Figli in provetta, tra speranze e pregiudizi

l’Unità 17.7.08
Figli in provetta, tra speranze e pregiudizi
di Carlo Flamigni

Quando nacque Louise Brown, nel 1978, Robert Edwards aveva già patito tre delusioni: una gravidanza era terminata spontaneamente, una seconda era stata interrotta per una anomalia genetica del feto; della terza non so niente, immagino che si sia trattato di un altro aborto. Poi il primo successo, destinato a cambiare la storia della medicina della riproduzione e non solo quella. Sia Edwards che Steptoe si aspettavano discussioni e critiche, ma sono convinto che pettegolezzi e malignità che salutarono l’annuncio della nascita della prima bambina concepita in vitro li abbia sorpresi.
Ci fu chi scrisse che si erano inventato tutto, ci fu chi alluse a sperimentazioni immorali e illegali di vario tenore. Pochi anni dopo i coniugi Jones, negli Stati Uniti, dovettero difendersi in tribunale da analoghe accuse infamanti.
Per avere un’idea delle reazioni italiane alla notizia basta scorrere i giornali del 27 luglio 1978 (Louise era nata intorno alla mezzanotte del 25). A eccezione di Adriano Buzzati Traverso, che sul Corriere della Sera salutava l’evento come «Un grande passo avanti della scienza», tutti gli altri giornali mettevano in primo piano le perplessità e i timori, lasciando senza repliche le critiche subito mosse dai cattolici a Buzzati Traverso. Questi era stato molto esplicito nel lodare la nuova tecnica e aveva detto, tra l’altro: «Purtroppo molte persone colte di questo scorcio di XX secolo sono tuttora vittime della irrazionale “sacralità” di tabù d’antichissima origine. Il sacerdote o lo stregone che influenzano il comportamento sessuale dei loro simili lo fanno perché consapevoli del potere che essi possono così esercitare».
Ma lo stesso Corriere della Sera - il giornale che dovrebbe essere espressione della «borghesia illuminata» - subito moderava gli entusiasmi con un articolo di cronaca che era tutto teso a dar voce alle preoccupazioni e alle riserve suscitate dalla nuova tecnica. Gli aspetti critici erano preminenti anche nel Giornale di Indro Montanelli, dove Geno Pamploni, studioso cattolico, dopo qualche positiva affermazione di rito, sottolineava i pericoli: «E se nella provetta si volessero “programmare” gli uomini “alfa” o altri tipi di selezionati prodotti umani, sovvertendo il misterioso equilibrio della natura, condizione e limite della nostra libertà? E se un nuovo Hitler ordinasse che alle donne ebree fossero iniettate uova fecondate di donne ariane, attuando un raffinato e lento genocidio razziale?». Il giorno seguente veniva dato grande risalto alle critiche di James Watson, premio Nobel, che non condivideva «alcun entusiasmo: il mondo è sovrappopolato. Altre dovrebbero essere le applicazioni del progresso scientifico». Nel servizio si registrava anche l’atteggiamento «possibilista» di un alto prelato cattolico ed era esposto il ragionamento sostanzialmente favorevole di molti anglicani: «Dio ci ha creati intelligenti e responsabili: è naturale che impieghiamo queste qualità per vincere la sterilità». Ma il messaggio dato dal Giornale era complessivamente negativo.
Ancora più dura e critica era l’uscita della Repubblica, che nella pagina della cultura titolava: «Piacerebbe anche a Hitler questa fecondazione». Nel servizio, avevano grande rilievo le posizioni di Leo Abse, esponente della sinistra laburista, fortemente impegnato contro le discriminazioni sociali: «insieme a una settantina di parlamentari (Abse) sta lanciando una grande offensiva contro la cosiddetta fabbricazione artificiale dei bambini», perché convinto che «questo metodo sia incompatibile con i “diritti civili”». Un’intervista al teologo cattolico romano Dionigi Tettamanzi sottolineava il grave rischio di arrivare «alla totale e radicale separazione tra l’esercizio della sessualità nel contesto matrimoniale e la trasmissione della vita».
Più duro ancora il Tempo di Roma, che in prima pagina, sotto il titolo «Non è lecito violare la natura», offriva un commento del gesuita Virginio Rotondi in cui si affermava che «la fecondazione artificiale - anche quando non raggiunge quest’ultimo grado di aberrazione - è assolutamente e indiscutibilmente immorale».
