Tutti pazzi per il David
La Repubblica 11.7.08
Tutti pazzi per il David
"Mi sono innamorato di una statua" Uno studio di Graziella Magherini
Gli shock da capolavoro
di Luciana Sica
Nel nuovo volume i commenti al "nudo più bello del mondo"
Vent´anni fa il libro dell´autrice su "La Sindrome di Stendhal"
Se è vero - come pensa, ad esempio, Jean-Luc Nancy - che la grande arte rimette in gioco il senso del mondo, è ancora più probabile - come sostiene la psicoanalisi - che la bellezza metta in crisi l´identità di chi la "fruisce": difficilmente si osserva un capolavoro rimanendo distaccati, passivi, freddi, imperturbabili, uguali a sé stessi. L´arte incanta ma spiazza, tende a destrutturare la personalità, è estraniante e a volte pericolosa: il potere evocativo delle immagini sempre rivela, anzi svela qualcosa - rompe equilibri, scardina certezze, apre squarci sulle dimenticanze, dando scacco ai trucchi della mente.
L´esperienza estetica può fare "ammalare", di una malattia tra le più nobili, ci ha detto ormai vent´anni fa Graziella Magherini - psichiatra e psicoanalista fiorentina - in un libro che è stato un gran successo: La sindrome di Stendhal è uscito nel 1989, ha avuto tre diverse edizioni, molte ristampe, più traduzioni, ispirando anche il film omonimo di Dario Argento. Senz´altro un caso editoriale, almeno per la saggistica in genere inchiodata ai piccoli numeri, destinata a un pubblico inevitabilmente ristretto.
Da allora non ha smesso le sue ricerche la Magherini, oggi una libera professionista sui settantacinque anni, analista "didatta" e presidente dell´International Association for Art and Psychology (con un gruppo di studio anche a New York). Da tempo ha lasciato la direzione del reparto psichiatrico dell´ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze e il lavoro ambulatoriale nel centro della città, luoghi privilegiati di osservazione in cui per anni ha visto arrivare turisti stranieri in preda a scompensi psichici anche molto acuti, episodi clamorosi che colpivano i viaggiatori in una delle città d´arte per eccellenza, costringendoli spesso al ricovero - tra crisi depressive e terrore di morire, nostalgie violente ed euforie immotivate, pensieri onnipotenti e sentimenti di estraniazione, percezioni confuse di realtà minacciose, a tratti persecutorie: "casi" stupefacenti che la Magherini ha poi racchiuso - con vena elegantemente narrativa - nella Sindrome di Stendhal.
Ma perché il nome di Stendhal? Perché fu lo stesso autore francese a scrivere - in un diario di viaggio in Italia - di un improvviso e misterioso malessere che lo colse proprio nel capoluogo toscano, durante una visita nella basilica di Santa Croce. Troppe emozioni dentro quella chiesa, con tutto il carico di quella storia e quelle tombe di personaggi smisurati... Stendhal fu preso da qualcosa di simile a un attacco di panico, una specie di vertigine che lo costrinse a uscire nella piazza («la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere»). Si mise allora seduto su una panchina, tirò fuori dal portafoglio i versi dei Sepolcri di Foscolo che da uomo colto aveva provvidenzialmente portato con sé e quella lettura risultò terapeutica, ebbe il potere di riportarlo alla calma («avevo bisogno della voce di un amico che condividesse la mia emozione»).
Nel corso del tempo, la Magherini ha via via allargato il campo dei suoi interessi: non si è occupata più soltanto di quel che succede nella testa dei turisti particolarmente fragili, inclini all´esperienza di una "pazzia" fortunatamente provvisoria di fronte all´eccesso del Bello, ma dei turbamenti più comuni che in vario modo colpiscono i viaggiatori attratti dalle opere d´arte. E cioè, di quale sia il funzionamento normale della mente nella circostanza particolare della fruizione artistica, aldilà dei casi-limite, di quella che l´autrice definisce "la punta dell´iceberg". Da qui è nato il suo nuovo libro che curiosamente si chiama Mi sono innamorato di una statua ed è scritto in italiano e in inglese, sin dall´inizio pensato e pubblicato per un pubblico internazionale (sottotitolo "Oltre la Sindrome di Stendhal", foto di Luciana Majoni, Nicomp L. E., pagg. 360, euro 24).
