La polemica sul documento di Artemidoro. Un papiro di pieno Ottocento

La Repubblica 11.6.08
La polemica sul documento di Artemidoro. Un papiro di pieno Ottocento
di Anna Ottani Cavina

Una serie di valutazioni storico-artistiche avvalorano la tesi secondo la quale quel reperto sarebbe un falso
Perplessità destano l´impaginazione per frammenti e lo scarto fra gli stili di alcune teste, stranamente presenti nella stessa bottega
Alcuni disegni rivelano un timbro arcaizzante (non arcaico) sulla scia di una ricerca neoprimitiva condotta fra diciottesimo e diciannovesimo secolo

Sul papiro di Artemidoro si è tenuta poche settimane fa a Bologna, nelle sale dell´Archiginnasio, una discussione serrata, rigorosa, avvincente, sui temi e sul metodo. Lontana dagli antagonismi che i giornali hanno enfatizzato nella sfida fra i duellanti (noti ormai anche al grande pubblico, Salvatore Settis e Luciano Canfora), la disputa ha coinvolto archeologi classici, egittologi, storici, filologi, storici dell´arte.
Sembrava un´università d´altri tempi, studenti attentissimi e conquistati, docenti impegnati a riflettere e a farsi capire, sullo sfondo di una philological fiction (l´affondo è di Carlo Ginzburg) che presenta alcuni nodi difficili, all´incrocio di varie discipline.
C´era un varco per intervenire sul versante delle immagini, fino ad ora toccato soltanto di striscio da un´analisi che ha privilegiato il testo, la lingua, le mappe geografiche, il cartonnage.
Le considerazioni che ho esposto in quella occasione avrebbero bisogno di spazi più ampi e sfumati. Servono comunque ad allargare il campo della discussione. Vertono sui disegni del recto, vale a dire sugli studi (pochissimi) di mani, di teste, di piedi presentati come «veri e propri esercizi di apprendistato eseguiti all´interno di una bottega» e datati al primo secolo d. C. in quella che viene raccontata come «la terza vita del papiro di Artemidoro» nell´Egitto greco-romano.
Dalla campionatura dei pochi disegni interposti nel testo emergono alcuni dati oggettivi, in primo luogo la qualità modesta degli studi, approssimati nella definizione anatomica (le mani), ridondanti, pieni di manierismi. Presentati nel catalogo di Torino come «disegni di squisita fattura», sono stati più tardi declassati (Settis, la Repubblica, 13 marzo) pur attribuendo loro un ruolo fondante per la conoscenza della grafica antica, di cui «non esistono confronti coevi rappresentativi» e nemmeno «riferimenti e informazioni nelle fonti letterarie» (pag. 473 della lussuosa edizione del Papiro appena pubblicata, 2008).
Risultano tuttavia sconcertanti sia l´impaginazione per frammenti (disegnati entro uno spazio libero, secondo tipologie che si codificano molto più tardi, come prova il confronto con le tavole settecentesche dell´Encyclopédie) che l´incongruità di alcuni gesti, difficilmente riconducibili alla gestualità classica.
Altro elemento di perplessità è lo scarto fra disegni descrittivi e veristi (quale la testa indicata come R2) e disegni abbreviati e di sintesi (la testa R 20): due stili diversi, lontani nei tempi e nei modi, stranamente presenti nello stesso momento e nella stessa bottega.
La contiguità di due stili (che attestano due culture, due forme di pensiero antitetiche prima ancora che due diverse soluzioni espressive) mette in crisi l´idea di esercitazioni condotte dalla stessa bottega su calchi di statue che, in un medesimo ambito, sarebbero state percepite in maniera tanto difforme.
È questo rapporto fra i disegni e la statuaria classica il punto debole di un ragionamento che a me pare discutibile negli accostamenti, in gran parte fisionomici, che gli autori del volume propongono con raffigurazioni antiche di Metrodoro, Epicuro, Saturno, Apollo ecc.
Sarà che, in tema di immagini, io frequento altri mondi e ho negli occhi il repertorio di secoli molto diversi, la tentazione è di introdurre una prospettiva per così dire capovolta.
La percezione dell´antichità, nelle teste disegnate sul papiro, rivela a mio parere un timbro arcaizzante (non arcaico) sulla scia di una ricerca neoprimitiva che dalla fine del Settecento percorre gran parte dell´Ottocento.
Fatte le debite proporzioni (perché le teste disegnate sul papiro sono infinitamente meno intelligenti e geniali), l´idea è quella di risalire agli archetipi, alle forme primarie dei prototipi classici. Una sorta di regressione alla ricerca di forme originarie che John Flaxman ad esempio attinge attraverso un processo altamente intellettuale, la cui suggestione persiste negli esercizi pedanti e banali che si vedono sul papiro.
L´ipotesi di una datazione molto più tarda di questi disegni, in pieno Ottocento, sarebbe confermata, a mio parere, anche da quella testa di profilo, anomala e accattivante, più vicina alla sensibilità moderna (R 20), chiusa da un segno compendiario e deciso (la linea della fronte e del naso) e da un contorno falcato (nella definizione della parte inferiore del volto) che richiama quel modo di trascrivere la realtà, in termini stilizzati e antinaturalistici, che avvicina il purismo di Ingres all´estetismo di Gustave Moreau e dei Preraffaelliti (non c´è lo spazio per produrre le immagini).
Che cosa vorrei dire in realtà? Che, se si tratta di un falso, lo si può facilmente datare in base a quegli elementi contemporanei che, come si sa, il falsario inevitabilmente ingloba e che, a distanza di anni, emergono con maggiore evidenza. Elementi che si leggono senza difficoltà, perché le lacune del papiro non compromettono la comprensione dell´immagine, colpita parrebbe da bombe intelligenti che girano intorno agli studi di teste (si è perduto - non è grave - un ricciolo, il lobo di un orecchio), senza mai centrare il cuore del disegno. Esattamente come accade alle righe del testo greco, che corrono talvolta intorno ai buchi del papiro secondo quella che è una prova classica di falsificazione (Canfora).
Si avverte una difficoltà, espressa da molti archeologi, a inserire nel puzzle del mondo antico un unicum che sconvolgerebbe la conoscenza dei suoi metodi di produzione artistica. È possibile volgere in positivo questo disagio. Procedendo per analogie piuttosto che per confronti letterali, a me sembra che la cultura dell´Ottocento (messa in campo anche da altri studiosi che contestano l´autenticità del papiro da versanti diversi) possa dare una risposta plausibile. Almeno fino a quando «il buco nero» (Settis) del disegno antico non sarà colmato da ritrovamenti compatibili.

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