Tarquinia l´etrusca, schiva e superba fra torri medioevali e versi di poeti
Tarquinia l´etrusca, schiva e superba fra torri medioevali e versi di poeti
GABRIELLA SICA
MERCOLEDÌ, 28 MAGGIO 2008, la repubblica - Roma
In giro con i versi e le prose de "Il sole a picco" di Vincenzo Cardarelli, che da giovane qui dovette sentirsi come Leopardi recluso nel borgo selvaggio
Al Belvedere si apre una vallata mozzafiato tutta verde con un pianoro fatto di poggi e anfratti immersi nella vegetazione selvatica: è la città sepolta
Tarquinia già dal treno appare magnifica e superba, distesa su una larga montagnola schiacciata. «Corneto città di torri da ammirare, cinta da mura doppie», scriveva Petrarca. Una volta si chiamava infatti Corneto, dalla pianta del corniolo, ed era la nuova Tarquinia nata su un pianoro, a poca distanza dalla Tarxna etrusca, polverizzata dal tempo. Dal 1922 ha ripreso il suo antico nome. E´ la Tarquinia medievale, con le sue numerose torri quadrate, con la pietra calcarea così particolare, molle e resistente, fatta di sabbia intrisa di fossili, il tipico macco che al sole sembra dorato. E´ la San Gimignano dell´Alto Lazio.
Alla stazione mi vengono a prendere in auto. Su in alto ci troviamo in piazza Cavour, da cui sale Corso Vittorio Emanuele. Non ci sono chiese in questa parte iniziale, in un paese che pure è pieno di chiese, un´ottantina tra quelle interne alle mura e quelle esterne. Se ne trovano dappertutto, insieme ai monasteri, percorrendo la fitta rete di stradine addossate ai muri. La più bella (mi ricorda le chiese di Tuscania), con i mosaici intorno al portale e disegni ebraici su una parete, è Santa Maria di Castello, appunto nel Castello della città, chiuso tra torrioni cilindrici.
Consiglio vivamente ai lettori di fare un viaggetto (memorabile) a Tarquinia, lasciandosi portare dalle viuzze e usando come guida le poesie e le prose, straordinarie per acutezza, de Il sole a picco, di Vincenzo Cardarelli (che da giovane dovette sentirsi qui come Leopardi recluso nel borgo selvaggio), e magari anche I luoghi etruschi di D. H. Lawrence, che del popolo etrusco apprezzò la gioia di vivere. Come ho fatto io quattro anni fa quando ho attraversato tutta Tarquinia con queste guide e sono stata due giorni a scartabellare i manoscritti di Cardarelli mestamente mescolati a pochi suoi libri in un armadio, custodito dalla pur emerita "Società tarquiniense d´Arte e Storia". Così ora vado diritta, a colpo sicuro, a rivedere l´armadio, che appare immutato.
Qui si attraversano epoche e luoghi in pochi minuti. Se ne sentono ancora le tracce nello spirito di oggi, lo spirito di un popolo che si è sottomesso, ma ha dato a Roma due dei suoi sette Re. Uno spirito vivo di autonomia e separatezza. Mi dice uno dei due ragazzi trentenni con cui mi fermo a parlare davanti al Palazzo Comunale che Tarquinia potrebbe vivere come una Repubblica autonoma, battere una propria moneta, perché ha tutto: una notevole estensione territoriale e coltivazioni e orti in abbondanza, i fiumi e il mare, la macchia mediterranea e i boschi. Fino a poco tempo aveva perfino il sale, ora sono rimaste vuote le antiche vasche giù al mare, le Saline convertite a splendida Riserva Naturale. Tarquinia ha anche artisti in abbondanza che sono venuti a vivere qui, mi dice l´altro ragazzo che è uno scultore su commissione. La prova la stiamo calpestando, perché sulla pavimentazione davanti al Palazzo Comunale, Sebastian Matta (che abitava in un convento ristrutturato, alla "Roccaccia", dove ora è sepolto) ha riprodotto l´ovale michelangiolesco inscritto sulla piazza del Campidoglio a Roma, con le stesse losanghe o petali, ma al centro un occhio-ombelico del mondo. Un terzo ragazzo, uno del gruppo dei giovani gestori di quel vero "Ambaradam" che è proprio lì in piazza, mi dice che Tarquinia non ha tanti rapporti con Viterbo e neppure con Roma, li ha di più con i fratelli della Maremma toscana e con Civitavecchia e il suo attivissimo porto. Dopotutto per scorrazzare nel Mediterraneo, ora che non c´è più il porto etrusco di Gravisca e neppure quello romano del Porto Clementino, entrambi interrati, va bene anche il porto di Civitavecchia, la via più naturale per avere il porto in casa. Anche i tarquiniesi di oggi si sentono, come gli etruschi di un tempo, in confidenza con il mare e con la terra. D´altronde etruschi se ne vedono ancora per strada, e qualcuno somiglia a Tarquinio il Superbo.
