Sesso incerto Correggio come Botticelli e Leonardo: figure che fondono anima ed eros
Corriere della Sera 29.5.08
Sesso incerto Correggio come Botticelli e Leonardo: figure che fondono anima ed eros
Angeli, putti, adolescenti Il fascino ambiguo dell'innocenza
Un angelo o un amorino? Un innocente adolescente o un fanciullo compiacente? Difficile distinguere tra purezza e peccato nell'arte del Correggio: la linea di demarcazione non è per nulla netta e, bisogna pur dirlo, quella sua sensualità scoperta, quei soffici corpi che sembrano dipinti con un pennello di piume, certe epidermidi che hanno il colore del miele e la morbidezza della cera fusa, parlano di un erotismo rivolto ai fanciulli e alle fanciulle che oggi giudichiamo malato, ma che era normale nel mondo classico ammirato dal Rinascimento. Non che tutti i pittori rinascimentali avessero inclinazioni pedofile, sia chiaro: la sensualità di Tiziano è sana e felice; quella di Michelangelo robusta e omosessuale. Quella di Correggio, più tenera e languida, potrebbe invece richiamare alla mente quella di un Gustav von Aschenbach infatuato dall'efebico Tadzio.
Basta guardare il quadro di Giove e Ganimede dove il dio, invaghitosi del pastorello e assunto l'aspetto di un'aquila, lo trasporta nell'Olimpo e ne fa il coppiere degli dei. Correggio — che è il primo nel Rinascimento a riprendere questo mito classico, poi seguito da Michelangelo — dipinge un bimbo di circa otto anni, con l'espressione furbetta, per nulla spaventato da quell'aquila che lo ha rapito e che apre persino il becco per leccargli con la lingua il tenero braccio.
E che dire del Cupido, un ragazzino di circa dieci anni, che vestito di un solo paio di magnifiche ali sta aiutando Giove, questa volta trasformatosi in una pioggia d'oro, a sedurre una Danae/Lolita che sembra la sua sorellina maggiore? E come se non bastasse, a questa scena fra le più erotiche della pittura, partecipano altri due bambinetti che, ai piedi del letto di Danae giocano a provare sulla pietra le frecce d'oro e di piombo, cioè quelle d'attrazione e di repulsione.
Eccola dispiegata tutta la confusione che il Rinascimento — pagano e neoplatonico — riuscì a creare fra angeli e putti, fra adolescenti e santi, fra mito e religione al punto che anche del rapimento di Ganimede gli umanisti fecero un'allegoria dell'ascesa dell'anima umana verso Dio.
La figura chiave di questo corto circuito spiritual carnale è l'angelo che in greco significa «messaggero». Già nel pantheon greco romano l'angelo aveva il compito di trasmettere la volontà degli dei agli uomini e nell'iconografia è un essere asessuato, più femminile che maschile, in ogni caso adolescente o addirittura un bambino di due o tre anni.
Il punto di incontro fra gli angeli cristiani e i putti pagani sono le ali: gli erotes erano spiriti alati messaggeri degli dei, rappresentati come fanciulli che accompagnavano l'uomo nel corso dell'intera vita e nella religione romana si fusero con la figura del genio, spirito guardiano che proteggeva l'anima di un uomo. I primi cristiani adottarono questa immagine nelle catacombe e nei sarcofagi, ma nel Medioevo passarono a figure più adulte, ispirate per esempio alla Vittoria romana, alata come gli altri messaggeri Mercurio e Iris, per poi tornare ai putti a partire dal Rinascimento. Anche Cupido, il dio dell'amore, nonché strumento per riconquistare la dimensione spirituale e divina perduta dall'anima nel momento dell'incarnazione (in perfetta analogia con il compito dell'angelo cristiano), era alato e rappresentato come un giovane efebico o un putto derivato dagli erotes.
Gli angeli di Botticelli, Parmigianino, Leonardo da Vinci, tutti efebi adolescenti dal sesso incerto, sono una sintesi di questa tradizione che fondeva l'amore con l'anima, l'eros con l'angelo. Luchino Visconti aveva ben chiaro il collegamento e non a caso nella scena finale di «Morte a Venezia» fa ripetere all'adolescente Tadzio il gesto della Pointing lady, la fanciulla angelica disegnata da Leonardo mentre indica un punto imprecisato e infinito. Da Correggio parte dunque un'iconografia, quella dell'adolescente divino, metà Eros metà Angelo, che fissa un gusto arrivato fino a oggi e passato dall'arte, per esempio attraverso le foto di Pierre et Gilles, alla moda dove ambigui modelli adolescenti, in bilico tra femminile e maschile, fungono da moderni messaggeri del lato oscuro della bellezza.
Francesca Bonazzoli Furbetto
«Il ratto di Ganimede» (1531-32) è il primo dei quattro dipinti della serie «Amori di Giove» ispirata alle «Metamorfosi» di Ovidio.