"Mi sono innamorato di una statua": intanto è un uomo che parla, non proprio un dettaglio. Più precisamente è il commento di un ragazzo dall´incerta identità psicosessuale che ha appena visto il David di Michelangelo, "il nudo più bello del mondo", alla Galleria dell´Accademia di Firenze. La Magherini e la sua équipe hanno svolto un´indagine per analizzare le reazioni dei visitatori nel corso di un anno (autunno 2004 - autunno 2005) raccogliendo diciassette registri e tredicimila impressioni e commenti ora sintetizzati nell´ultimo capitolo del volume.
Fra le decine di frasi che si leggono, alcune si riferiscono alla corporeità della scultura, nel segno del desiderio ma anche della competizione: «Il David è grandioso... mi attira il fondo schiena», «E´ caricato di una tensione quasi insopportabile», «Pene troppo piccolo», «Sono più bello io». A tratti si riconoscono turbamenti espliciti («È un´opera che ti sopraffa», «Lo struggimento ti rende pazzo»), plateali dichiarazioni d´amore («Mi ha aperto il cuore e tolto il fiato»), riferimenti sessuali («Sono allibito dal corpo fallico»). Neppure mancano le identificazioni («Io sono il David) come le manifestazioni di ostilità («Se ti tiro un pugno ti smonto»).
Dice la Magherini: «Abbiamo assistito a un concerto di voci con segnali diversi: attrazione, sorpresa, sconcerto, abbandono, esaudimento del proprio ideale dell´Io. A volte gli stati d´animo si fanno più intensi: dall´incantamento al fastidio, dal rapimento all´impulso vandalico: un laboratorio di emozioni fortemente esercitate che indica come ognuno viva le opere d´arte secondo gli stimoli provenienti dalle profondità della realtà psichica».
Scorrendo le pagine del volume, è intanto chiarissimo che siamo nella celebre dimensione freudiana dell´unheimlich, termine tedesco tradotto in italiano con perturbante: il contrario di quel che è confortevole, familiare, abituale, tranquillo. Nel contatto con l´arte, può tornare nel teatro della mente un elemento rimosso ma che ci era da sempre familiare, un déjà-vu con un che di angoscioso: è comunque un "qualcosa" che doveva rimanere nascosto e che invece all´improvviso si ripresenta alla coscienza.
Non solo, però. Può esserci anche il riaffiorare di elementi più grezzi e arcaici dell´inconscio, o per dirla meglio con la Magherini: «L´incontro con un´opera d´arte può "mettere in forma" un´esperienza emozionale che non aveva ancora conseguito un´immagine nella vita mentale, non tradotta in simboli, non rappresentata, non pensabile, non dicibile e tuttavia fortemente attiva, significativa e disturbante: è quello che si può definire il perturbante psicotico».
Come a dire: in certi casi la bellezza non solo entra in risonanza con aspetti conflittuali del nostro mondo interno, ma può renderli riconoscibili e tollerabili, come se il linguaggio dell´arte fosse capace di contenere gli aspetti più estremi di noi, forse proprio quei "nuclei psicotici" (non solo nevrotici) che affondano nell´inconscio ma a tratti possono riemergere - così la pensa, ad esempio, anche Salomon Resnik.
Ma c´è anche un altro elemento su cui la Magherini insiste non poco, citando peraltro diversi autori, dalla Klein a Bion, da Gaddini a Meltzer: l´esperienza estetica riattualizza la dimensione estatica tra madre e neonato, «nell´incontro con la bellezza, l´oggetto estetico richiama l´oggetto primario perduto, viene liberata un´energia fino a quel momento incapsulata, una fonte di piacere, con un´immissione di parti di sé nell´operazione visiva, che non è affatto solo contemplativa, ma radicalmente partecipativa».
Senz´altro, quando ci si trova davanti a un capolavoro assoluto come il David di Michelangelo, al "troppo bello per essere vero", la reazione più comune è un sentimento d´insolita vivificazione del mondo interno, accompagnato da una leggera dispercezione della realtà che può avere forme molto diverse ma trae la sua origine da un passato remoto mai del tutto cancellato: con tutta probabilità è la nostalgia di un tempo pervaso dal principio del piacere, quando c´era "tutto" e il desiderio non dipendeva ancora dalla mancanza.
