di animalità, di linguaggio e pensiero animale, come prende forma al margine della lettura dell’Histoire naturelle di Buffon. Tutti motivi che il convegno recanatese esplorerà, avviando, c’è da augurarsi, una nuova stagione di studi leopardiani.
Leopardi antropologo. l’Oriente oltre la siepe
di Antonio Prete
IL CONVEGNO La scrittura del poeta muove spesso da una prospettiva antropologica, che si affida di volta in volta all’altro, all’antico, o al lontano... come accade per i versi orientali che scorrono nella sua lingua. È l’inzio di una nuova stagione di studi leopardiani? Forse sì...
A Recanati quattro giorni con studiosi di tutto il mondo
Torna a Recanati, dopo quasi un decennio, un grande convegno internazionale organizzato dal Centro Nazionale di Studi Leopardiani. Da oggi a venerdì si discuterà su La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi. Aprirà il convegno, nell’aula Magna del Comune, Antonio Prete con un intervento su «Nomadismo dello sguardo e pensiero dell’alterità. Sull’antropologia poetica di Leopardi». A seguire Pietro Clemente («Comparazioni immaginative: Leopardi preantropologo»), Ernesto Miranda («Sulla natura degli uomini. Leopardi e l’antropologia filosofica»), Gilberto Lonardi («Prima della scrittura: il “qualunque”, il lontano, il canto con le ali del pastore dell’Asia»), Perle Abbrugiati («Se ben vi si guardasse. La critica leopardiana del pensiero a priori, tra filosofia e antropologia»). E ancora Marco Moneta («Dal bosco a civiltade. Antropologia e storia in Leopardi»), Alessandra Aloisi («Esperienza del sublime e dinamica del desiderio in Giacomo Leopardi»), Gilda Policastro («La ragion perché i morti ebber sotterra.... Per un’antropologia dell’Ade»). Nei giorni successivi interverranno, tra gli altri, Jean-Charles Vegliante, Joanna Ugniewska, Nicola Feo, Giulio Ferroni, Sebastian Neumeister, Massimo Natale, Michael Caesar, Gaspare Polizzi, Stefano Biancu, Maurizio Bettini, Gianni D’Elia, Alberto Folin, Marino Niola.
Il convegno che si apre oggi a Recanati ha per tema La prospettiva antropologica nel pensiero e nella poesia di Giacomo Leopardi. Per quattro giorni studiosi non solo italiani, e appartenenti a generazioni diverse, si incontreranno intorno alla grande esperienza di colui che della modernità ha colto, con straordinaria passione critica, il gioco delle maschere, il dominio dell’opinione e del danaro, le forme di astrazione e di violenza, la dimenticanza del «poetico», e dunque del vivente e corporeo, la trama resistente dell’egoismo e gli stili di sopraffazione.
Questo convegno, proposto dal Centro nazionale di studi leopardiani (ora rinnovato nel suo Comitato scientifico, diretto da Lucio Felici, e con la nuova presidenza del sindaco di Recanati, Fabio Corvatta) è dedicato alla memoria di Franco Foschi, che per vent’anni del Centro studi è stato Presidente attivissimo e solerte.
Nella grande Sala del Palazzo comunale di Recanati - inaugurata nel 1898 con una prolusione leopardiana di Carducci - si succederanno letture e interpretazioni: il vero soggetto della scena sarà, dunque, la scrittura leopardiana. Con la sua distanza da ogni sistematica e dottrinaria postura. Con le sue variabilissime forme (il testo poetico, il frammento teorico, il dialogo, il saggio, la lettera, l’indagine filologica, la traduzione). Con la sua libertà inventiva, che sempre prelude e domanda e mai si acquieta. Con la sua singolare capacità di unire meditazione e canto, interrogazione sul tragico dell’esistenza e invenzione poetica.
I convegni leopardiani a Recanati hanno scadenza quadriennale: per qualche giorno, nella città di vento e di pietra, dove la luce giunge, da una parte, dal mare, e dall’altra, dalla sconfinata onda collinare, accade che gli incontri di studiosi e le discussioni diano origine a solide amicizie intellettuali e anche a concreti progetti di ricerca. Molto devono gli studiosi a quegli incontri (quanto alla mia esperienza, tra tanti nomi, voglio fare quelli di Cesare Luporini e di Giuseppe Pacella).
Questo convegno cade in un momento in cui la presenza di Leopardi nelle diverse lingue appare consolidata nel solo modo per dir così duraturo, cioè attraverso le traduzioni, le edizioni, i commenti. Da pochi anni, presso Allia, è uscita l’edizione francese di tutto lo Zibaldone, nella traduzione di Bertrand Schefer. Le edizioni Allia - quasi in analogia a quello che in Italia hanno fatto Boringhieri per Freud e Adelphi per Nietzsche - hanno tradotto quasi tutto Leopardi: l’anno scorso è uscito l’intero Epistolario, nella bella traduzione di Monique Baccelli. È ora in corso la traduzione inglese dello Zibaldone, affidata a un’équipe diretta a Birmingham da Mike Caesar e Franco D’Intino. E il progetto di una traduzione spagnola dello Zibaldone sta per muovere i primi passi in Spagna, a cura di Blanca Muñiz che aveva già tradotto e commentato i Canti.