Non sempre Tarquinia è stata il granaio di Roma. C´è stata anche qui la palude e l´urgenza della bonifica. Tra le famiglie rinascimentali più attive in tal senso i Vitelleschi (nel cui Palazzo ha sede ora il Museo Archeologico) e i Sacchetti, a cui sono dedicati a Roma palazzi e la famosa Pineta Sacchetti. Oggi invece ci sono rischi di inquinamento tra il rigassificatore di Civitavecchia e la centrale di Montalto di Castro. Ma a Tarquinia com´è tranquilla la vita! I ragazzi si lamentano di questo. Vengono in vacanza tanti stranieri, soprattutto tedeschi e norvegesi, e anche americani, ma pochi giovani e pochi romani. Stranezze tutte italiane. Non mi è più capitato di sentire qualcuno che dica di andare al mare a Tarquinia. Vanno tutti più a nord, lungo la costa tirrenica. Eppure è stata la mia meta marina da ragazza, quando venivo d´estate dalla campagna interna. La mia prima foto al mare, a poco più di un anno, è a Tarquinia, armata di tutto punto con paletta, secchiello e fiocco in testa, tra le ginocchia di mia madre.
Riesco a incontrare Bruno Blasi, affabulatore pronipote di Cardarelli. Mi racconta la tormentata storia del poeta, figlio di una donna frivola di Civitavecchia presto sparita e di un marchigiano duro, un uomo di campagna, venuto con i fratelli a Tarquinia per sfuggire all´arruolamento nelle truppe antigaribaldine dello Stato pontificio.
Proseguendo per il Corso, lungo l´Alberata Alighieri, si arriva al Belvedere, dove si apre una vallata mozzafiato tutta verde con un pianoro fatto di poggi e anfratti immersi nella vegetazione selvatica: è la città sepolta, la Tarxna etrusca (dal nome del dio Tarconte). Si respira l´aria sacrale degli antichi etruschi che lì tremila anni fa perforavano la terra e preparavano le case dei morti con gli affreschi più antichi e colorati d´Italia. Mi pare di vedere i Cavalli alati, scovati ai piedi della Civita, galoppare liberi per la valle e lungo il fiume Marta. E´ la terra etrusca che arriva fino a Blera e a Norchia, incontaminata come un tempo, in questa Italia centrale ricca di natura e storia.
Le occasioni e le feste a Tarquinia non mancano, dalla festa della Merca di tradizione maremmana ai convegni di Ufologia, dalla Festa del vino alla processione del Cristo Risorto accompagnata da croci e spari in aria. Oggi, che è un bel sabato primaverile, capitiamo nel bel mezzo della Maratona degli etruschi e nella nuova giunta municipale al completo. Nell´occasione vengono mostrati i gioielli di casa custoditi più gelosamente: l´apertura straordinaria di tre Tombe etrusche, la Tomba dei Tori, quella degli Auguri con il bastone ricurvo del potere, e la Tomba con Charun, il terribile Caronte etrusco armato di martello per battere alla porta dell´aldilà. Così si va in auto appena fuori il paese, alla collina dei Monterozzi. A cinquecento metri, in località Madonna del Pianto, pare ci siano molte altre tombe di un vero sepolcreto finora inesplorato. Bellissimi e soffici i prati ondulati e verdi, fitti di fili d´erba (quanti tipi d´erba!), che si stendono a vista d´occhio fino al mare e da cui sorgono le misteriose tombe, con le donne appoggiate al sarcofago pronte a conversare nei loro fini drappeggi. A poche decine di metri, "un cimitero frondeggia: / cristiana oasi nel Tartaro etrusco": qui riposa Cardarelli, "coricato con gli occhi a fior di terra, guardando la marina". Speriamo che la nuova giunta riesca ad organizzare, come si ripromette, un premio letterario degno per ricordare questo figlio un po´ trascurato.
Tra una tomba e l´altra incontro il poeta e amico Valerio Magrelli, venuto a vedere anche lui gli affreschi. Poeti di sotto e di sopra. Si sale e si scende troppo velocemente per queste bellissime case dei morti dipinte con colori meravigliosi. I disegni e le forme, gli uccelli e i pesci, l´alloro e il mirto sulle pareti sono gli stessi di sopra. A volte capita davvero di veder balzare improvvisa da una tomba la lepre inerme che fugge dal suo stato di vittima predestinata o la pantera misteriosa che corre immortale per i boschi.