Tutti pazzi per il David
"Mi sono innamorato di una statua" Uno studio di Graziella Magherini
Gli shock da capolavoro
di Luciana Sica
Nel nuovo volume i commenti al "nudo più bello del mondo"
Vent´anni fa il libro dell´autrice su "La Sindrome di Stendhal"
Se è vero - come pensa, ad esempio, Jean-Luc Nancy - che la grande arte rimette in gioco il senso del mondo, è ancora più probabile - come sostiene la psicoanalisi - che la bellezza metta in crisi l´identità di chi la "fruisce": difficilmente si osserva un capolavoro rimanendo distaccati, passivi, freddi, imperturbabili, uguali a sé stessi. L´arte incanta ma spiazza, tende a destrutturare la personalità, è estraniante e a volte pericolosa: il potere evocativo delle immagini sempre rivela, anzi svela qualcosa - rompe equilibri, scardina certezze, apre squarci sulle dimenticanze, dando scacco ai trucchi della mente.
L´esperienza estetica può fare "ammalare", di una malattia tra le più nobili, ci ha detto ormai vent´anni fa Graziella Magherini - psichiatra e psicoanalista fiorentina - in un libro che è stato un gran successo: La sindrome di Stendhal è uscito nel 1989, ha avuto tre diverse edizioni, molte ristampe, più traduzioni, ispirando anche il film omonimo di Dario Argento. Senz´altro un caso editoriale, almeno per la saggistica in genere inchiodata ai piccoli numeri, destinata a un pubblico inevitabilmente ristretto.
Da allora non ha smesso le sue ricerche la Magherini, oggi una libera professionista sui settantacinque anni, analista "didatta" e presidente dell´International Association for Art and Psychology (con un gruppo di studio anche a New York). Da tempo ha lasciato la direzione del reparto psichiatrico dell´ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze e il lavoro ambulatoriale nel centro della città, luoghi privilegiati di osservazione in cui per anni ha visto arrivare turisti stranieri in preda a scompensi psichici anche molto acuti, episodi clamorosi che colpivano i viaggiatori in una delle città d´arte per eccellenza, costringendoli spesso al ricovero - tra crisi depressive e terrore di morire, nostalgie violente ed euforie immotivate, pensieri onnipotenti e sentimenti di estraniazione, percezioni confuse di realtà minacciose, a tratti persecutorie: "casi" stupefacenti che la Magherini ha poi racchiuso - con vena elegantemente narrativa - nella Sindrome di Stendhal.
Ma perché il nome di Stendhal? Perché fu lo stesso autore francese a scrivere - in un diario di viaggio in Italia - di un improvviso e misterioso malessere che lo colse proprio nel capoluogo toscano, durante una visita nella basilica di Santa Croce. Troppe emozioni dentro quella chiesa, con tutto il carico di quella storia e quelle tombe di personaggi smisurati... Stendhal fu preso da qualcosa di simile a un attacco di panico, una specie di vertigine che lo costrinse a uscire nella piazza («la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere»). Si mise allora seduto su una panchina, tirò fuori dal portafoglio i versi dei Sepolcri di Foscolo che da uomo colto aveva provvidenzialmente portato con sé e quella lettura risultò terapeutica, ebbe il potere di riportarlo alla calma («avevo bisogno della voce di un amico che condividesse la mia emozione»).
Nel corso del tempo, la Magherini ha via via allargato il campo dei suoi interessi: non si è occupata più soltanto di quel che succede nella testa dei turisti particolarmente fragili, inclini all´esperienza di una "pazzia" fortunatamente provvisoria di fronte all´eccesso del Bello, ma dei turbamenti più comuni che in vario modo colpiscono i viaggiatori attratti dalle opere d´arte. E cioè, di quale sia il funzionamento normale della mente nella circostanza particolare della fruizione artistica, aldilà dei casi-limite, di quella che l´autrice definisce "la punta dell´iceberg". Da qui è nato il suo nuovo libro che curiosamente si chiama Mi sono innamorato di una statua ed è scritto in italiano e in inglese, sin dall´inizio pensato e pubblicato per un pubblico internazionale (sottotitolo "Oltre la Sindrome di Stendhal", foto di Luciana Majoni, Nicomp L. E., pagg. 360, euro 24).