Tornando al tema del convegno, si potrebbe dire che nelle rappresentazioni dell’antico, della sua poesia, dei suoi miti, nella ricerca assidua intorno ai modi della civilizzazione, nello sguardo sui rapporti che intercorrono tra individui e nazioni, tra popoli e lingue, la riflessione di Leopardi muove spesso da una prospettiva antropologica. Anzi quella prospettiva per molti aspetti inaugura o contribuisce a definire. Ma, come accade per il rapporto tra filosofia e poesia, anche per il rapporto tra antropologia e poesia, ogni distinzione di genere è destinata a naufragare: lo sguardo antropologico, cioè quello sguardo capace di dislocarsi ogni volta nel punto di vista dell’altro, o del lontano, o dell’antico, o del fanciullo, o del cosiddetto primitivo, non si fissa in nessuna forma disciplinare o di sapere precostituito, e si affida di volta in volta alla narrazione, al dialogo, al frammento, al ritmo della poesia. Se le forme di questo sguardo hanno qualche precedente, esso va cercato nella capacità di incantamento degli antichi, nella grande tensione comparativa di Vico - nella sua genealogia della conoscenza -, nell’affabulazone critica di Montaigne, dei suoi Essais.
Per Leopardi la disposizione etnografica negli studi adolescenziali - dalle Dissertazioni filosofiche alla Storia della astronomia al Saggio sopra gli errori popolari degli antichi - non è mai abbandonata, e l’interesse per le rappresentazioni di culture e popoli lontani trascorre in molti passaggi dello Zibaldone. Singolare è, in questo senso, l’attenzione alle cronache del Nuovo Mondo. Non solo è criticata in più occasioni la «pretesa perfezione» della nostra civiltà, la quale sulla miseria dei molti fonda il benessere dei pochi, ma è rifiutata l’opposizione tra barbarie e civiltà («E generalmente noi chiamiamo barbaro quel ch’è diverso dalle nostre assuefazioni ecc.» ). Ed è rovesciato il senso delle immagini che gli europei hanno dei «Californi»: in analogia a quanto aveva fatto Montaigne nel saggio su Les Cannibales, a proposito dell’idea europea di sauvage, idea riportata alla sua vera radice, cioè intesa come relazione spontanea con la natura, sottratta dunque all’opposizione con «civilizzato».
Per Leopardi non solo il lontano, ma anche il vicino è oggetto di un’attenzione antropologica: va ricordato il rilievo che il poeta dà alle tradizioni popolari, in particolare a quelle marchigiane, al loro rapporto con l’oralità, il canto, la musica, la poesia.
Racconto fantastico dell’etnos e critica della civiltà, delle sue credenze, si uniscono nelle Operette morali: dalla Storia del genere umano alla Scommessa di Prometeo al dialogo della Moda e la Morte al Tristano il sapere della civiltà mostra la sua astrazione dal corpo, dai sensi, dal desiderio. E si dovrebbe ancora dire, nell’orizzonte di un’antropologia critica, del particolare orientalismo di Leopardi, di fatto assai poco studiato sino ad oggi. L’Oriente è per Leopardi una figura dello sguardo. Un principio di alterità. Da assumere come soglia per la critica. Ha la stessa funzione che ha la lontananza. Ci sono, nella scrittura leopardiana, passaggi rilevantissimi su un’idea di poesia «orientale» - accesa, piena di vita e di immaginazione, fortemente metaforica -, sulla poesia biblica e l’Oriente, sugli alfabeti orientali e il loro rapporto con le vocali, intese come le vere animatrici «di tutta la favella», e che di fatto scorrono in tutto il corpo della lingua «come il sangue per le vene degli animali». La stessa antropologia del male, quando nello Zibaldone si dispiega come meditazione sul «Tutto è male», è affidata allo sguardo di «un filosofo antico, indiano...».
L’origine, poi, della poesia, è osservata nella relazione tra memoria, oralità e canto. L’idea della radice musicale e popolare della poesia, del rapporto tra la voce e il ritmo, tra l’oralità e il verso non abbandonerà mai Leopardi e mostrerà del resto i suoi riflessi nella stessa poesia dei Canti. In particolare il Canto notturno di un pastore errante nell’Asia raccoglierà i tanti motivi fin qui esposti (l’occasione stessa di quel canto è dovuta, si sa, a una notizia antropologica sui canti lunari e malinconici dei nomadi Kirghisi).
E si dovrebbe ricordare lo studio leopardiano, nello Zibaldone, sul ruolo che ha l’assuefazione nella formazione delle opinioni, del gusto, e nelle rappresentazioni dell’altro. E ancora: lo studio della lingua e delle lingue dal punto di vista dei rapporti tra le culture, i popoli, i caratteri nazionali. La comparazione tra la società italiana - usanze, convenzioni, caratteri, uniformità, morale pubblica - e le società di altre nazioni «civili», così come appare nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani. Infine la riscrittura dell’idea di animalità, di linguaggio e pensiero animale, come prende forma al margine della lettura dell’Histoire naturelle di Buffon. Tutti motivi che il convegno recanatese esplorerà, avviando, c’è da augurarsi, una nuova stagione di studi leopardiani.
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