Quelle muse polverose che hanno ispirato la nostra grande letteratura

Il Gazzettino, 20 maggio 2008
TRA TRADIZIONE POPOLARE E CULTURA
Quelle muse polverose che hanno ispirato la nostra grande letteratura
Da Pasolini a Bacchelli, da Carducci a Pascoli, da Leopardi a Verga: quanti scrittori sono stati stregati dal fascino delle "stradicciole"!
Lasciare le strade asfaltate per cercare quelle bianche, pure e candide come nuvole. Stradine che non trafiggono il territorio, non lo violentano al solo scopo di attraversarlo, di tagliarlo fuori dall'obiettivo unico che è la meta, la destinazione, l'arrivo. No, i cammini di un tempo si appoggiano sulla terra delicatamente, la assecondano, ne seguono gli andamenti e le bizze. Non lacerano il territorio deturpandolo, ma svolazzano su di esso a filo d'erba librandosi quasi in sospensione, come farfalle che vagano di corolla in corolla, per condurci dai ruscelli ai prati, dai fossi ai colli, dai boschetti agli argini.

Ed è una piacevole scoperta, un calarsi in una realtà che rende possibile assolvere ad un'esigenza primaria, quella di riappropriarsi dei tempi, dei modi e degli spazi entro i quali vivere secondo ritmi a noi più consoni, in sintonia con il nostro modo di essere e di sentire.

È un modo per avvicinarsi, rivalutandola, alla storia recente del nostro passato, alla tradizione popolare, alla vita vissuta dei nostri luoghi. Un mondo contadino un tempo sinonimo di arretratezza e quasi oggetto di vergogna, ma oggi in forte rivalutazione (basti pensare all'escalation del fenomeno dell'agriturismo) fino a divenire privilegio e segno di distinzione di pochi eletti. E la poetica legata all'andare lungo stradine che nei tempi passati erano tutte sterrate, è un aspetto così pregnante che si ritrova anche in alcuni tra i passaggi più intensi della nostra letteratura.

Viene naturale alla memoria Pier Paolo Pasolini che soleva descrivere con dovizia di particolari le rogge, le fontane, le ombrose fronde degli alberi, ma anche i viottoli di campagna testimoni della vita dei suoi personaggi come pure di se stesso. Quei viottoli che egli sentiva come propri erano, fatte le debite proporzioni, le stesse "stradicciole" lungo le quali se ne tornava bel bello don Abbondio andando verso l'incontro con i bravi di manzoniana memoria. Ma anche i rettifili lungo gli argini del grande fiume teatro dei drammi sociali del mulino del Po di Bacchelli, le tragiche vie tra gli alti pioppi dove correva impazzita la cavallina storna del Pascoli o le stradine soffocanti di polvere, ma straordinariamente solari e così realistiche delle novelle rusticane del Verga.

Come non ricordare poi le spensierate stradine leopardiane percorse dalla "donzelletta che vien dalla campagna in sul calar del sole" o i poetici viali con i cipressi "alti e schietti in duplice filar" cantati dal Carducci. Le tracce in terra battuta sulla sommità degli argini sono pure le scenografiche ambientazioni delle corse in bicicletta, oltreché delle liti naturalmente, tra don Camillo e Peppone.

Quei viottoli così cari alla nostra letteratura e parte integrante della nostra cultura stanno lentamente, ma inesorabilmente scomparendo. Relegati ad un utilizzo marginale, sopraffatti dalle colture agricole intensive, stanno ora perdendo la loro liricità sopraffatti dall'avanzare dell'asfalto. Coprire di freddi conglomerati bituminosi queste strade di campagna però, significa privarle del loro fascino e di quell'alone poetico che accompagna il chiacchiericcio dei sassi sotto le ruote, il diffondersi del profumo dei fiori nell'aria, la corsa di un fagiano o di una lepre ai bordi di un fosso. Un getto d'asfalto ruba l'anima.

Ma si potrebbero immaginare le praterie dei magredi o le alture del Carso graffiate da nere colate di bitume? Si potrebbero immaginare i cascinali toscani, le masserie pugliesi, le colline marchigiane, i poderi siculi o i pascoli sardi raggiunti da stradoni a doppia corsia? Nossignori. Sarebbe uno sfregio all'anima dei luoghi, una violenza alla loro intimità, uno schiaffo alla liricità finora immutata negli anni.

C.F.

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