Trecento capolavori al Museo del Corso di Roma dedicati al sovrano cinese

l'Unità 26.11.07
Trecento capolavori al Museo del Corso di Roma dedicati al sovrano cinese
la grande avventura della corte di Qianlong

Il ritratto è imponente: il Grande Imperatore Qianlong, il Figlio del Cielo, in armatura da cerimonia, è in sella a un possente destriero. Veste riccamente alla cinese, il paesaggio che si profila lieve sullo sfondo replica i temi della pittura tradizionale, eppure c´è qualcosa di nuovo nell´insieme della composizione che celebra un primo incontro tra la civiltà figurativa orientale e quella occidentale: l´autore del dipinto è infatti un italiano, Giuseppe Castiglione, nome cinese Lang Shining.
Forse, tra i trecento capolavori della imponente mostra che il Museo del Corso di Roma dedica al museo della Città Proibita, a Qianlong e la sua corte, questo dipinto è il più intrigante: segna infatti l´inizio della grande avventura, quella della fusione tra modi e mondi diversi che, all´epoca di Qianlong e di Castiglione, si preannunciava possibile e prossima. Invece, non fu così. Guerre, incomprensioni, alterigia, ritardarono il dipanarsi di un percorso che Castiglione, gesuita milanese, aveva intrapreso lavorando a lungo con artisti cinesi e, mentre apprendeva le loro tecniche, creava uno stile nuovo affine al naturalismo occidentale grazie a un uso sottile delle ombreggiature. Troppo naturalismo, troppi chiaroscuri, troppa drammaticità, non sarebbero stati apprezzati alla corte di Qianlong il quale, a proposito di un altro famoso dipinto di Castiglione Messaggio di una primavera di pace, scrisse: «Nei ritratti Shining è grande maestro, mi ha dipinto quando ero giovane, l´uomo canuto che entra nella stanza ora, non riconosce davvero chi sia».
Ma Castiglione non era l´unico straniero che operava ed era apprezzato alla corte di Qianlong il quale aveva instaurato una politica di grande apertura culturale, filosofica, religiosa, accogliendo uomini di cultura di diversa origine e religione, dimostrando grande tolleranza e ponendosi come protagonista assoluto del suo tempo, spesso precorrendolo. Essendo lui stesso un sovrano non cinese, riuscì a essere più cinese dei cinesi, assumendo la tradizione confuciana come norma del suo regno: era infatti il quarto imperatore della dinastia mancese Qing, la Pura, fondata da usurpatori nordici nel 1644. La Qing è stata l´ultima dinastia della Cina, quella che ha portato l´Impero del Centro al suo massimo fulgore e lo ha accompagnato alla rovina. All´apice della parabola si situa lui, Qianlong. Sotto il suo lungo regno (1736-1796) la bellezza maestosa si impose in ogni espressione della vita pubblica - riti, cerimonie, banchetti - e permeò ogni aspetto della vita privata del sovrano che fu grande poeta, calligrafo, collezionista raffinato di preziose porcellane.
La Città Proibita, il Vecchio Palazzo costruito dal primo imperatore Ming agli inizi del XV secolo, fu da lui ampliata, ricostruita, modificata e tutto quello che ancora oggi se ne può vedere risale infatti alla sua epoca. Ma a Qianlong si deve anche l´edificazione del Yuanmingyuan nei dintorni di Pechino, il Giardino della Perfetta Luminosità, la grandiosa residenza imperiale estiva dove Qianlong volle dei padiglioni all´occidentale, capriccio di monarca assoluto, proprio come Luigi XIV aveva voluto il suo Trianon alla cinese. Erano però capricci che denotavano per lo meno curiosità verso il diverso, l´esotico, non la chiusura e l´arroganza che Qianlong dimostrò invece quando rispose con supremo sprezzo all´ambasceria di Lord Macartney che nel 1793 si era recato a Pechino per volere di Giorgio III d´Inghilterra.
La sua incoscienza politica costò in realtà assai cara alla Cina che di lì a pochi anni si trovò non più al centro ma ai margini di un mondo che aveva voluto ignorare. Comunque, per tutti i sessanta anni del suo regno, Qianlong riuscì a impersonificare l´impero più ricco ed esteso che mai si fosse visto in terra, promuovendo la sua immagine come modello di una concezione altamente umanistica e confuciana del potere. Avrebbe potuto dire «La Cina sono Io»: se non lo disse, di certo lo pensò e fece di tutto per essere lui la Cina, per riassumerla e presentarla come un modello ideale ecumenico.
La mostra che celebra Qianlong si prefigge proprio di illustrare questa emblematica concezione del sovrano universale, prima nell´ambito privato (e abbiamo i suoi dipinti, le sue preziose ceramiche, gli strumenti musicali, gli esotici, perché occidentali, orologi da tavolo). Viene poi una sezione dedicata alla rappresentazione pubblica del potere, grandi ritratti tra i quali si impone quello equestre di Castiglione, la ricostruzione della sala del trono con il trono in lacca dorata, gli incensieri e i sigilli imperiali. Infine due mandala con la figura dell´imperatore al centro, vesti e oggetti religiosi, l´esaltazione per immagini della devozione e della diplomazia che Qianlong seppe coniugare aderendo a un sincretismo religioso la cui cornice era il buddismo tibetano del quale si professò sostenitore ma con sommo rispetto di quella cultura, un rispetto che oggi i tibetani vorrebbero fosse loro tributato come ai tempi di Qianlong.

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