Rispetto a questi toni accesi, il quotidiano cattolico Avvenire manteneva una buona dose di sobrietà. Il 27 luglio dava in prima pagina la notizia con un misurato commento di Tettamanzi che poneva le seguenti domande: non è la fecondazione artificiale una «sostituzione indebita» del potere che l’uomo ha sulla vita umana? Dio ha affidato agli sposi la missione di trasmettere la vita «perché l’avessero a realizzare solo mediante l’incontro coniugale o anche mediante il ricorso a procedimenti artificiali? Sono interrogativi che chiedono di essere ampiamente approfonditi». Il 28 luglio, sempre in prima pagina, sotto un occhiello che sottolineava l’aspetto commerciale della vicenda («Grossi e loschi affari dietro la nascita “in provetta”») e un titolo grande più conciliante («Ma la bimba almeno è innocente»), veniva inserita una secca replica a Buzzati Traverso: mentre tutti sono perplessi, «uno solo non ha dubbi», e ciò sebbene proprio il giornale che gli ha dato spazio sottolinei che «nella spartizione del largo bottino si sono impigliati i due scienziati e gli stessi genitori». Nessuno scese in campo a difesa di Buzzati Traverso e della nuova tecnica, avallando implicitamente la generale condanna comminata dai critici.
Nemmeno l’Unità scelse di farlo, anche se il 28 luglio pubblicava un breve e pacato commento del genetista pisano Nicola Loprieno: «Il successo di questa realizzazione dipenderà dall’uso che la società sarà in grado di fare, rendendola possibile in tutti i casi ed accessibile a tutte le coppie. Non credo che quanto realizzato in Inghilterra costituisca un pericolo per l’umanità».
Sin dall’inizio, in Italia c’è stato dunque un atteggiamento di condanna della Fivet, sebbene questa posizione fortemente critica non sia riuscita a fermare la diffusione della tecnica.
In realtà, la procreazione medicalmente assistita ha fatto giustizia di queste critiche e di queste perplessità in tutto il mondo civile, ma non nel nostro Paese: inutile chiedersi perché.
Oggi, 17 luglio, il sottosegretario Roccella farà ricordare i 30 anni di PMA da un gruppo di eccellenti esperti, che vale la pena di citare: l’Onorevole Renato Farina (proprio lui, non vi stupite); due giornalisti che scrivono su quotidiani (Il Foglio e Libero) noti per il loro laicismo; Francesco D’Agostino, egli stesso noto laicista. C’è poi Josephine Quintavalle, che ascolterei volentieri, ma che parla di compra-vendita di oociti senza contraddittorio. La perla del convegno è rappresentata da Massimo Moscarini, punto di riferimento costante della ginecologia italiana, che in una intervista ad Avvenire (17/6/2008) ha dichiarato nell’ordine che:
- la legge 40 ha consentito al nostro paese di mantenere gli stessi risultati del sud d’Europa:
- le coppie sono soddisfatte del trattamento ricevuto in Italia;
- il turismo procreativo riguarda una minima percentuale di coppie;
- gli operatori del settore sono finalmente soddisfatti;
- le diagnosi pre-impianto si possono fare anche da noi, ricorrendo allo studio del globulo polare.
Temo che siano tutte dichiarazioni non corrispondenti alla verità, il prof. Moscarini è stato mal informato. Del resto basta leggere la relazione del ministro Turco: i dati non migliorano, nascono 1000 bambini in meno rispetto al passato, siamo il fanalino di coda dell’Europa.
E quanto al turismo, tutti i centri europei contattati ci confermano che è in continua crescita rispetto all’ultimo censimento (2005), che riguardava 29 laboratori che ricevevano circa 5000 coppie all’anno; le indagini sui globuli polari sono pura fantasia, gli addetti ai lavori - tranne le poche pinzocchere in attività eticamente discutibile - sono sempre più arrabbiati. Per il resto, sono compassionevole, lascio perdere.
Questo è quanto ci offre la signora Roccella, e se le dico che dovrebbe vergognarsi mi risponde che manco di stile. In realtà, ho finito il senso dell’umorismo: e poi 30 anni di fecondazioni assistite meritavano qualcosa di più serio.

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