Caravaggio star, il trionfo del vedere
Corriere della Sera 28.8.08
Perché è uno degli artisti più grandi
Caravaggio star, il trionfo del vedere
di Carlo Bertelli
I suoi dipinti come il copione di un film E «sporcava» i santi con la vita vera
Caravaggio e Piero della Francesca sono riscoperte del XX secolo. Ne siamo debitori a due storici di sensibilità moderna, l'inglese Roger Fry e il nostro Roberto Longhi. Eppure nulla sembra legare Piero a Caravaggio. Anzi Caravaggio piomba nella storia come un inatteso meteorite. I suoi contemporanei disegnavano senza sosta. Di lui, invece, non esiste neppure un disegno. E quando si fecero le radiografie di tutte le sue opere conosciute, si scoprì che sotto il colore non vi era disegno alcuno. Il disegno isola e ragiona, mentre a Caravaggio interessava la totalità e la bruciante realtà della scena. La sua pittura era un trionfo del vedere.
Quando dipingeva, Caravaggio non partiva dall'immagine di una figura da mettere in uno sfondo. Partiva dall'intera scena. Anzi dalla sceneggiatura del film. Le radiografie del Martirio di san Matteo, in San Luigi dei Francesi a Roma, hanno dimostrato un furioso accumulo di varianti condotte sulla stessa tela. Non sono varianti di poco conto. È la regia del racconto che viene messa ogni volta in discussione.
Michelangelo Merisi aveva esordito nella bottega milanese di Simone Peterzano, che vantava un alunnato presso Tiziano. Non aveva dunque una formazione manierista. Ma a Roma si trovò a lavorare con un principe della pittura manieristica, il Cavalier d'Arpino. Con indubbia abilità, ma anche con prepotenza, riuscì a «fare le scarpe» al maestro. Dipinse lui, al suo posto, il quadro d'altare per la cappella di San Luigi dei Francesi.
A un certo momento il quadro era stato sostituito con una statua, poi di nuovo fu chiesto al Caravaggio di eseguirne un altro. Quello vecchio lo aveva comprato il cardinale Francesco Maria del Monte. Il cardinale apparteneva a una solida rete di intellettuali non conformisti. Era amico di quel Galileo Galilei che aveva anche lui esercitato la verifica dell'occhio, fino a scoprire che persino il sole, l'astro perfetto, aveva le macchie e girava sul proprio asse,trascinando i pianeti. La cerchia di protettori comprendeva anche Vincenzo Giustiniani, Ciriaco Mattei, il giovane monsignore Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Il Caravaggio aveva bisogno del loro sostegno non soltanto per un conforto d'idee, ma per i grossi guai in cui facilmente si cacciava. Nel 1603 era al centro di un processo per calunnia che toccava tutta la numerosa schiera dei pittori di Roma. Quasi ogni mese, dal 1600, c'è qualcuno che sporge querela contro il Caravaggio che l'ha aggredito o insultato. Gli atti del processo del 1603 sono preziosi non solo perché vi appare in pieno la fierezza del Caravaggio, ma per un'affermazione di principio: un pittore «valent'uomo» è per Caravaggio chi «sa dipinger bene e imitar bene le cose naturali». Non dice, naturalmente, qual è il segreto della sua pittura.
La sua dichiarazione corrisponde perfettamente ad un'altra, riferita dal marchese Giustiniani: «Disse il Caravaggio, che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, quanto di figure». La pittura è l'arte del descrivere la realtà, senza pregiudizi. Fiero e violento con gli altri, con se stesso il Caravaggio era ferocemente autocritico. Nessun altro avrebbe sacrificato brani di pittura splendidi, come quelli della prima redazione della Conversione di san Paolo, per passare alla versione definitiva, quella in Santa Maria del Popolo. Tutto è stato sfrondato, denudato, ridotto all'essenziale. Mai il miracolo era stato sentito in modo così interiore.
La realtà non è fatta solo di fiori e di frutta. È fatta di uomini. E Caravaggio si mischia agli altri uomini, siano prostitute, bari, lenoni o fattucchiere. Con loro rischia, conosce la loro vita, la traduce nei quadri. I pellegrini davanti alla Madonna di Loreto hanno i piedi sporchi e li mostrano sotto gli occhi dell'officiante. Una prostituta, che aveva il bel nome classico di Fillide, diventa una santa Caterina. Caravaggio sa bene che i suoi personaggi a Roma sono riconoscibili. Tanto più la sua verità sarà sconvolgente. Del resto, ama farsi testimone lui stesso. È alle spalle di sant'Orsola quando la martire è colpita dalla freccia del tiranno, si mostra come la testa tagliata di Golia, grondante sangue, nel Davide della Galleria Borghese. Inseparabile dalla sua arte è la sua vita tumultuosa, dell'uomo che arriva a uccidere per orgoglio, che dalla prigione passa alla mensa dei Cavalieri di Malta, che infine muore febbricitante e solo sulla spiaggia di Porto Ercole,in attesa d'una lettera assolutoria che non arriva. Un grande regista, Derek Jarman, in un film dell' 86, ha saputo raccontare in modo penetrante il travaso continuo di Caravaggio dalla vita all'arte, il suo essere allo stesso tempo aristocratico e popolano.