GABRIELLA SICA
MERCOLEDÌ, 28 MAGGIO 2008, la repubblica - Roma
In giro con i versi e le prose de "Il sole a picco" di Vincenzo Cardarelli, che da giovane qui dovette sentirsi come Leopardi recluso nel borgo selvaggio
Al Belvedere si apre una vallata mozzafiato tutta verde con un pianoro fatto di poggi e anfratti immersi nella vegetazione selvatica: è la città sepolta
Tarquinia già dal treno appare magnifica e superba, distesa su una larga montagnola schiacciata. «Corneto città di torri da ammirare, cinta da mura doppie», scriveva Petrarca. Una volta si chiamava infatti Corneto, dalla pianta del corniolo, ed era la nuova Tarquinia nata su un pianoro, a poca distanza dalla Tarxna etrusca, polverizzata dal tempo. Dal 1922 ha ripreso il suo antico nome. E´ la Tarquinia medievale, con le sue numerose torri quadrate, con la pietra calcarea così particolare, molle e resistente, fatta di sabbia intrisa di fossili, il tipico macco che al sole sembra dorato. E´ la San Gimignano dell´Alto Lazio.
Alla stazione mi vengono a prendere in auto. Su in alto ci troviamo in piazza Cavour, da cui sale Corso Vittorio Emanuele. Non ci sono chiese in questa parte iniziale, in un paese che pure è pieno di chiese, un´ottantina tra quelle interne alle mura e quelle esterne. Se ne trovano dappertutto, insieme ai monasteri, percorrendo la fitta rete di stradine addossate ai muri. La più bella (mi ricorda le chiese di Tuscania), con i mosaici intorno al portale e disegni ebraici su una parete, è Santa Maria di Castello, appunto nel Castello della città, chiuso tra torrioni cilindrici.
Consiglio vivamente ai lettori di fare un viaggetto (memorabile) a Tarquinia, lasciandosi portare dalle viuzze e usando come guida le poesie e le prose, straordinarie per acutezza, de Il sole a picco, di Vincenzo Cardarelli (che da giovane dovette sentirsi qui come Leopardi recluso nel borgo selvaggio), e magari anche I luoghi etruschi di D. H. Lawrence, che del popolo etrusco apprezzò la gioia di vivere. Come ho fatto io quattro anni fa quando ho attraversato tutta Tarquinia con queste guide e sono stata due giorni a scartabellare i manoscritti di Cardarelli mestamente mescolati a pochi suoi libri in un armadio, custodito dalla pur emerita "Società tarquiniense d´Arte e Storia". Così ora vado diritta, a colpo sicuro, a rivedere l´armadio, che appare immutato.
Qui si attraversano epoche e luoghi in pochi minuti. Se ne sentono ancora le tracce nello spirito di oggi, lo spirito di un popolo che si è sottomesso, ma ha dato a Roma due dei suoi sette Re. Uno spirito vivo di autonomia e separatezza. Mi dice uno dei due ragazzi trentenni con cui mi fermo a parlare davanti al Palazzo Comunale che Tarquinia potrebbe vivere come una Repubblica autonoma, battere una propria moneta, perché ha tutto: una notevole estensione territoriale e coltivazioni e orti in abbondanza, i fiumi e il mare, la macchia mediterranea e i boschi. Fino a poco tempo aveva perfino il sale, ora sono rimaste vuote le antiche vasche giù al mare, le Saline convertite a splendida Riserva Naturale. Tarquinia ha anche artisti in abbondanza che sono venuti a vivere qui, mi dice l´altro ragazzo che è uno scultore su commissione. La prova la stiamo calpestando, perché sulla pavimentazione davanti al Palazzo Comunale, Sebastian Matta (che abitava in un convento ristrutturato, alla "Roccaccia", dove ora è sepolto) ha riprodotto l´ovale michelangiolesco inscritto sulla piazza del Campidoglio a Roma, con le stesse losanghe o petali, ma al centro un occhio-ombelico del mondo. Un terzo ragazzo, uno del gruppo dei giovani gestori di quel vero "Ambaradam" che è proprio lì in piazza, mi dice che Tarquinia non ha tanti rapporti con Viterbo e neppure con Roma, li ha di più con i fratelli della Maremma toscana e con Civitavecchia e il suo attivissimo porto. Dopotutto per scorrazzare nel Mediterraneo, ora che non c´è più il porto etrusco di Gravisca e neppure quello romano del Porto Clementino, entrambi interrati, va bene anche il porto di Civitavecchia, la via più naturale per avere il porto in casa. Anche i tarquiniesi di oggi si sentono, come gli etruschi di un tempo, in confidenza con il mare e con la terra. D´altronde etruschi se ne vedono ancora per strada, e qualcuno somiglia a Tarquinio il Superbo.