Correggio dipinge il giovane Ganimede con un'espressione furbetta, per nulla spaventato dall'aquila che lo rapisce
Sesso incerto Correggio come Botticelli e Leonardo: figure che fondono anima ed eros
Angeli, putti, adolescenti Il fascino ambiguo dell'innocenza
Un angelo o un amorino? Un innocente adolescente o un fanciullo compiacente? Difficile distinguere tra purezza e peccato nell'arte del Correggio: la linea di demarcazione non è per nulla netta e, bisogna pur dirlo, quella sua sensualità scoperta, quei soffici corpi che sembrano dipinti con un pennello di piume, certe epidermidi che hanno il colore del miele e la morbidezza della cera fusa, parlano di un erotismo rivolto ai fanciulli e alle fanciulle che oggi giudichiamo malato, ma che era normale nel mondo classico ammirato dal Rinascimento. Non che tutti i pittori rinascimentali avessero inclinazioni pedofile, sia chiaro: la sensualità di Tiziano è sana e felice; quella di Michelangelo robusta e omosessuale. Quella di Correggio, più tenera e languida, potrebbe invece richiamare alla mente quella di un Gustav von Aschenbach infatuato dall'efebico Tadzio.
Basta guardare il quadro di Giove e Ganimede dove il dio, invaghitosi del pastorello e assunto l'aspetto di un'aquila, lo trasporta nell'Olimpo e ne fa il coppiere degli dei. Correggio — che è il primo nel Rinascimento a riprendere questo mito classico, poi seguito da Michelangelo — dipinge un bimbo di circa otto anni, con l'espressione furbetta, per nulla spaventato da quell'aquila che lo ha rapito e che apre persino il becco per leccargli con la lingua il tenero braccio.
E che dire del Cupido, un ragazzino di circa dieci anni, che vestito di un solo paio di magnifiche ali sta aiutando Giove, questa volta trasformatosi in una pioggia d'oro, a sedurre una Danae/Lolita che sembra la sua sorellina maggiore? E come se non bastasse, a questa scena fra le più erotiche della pittura, partecipano altri due bambinetti che, ai piedi del letto di Danae giocano a provare sulla pietra le frecce d'oro e di piombo, cioè quelle d'attrazione e di repulsione.
Eccola dispiegata tutta la confusione che il Rinascimento — pagano e neoplatonico — riuscì a creare fra angeli e putti, fra adolescenti e santi, fra mito e religione al punto che anche del rapimento di Ganimede gli umanisti fecero un'allegoria dell'ascesa dell'anima umana verso Dio.
La figura chiave di questo corto circuito spiritual carnale è l'angelo che in greco significa «messaggero». Già nel pantheon greco romano l'angelo aveva il compito di trasmettere la volontà degli dei agli uomini e nell'iconografia è un essere asessuato, più femminile che maschile, in ogni caso adolescente o addirittura un bambino di due o tre anni.
Il punto di incontro fra gli angeli cristiani e i putti pagani sono le ali: gli erotes erano spiriti alati messaggeri degli dei, rappresentati come fanciulli che accompagnavano l'uomo nel corso dell'intera vita e nella religione romana si fusero con la figura del genio, spirito guardiano che proteggeva l'anima di un uomo. I primi cristiani adottarono questa immagine nelle catacombe e nei sarcofagi, ma nel Medioevo passarono a figure più adulte, ispirate per esempio alla Vittoria romana, alata come gli altri messaggeri Mercurio e Iris, per poi tornare ai putti a partire dal Rinascimento. Anche Cupido, il dio dell'amore, nonché strumento per riconquistare la dimensione spirituale e divina perduta dall'anima nel momento dell'incarnazione (in perfetta analogia con il compito dell'angelo cristiano), era alato e rappresentato come un giovane efebico o un putto derivato dagli erotes.
Gli angeli di Botticelli, Parmigianino, Leonardo da Vinci, tutti efebi adolescenti dal sesso incerto, sono una sintesi di questa tradizione che fondeva l'amore con l'anima, l'eros con l'angelo. Luchino Visconti aveva ben chiaro il collegamento e non a caso nella scena finale di «Morte a Venezia» fa ripetere all'adolescente Tadzio il gesto della Pointing lady, la fanciulla angelica disegnata da Leonardo mentre indica un punto imprecisato e infinito. Da Correggio parte dunque un'iconografia, quella dell'adolescente divino, metà Eros metà Angelo, che fissa un gusto arrivato fino a oggi e passato dall'arte, per esempio attraverso le foto di Pierre et Gilles, alla moda dove ambigui modelli adolescenti, in bilico tra femminile e maschile, fungono da moderni messaggeri del lato oscuro della bellezza.
Francesca Bonazzoli Furbetto
«Il ratto di Ganimede» (1531-32) è il primo dei quattro dipinti della serie «Amori di Giove» ispirata alle «Metamorfosi» di Ovidio.
Correggio dipinge il giovane Ganimede con un'espressione furbetta, per nulla spaventato dall'aquila che lo rapisce
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