Perché è uno degli artisti più grandi
Caravaggio star, il trionfo del vedere
di Carlo Bertelli
I suoi dipinti come il copione di un film E «sporcava» i santi con la vita vera
Caravaggio e Piero della Francesca sono riscoperte del XX secolo. Ne siamo debitori a due storici di sensibilità moderna, l'inglese Roger Fry e il nostro Roberto Longhi. Eppure nulla sembra legare Piero a Caravaggio. Anzi Caravaggio piomba nella storia come un inatteso meteorite. I suoi contemporanei disegnavano senza sosta. Di lui, invece, non esiste neppure un disegno. E quando si fecero le radiografie di tutte le sue opere conosciute, si scoprì che sotto il colore non vi era disegno alcuno. Il disegno isola e ragiona, mentre a Caravaggio interessava la totalità e la bruciante realtà della scena. La sua pittura era un trionfo del vedere.
Quando dipingeva, Caravaggio non partiva dall'immagine di una figura da mettere in uno sfondo. Partiva dall'intera scena. Anzi dalla sceneggiatura del film. Le radiografie del Martirio di san Matteo, in San Luigi dei Francesi a Roma, hanno dimostrato un furioso accumulo di varianti condotte sulla stessa tela. Non sono varianti di poco conto. È la regia del racconto che viene messa ogni volta in discussione.
Michelangelo Merisi aveva esordito nella bottega milanese di Simone Peterzano, che vantava un alunnato presso Tiziano. Non aveva dunque una formazione manierista. Ma a Roma si trovò a lavorare con un principe della pittura manieristica, il Cavalier d'Arpino. Con indubbia abilità, ma anche con prepotenza, riuscì a «fare le scarpe» al maestro. Dipinse lui, al suo posto, il quadro d'altare per la cappella di San Luigi dei Francesi.
A un certo momento il quadro era stato sostituito con una statua, poi di nuovo fu chiesto al Caravaggio di eseguirne un altro. Quello vecchio lo aveva comprato il cardinale Francesco Maria del Monte. Il cardinale apparteneva a una solida rete di intellettuali non conformisti. Era amico di quel Galileo Galilei che aveva anche lui esercitato la verifica dell'occhio, fino a scoprire che persino il sole, l'astro perfetto, aveva le macchie e girava sul proprio asse,trascinando i pianeti. La cerchia di protettori comprendeva anche Vincenzo Giustiniani, Ciriaco Mattei, il giovane monsignore Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Il Caravaggio aveva bisogno del loro sostegno non soltanto per un conforto d'idee, ma per i grossi guai in cui facilmente si cacciava. Nel 1603 era al centro di un processo per calunnia che toccava tutta la numerosa schiera dei pittori di Roma. Quasi ogni mese, dal 1600, c'è qualcuno che sporge querela contro il Caravaggio che l'ha aggredito o insultato. Gli atti del processo del 1603 sono preziosi non solo perché vi appare in pieno la fierezza del Caravaggio, ma per un'affermazione di principio: un pittore «valent'uomo» è per Caravaggio chi «sa dipinger bene e imitar bene le cose naturali». Non dice, naturalmente, qual è il segreto della sua pittura.
La sua dichiarazione corrisponde perfettamente ad un'altra, riferita dal marchese Giustiniani: «Disse il Caravaggio, che tanta manifattura gli era a fare un quadro buono di fiori, quanto di figure». La pittura è l'arte del descrivere la realtà, senza pregiudizi. Fiero e violento con gli altri, con se stesso il Caravaggio era ferocemente autocritico. Nessun altro avrebbe sacrificato brani di pittura splendidi, come quelli della prima redazione della Conversione di san Paolo, per passare alla versione definitiva, quella in Santa Maria del Popolo. Tutto è stato sfrondato, denudato, ridotto all'essenziale. Mai il miracolo era stato sentito in modo così interiore.
La realtà non è fatta solo di fiori e di frutta. È fatta di uomini. E Caravaggio si mischia agli altri uomini, siano prostitute, bari, lenoni o fattucchiere. Con loro rischia, conosce la loro vita, la traduce nei quadri. I pellegrini davanti alla Madonna di Loreto hanno i piedi sporchi e li mostrano sotto gli occhi dell'officiante. Una prostituta, che aveva il bel nome classico di Fillide, diventa una santa Caterina. Caravaggio sa bene che i suoi personaggi a Roma sono riconoscibili. Tanto più la sua verità sarà sconvolgente. Del resto, ama farsi testimone lui stesso. È alle spalle di sant'Orsola quando la martire è colpita dalla freccia del tiranno, si mostra come la testa tagliata di Golia, grondante sangue, nel Davide della Galleria Borghese. Inseparabile dalla sua arte è la sua vita tumultuosa, dell'uomo che arriva a uccidere per orgoglio, che dalla prigione passa alla mensa dei Cavalieri di Malta, che infine muore febbricitante e solo sulla spiaggia di Porto Ercole,in attesa d'una lettera assolutoria che non arriva. Un grande regista, Derek Jarman, in un film dell' 86, ha saputo raccontare in modo penetrante il travaso continuo di Caravaggio dalla vita all'arte, il suo essere allo stesso tempo aristocratico e popolano.
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