Non sempre Tarquinia è stata il granaio di Roma. C´è stata anche qui la palude e l´urgenza della bonifica. Tra le famiglie rinascimentali più attive in tal senso i Vitelleschi (nel cui Palazzo ha sede ora il Museo Archeologico) e i Sacchetti, a cui sono dedicati a Roma palazzi e la famosa Pineta Sacchetti. Oggi invece ci sono rischi di inquinamento tra il rigassificatore di Civitavecchia e la centrale di Montalto di Castro. Ma a Tarquinia com´è tranquilla la vita! I ragazzi si lamentano di questo. Vengono in vacanza tanti stranieri, soprattutto tedeschi e norvegesi, e anche americani, ma pochi giovani e pochi romani. Stranezze tutte italiane. Non mi è più capitato di sentire qualcuno che dica di andare al mare a Tarquinia. Vanno tutti più a nord, lungo la costa tirrenica. Eppure è stata la mia meta marina da ragazza, quando venivo d´estate dalla campagna interna. La mia prima foto al mare, a poco più di un anno, è a Tarquinia, armata di tutto punto con paletta, secchiello e fiocco in testa, tra le ginocchia di mia madre.
Riesco a incontrare Bruno Blasi, affabulatore pronipote di Cardarelli. Mi racconta la tormentata storia del poeta, figlio di una donna frivola di Civitavecchia presto sparita e di un marchigiano duro, un uomo di campagna, venuto con i fratelli a Tarquinia per sfuggire all´arruolamento nelle truppe antigaribaldine dello Stato pontificio.
Proseguendo per il Corso, lungo l´Alberata Alighieri, si arriva al Belvedere, dove si apre una vallata mozzafiato tutta verde con un pianoro fatto di poggi e anfratti immersi nella vegetazione selvatica: è la città sepolta, la Tarxna etrusca (dal nome del dio Tarconte). Si respira l´aria sacrale degli antichi etruschi che lì tremila anni fa perforavano la terra e preparavano le case dei morti con gli affreschi più antichi e colorati d´Italia. Mi pare di vedere i Cavalli alati, scovati ai piedi della Civita, galoppare liberi per la valle e lungo il fiume Marta. E´ la terra etrusca che arriva fino a Blera e a Norchia, incontaminata come un tempo, in questa Italia centrale ricca di natura e storia.
Le occasioni e le feste a Tarquinia non mancano, dalla festa della Merca di tradizione maremmana ai convegni di Ufologia, dalla Festa del vino alla processione del Cristo Risorto accompagnata da croci e spari in aria. Oggi, che è un bel sabato primaverile, capitiamo nel bel mezzo della Maratona degli etruschi e nella nuova giunta municipale al completo. Nell´occasione vengono mostrati i gioielli di casa custoditi più gelosamente: l´apertura straordinaria di tre Tombe etrusche, la Tomba dei Tori, quella degli Auguri con il bastone ricurvo del potere, e la Tomba con Charun, il terribile Caronte etrusco armato di martello per battere alla porta dell´aldilà. Così si va in auto appena fuori il paese, alla collina dei Monterozzi. A cinquecento metri, in località Madonna del Pianto, pare ci siano molte altre tombe di un vero sepolcreto finora inesplorato. Bellissimi e soffici i prati ondulati e verdi, fitti di fili d´erba (quanti tipi d´erba!), che si stendono a vista d´occhio fino al mare e da cui sorgono le misteriose tombe, con le donne appoggiate al sarcofago pronte a conversare nei loro fini drappeggi. A poche decine di metri, "un cimitero frondeggia: / cristiana oasi nel Tartaro etrusco": qui riposa Cardarelli, "coricato con gli occhi a fior di terra, guardando la marina". Speriamo che la nuova giunta riesca ad organizzare, come si ripromette, un premio letterario degno per ricordare questo figlio un po´ trascurato.
Tra una tomba e l´altra incontro il poeta e amico Valerio Magrelli, venuto a vedere anche lui gli affreschi. Poeti di sotto e di sopra. Si sale e si scende troppo velocemente per queste bellissime case dei morti dipinte con colori meravigliosi. I disegni e le forme, gli uccelli e i pesci, l´alloro e il mirto sulle pareti sono gli stessi di sopra. A volte capita davvero di veder balzare improvvisa da una tomba la lepre inerme che fugge dal suo stato di vittima predestinata o la pantera misteriosa che corre immortale per i boschi.
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