"Mi sono innamorato di una statua": intanto è un uomo che parla, non proprio un dettaglio. Più precisamente è il commento di un ragazzo dall´incerta identità psicosessuale che ha appena visto il David di Michelangelo, "il nudo più bello del mondo", alla Galleria dell´Accademia di Firenze. La Magherini e la sua équipe hanno svolto un´indagine per analizzare le reazioni dei visitatori nel corso di un anno (autunno 2004 - autunno 2005) raccogliendo diciassette registri e tredicimila impressioni e commenti ora sintetizzati nell´ultimo capitolo del volume.
Fra le decine di frasi che si leggono, alcune si riferiscono alla corporeità della scultura, nel segno del desiderio ma anche della competizione: «Il David è grandioso... mi attira il fondo schiena», «E´ caricato di una tensione quasi insopportabile», «Pene troppo piccolo», «Sono più bello io». A tratti si riconoscono turbamenti espliciti («È un´opera che ti sopraffa», «Lo struggimento ti rende pazzo»), plateali dichiarazioni d´amore («Mi ha aperto il cuore e tolto il fiato»), riferimenti sessuali («Sono allibito dal corpo fallico»). Neppure mancano le identificazioni («Io sono il David) come le manifestazioni di ostilità («Se ti tiro un pugno ti smonto»).
Dice la Magherini: «Abbiamo assistito a un concerto di voci con segnali diversi: attrazione, sorpresa, sconcerto, abbandono, esaudimento del proprio ideale dell´Io. A volte gli stati d´animo si fanno più intensi: dall´incantamento al fastidio, dal rapimento all´impulso vandalico: un laboratorio di emozioni fortemente esercitate che indica come ognuno viva le opere d´arte secondo gli stimoli provenienti dalle profondità della realtà psichica».
Scorrendo le pagine del volume, è intanto chiarissimo che siamo nella celebre dimensione freudiana dell´unheimlich, termine tedesco tradotto in italiano con perturbante: il contrario di quel che è confortevole, familiare, abituale, tranquillo. Nel contatto con l´arte, può tornare nel teatro della mente un elemento rimosso ma che ci era da sempre familiare, un déjà-vu con un che di angoscioso: è comunque un "qualcosa" che doveva rimanere nascosto e che invece all´improvviso si ripresenta alla coscienza.
Non solo, però. Può esserci anche il riaffiorare di elementi più grezzi e arcaici dell´inconscio, o per dirla meglio con la Magherini: «L´incontro con un´opera d´arte può "mettere in forma" un´esperienza emozionale che non aveva ancora conseguito un´immagine nella vita mentale, non tradotta in simboli, non rappresentata, non pensabile, non dicibile e tuttavia fortemente attiva, significativa e disturbante: è quello che si può definire il perturbante psicotico».
Come a dire: in certi casi la bellezza non solo entra in risonanza con aspetti conflittuali del nostro mondo interno, ma può renderli riconoscibili e tollerabili, come se il linguaggio dell´arte fosse capace di contenere gli aspetti più estremi di noi, forse proprio quei "nuclei psicotici" (non solo nevrotici) che affondano nell´inconscio ma a tratti possono riemergere - così la pensa, ad esempio, anche Salomon Resnik.
Ma c´è anche un altro elemento su cui la Magherini insiste non poco, citando peraltro diversi autori, dalla Klein a Bion, da Gaddini a Meltzer: l´esperienza estetica riattualizza la dimensione estatica tra madre e neonato, «nell´incontro con la bellezza, l´oggetto estetico richiama l´oggetto primario perduto, viene liberata un´energia fino a quel momento incapsulata, una fonte di piacere, con un´immissione di parti di sé nell´operazione visiva, che non è affatto solo contemplativa, ma radicalmente partecipativa».
Senz´altro, quando ci si trova davanti a un capolavoro assoluto come il David di Michelangelo, al "troppo bello per essere vero", la reazione più comune è un sentimento d´insolita vivificazione del mondo interno, accompagnato da una leggera dispercezione della realtà che può avere forme molto diverse ma trae la sua origine da un passato remoto mai del tutto cancellato: con tutta probabilità è la nostalgia di un tempo pervaso dal principio del piacere, quando c´era "tutto" e il desiderio non dipendeva ancora dalla mancanza.
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