Restituzioni, un caso di etica della cultura

Restituzioni, un caso di etica della cultura
Silvio Lacasella
Mercoledì 25 Giugno 2008 IL GIORNALE DI VICENZA

MOSTRE /1. IL PROGETTO DI RESTAURO E RIVALUTAZIONE PROMOSSO DA INTESA SAN PAOLO E CURATO DA FATIMA TERZO È GIUNTO ALLA QUATTORDICESIMA EDIZIONE

Un’esposizione che allinea grandi capolavori e soprattutto fa capire al visitatore in cosa consista la loro preziosa indispensabilità

È un'edizione particolare questa di "Restituzioni", visitabile ancora questa settimana a Vicenza, nelle sale di Palazzo Leoni Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo. Se ne è già scritto molto nei giorni a ridosso dell'inaugurazione, ma un ulteriore discorso si può fare, non tanto o non solo per sottolineare ancora l'alta qualità delle ottanta opere esposte, valorizzate con intelligenza nel percorso dall'allestimento ideato per l'occasione da Alberto Erseghe, quanto per dare il dovuto risalto alla sensazione di fiducia che questa rassegna trasmette in modo del tutto sorprendente. Una sensazione positiva, intensa, di quelle che vanno a depositarsi nel fondo, e comunque diversa da quanto il visitatore prova di fronte ad ogni singola opera.
Il motivo è presto detto. Siamo oramai disabituati a trovare iniziative come questa, capaci non solo di suscitare e trasmettere emozioni, ma anche di fortificare e di inspessire la coscienza critica in chi guarda. Condizione senza la quale le singole emozioni, pur compattate assieme, non possono che giungere a noi infiacchite o esageratamente amplificate, a seconda dei casi, poiché oltre a passare attraverso i nostri stati d'animo esse devono fare i conti con le tendenze e le mode del momento. Mode che in arte, non meno che altrove e più di quanto pensiamo, arrivano a condizionare il gusto.
Nonostante tutto, non si può che essere felici se il pendolarismo artistico di mese in mese conferma la propria crescita: ce lo confermano i numeri. Nel medesimo tempo, però, non possiamo che rammaricarci, poiché la maggioranza di questi pacifici "viandanti" invade gli stessi luoghi, le stesse mostre, subendo il fascino rassicurante della comitiva. Si va dove vanno tutti, a volte perché ne vale la pena, ma spesso trasportati dal tapis-roulant dell'effetto mediatico. Sia ben chiaro, nessuno qui tifa né per il "flop" né per la malinconia che trasmette la sala vuota di un museo. Infatti, si parla d'altro. Il riferimento è alla "leggerezza", intesa per una volta e a malincuore nella sua eccezione negativa, leggerezza con la quale si tende con sempre maggiore frequenza a mostrare quanto di più profondo ha saputo produrre la creatività umana. Alla fine, quanto rimane di ciò che s'è goduto con gli occhi, se contemporaneamente non viene inserita anche una sorta di "etica" dello sguardo? L'arte, anche nei luoghi più affollati, ha bisogno di un percorso solitario, silenzioso, personale, tuttavia per affrontarlo occorre trovare accanto a sé, appunto, alcune indispensabili maniglie.
“Restituzioni" di queste “maniglie", nelle sue quattordici rassegne e dopo diciannove anni dalla sua nascita (dal 2000 ha scelto di mantenere una cadenza biennale) ne ha fornite parecchie. Nell'accostare il monumentale volume edito da Marsilio e presente in mostra quest'anno al cataloghino del 1989 - quando l'istituto ancora si chiamava Banca Cattolica - si rimane impressionati. È un particolare, se così si può dire, di non poco conto, che indica la misura del cambiamento. Complessivamente sono oltre seicento le opere restaurate, in stretta collaborazione con le varie Soprintendenze che di volta in volta hanno aperto sul tavolo un triste ventaglio di casi più o meno disperati sui quali intervenire con urgenza. Opere prese dai loro luoghi d'origine (musei, edifici, chiese), smistate nei più qualificati centri di restauro, studiate approfonditamente in modo da ricostruirne la storia, e poi riunite per qualche mese tutte assieme, a festeggiarne la rinascita, prima di farle rientrare là da dove erano partite. Ma come ogni bella storia, anche questa non può che portare con sé una morale: il bene nostro più prezioso e che tutti ci invidiano, l'unico irriproducibile, quello che a parole viene orgogliosamente sventolato come il maggior patrimonio artistico del mondo, non solo non è valorizzato quanto meriterebbe, ma in buona parte versa in condizioni precarie. Questa mostra, nel ricordarcelo, ci aiuta a meglio vedere ciò che stiamo guardando.
È molto diffusa l'opinione che quanto è andato perso sia da imputare ai vari cataclismi naturali (da Pompei all'ancora recente terremoto del 1997, che danneggiò seriamente la Basilica di Assisi), agli incendi o ai bombardamenti, ed invece il maggior nemico è il tempo, capace di sciogliere lentamente la più dura delle pietre. Quasi non sopportasse che il genio umano arrivi a mettere in dubbio la transitorietà dell'esistenza.
Oltre a mostrarci non pochi capolavori, ecco cosa ci insegna questa mostra. Essa ci fa intendere in modo diverso che l'opera d'arte - in qualsiasi sua forma - è un bene prezioso e indispensabile, senza il quale è difficile immaginarci. Studiare il passato illumina il nostro futuro, mentre oggi si vive assai pericolosamente in un presente con poca memoria.
A dire il vero, questo articolo era stato pensato per parlare della pala di Romanino, "Madonna con il Bambino tra i santi Bonaventura e Sebastiano", proveniente da Salò, una delle sue più belle e non esposta nella grande mostra che al pittore ha dedicato la città di Trento nel 2006, per metterla a confronto con l'altra imperiosa pala, anch'essa presente a Vicenza, del suo concittadino e quasi coetaneo bresciano Moretto, “La Madonna con il Bambino e santi", pronta a tornare nell'abside della chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia. Oppure per inventare un parallelo tra il pappagallo posto in basso al centro del dipinto attribuito a Vittore Carpaccio con quello, sempre in basso al centro, di Giovanni Bellini a Santa Corona, a pochi passi da Palazzo Leoni Montanari. Senza trascurare lo stupefacente trittico di San Domenico di Carlo Crivelli, della pinacoteca di Brera o la morbidissima "Statuetta femminile panneggiata" scolpita in marmo pario tra il V e il VI secolo a.C. del Museo Archeologico di Venezia. Ma si sa, le parole talvolta, quand'è possibile, riescono ancora a seguire i pensieri, senza precederli. La mostra a Palazzo Leoni Montanari chiude il 29 giugno.

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