Mandò i soldati allo sbaraglio e quando non erano i fucili nemici ad uccidere ci pensava la corte marziale

Liberazione 8.8.07
Il nuovo libro di Lorenzo Del Boca stigmatizza il comportamento del generale durante la Prima guerra mondiale.
Mandò i soldati allo sbaraglio e quando non erano i fucili nemici ad uccidere ci pensava la corte marziale
Nome Luigi, cognome Cadorna, professione stragista
di Maria R. Calderoni

«La giustizia del senno di poi avrebbe suggerito di fucilare direttamente Cadorna e di mettere al muro anche Badoglio. Forse, era l'unica opportunità che l'Italia poteva giocarsi per evitare l'8 settembre 1943». Attenuanti, nessuna: non concede sconti di sorta questo nuovo libro di Lorenzo Del Boca - Grande guerra piccoli generali, (Utet, pp. 223, euro 14,00) - che non per nulla reca come sottotitolo "Una cronaca feroce della Prima guerra mondiale". Una cronaca feroce ma purtroppo vera; e che resta tale anche se il "lavoro" di occultamento e di rimozione è stato lungo e tutt'altro che vinto. Quasi cinquantamila libri, tanti ne sono stati scritti sul tema, non sono valsi a svelare fino in fondo, a far diventare senso comune, tutto l'orrore, dentro e fuori l'immenso fronte, della Prima guerra mondiale. Vale anche per quanto riguarda il solo versante taliano.
Delitti e misfatti di casa nostra, il macello arriva per ordini dall'alto. Il lavoro di Del Boca ne fa intravvedere un bello squarcio e lo spettacolo è del genere raccapricciante, color rosso sangue, sia pure ammantato di tricolore. Sotto accusa gli stati maggiori, i capi, i generali che hanno guidato - absit iniuria verbis - l'esercito italiano durante l'immane conflitto 15-18.
Cadorna appunto. «Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. In realtà riusci soltanto a trasformare le sue prime linee in un lager dove gli uomini ai suoi ordini furono sottoposti a ogni genere di prevarcazioni anche psicologiche. Gli uomini potevano solo soffrire, dannarsi e morire». Gli uomini, sotto Cadorna, si tenevano col terrore. «Le corti marziali lavorarono a pieno ritmo e i magistrati spedirono davanti al plotone d'esecuzione una quantità di poveracci analfabeti che il fango delle trincee aveva mutilato».
"Muti passavan, quella notte, i fanti". Già, avevano poco da ridere. «I generali valgono poco». Parola di Giovanni Giolitti che, «in uno slancio di onestà intellettuale, fotografò lo Stato Maggiore per quel nulla che era capace di fare»: «Hanno il comando di un'armata il Brusati che basterebbe appena per un reggimento. Il Frugoni, abbiamo dovuto richiamarlo dalla Libia, di tante bestialità era responsabile. Lo Zuccari non è che un elegantone».
Molte pagine del libro sono un'esposizione cruenta delle operazioni-massacro condotte sotto l'illuminata guida di cui sopra. L'8 giugno 1915 è lanciato il tentativo di prendere il Podgora «e fu la prima carneficina dei nostri soldati falciati dalle mitragliatrici e lasciati ad agonizzare nella terra di nessuno».
Nemmeno quindici giorni dopo, il 21 giugno, comincia quella che nei testi di storia passa come "la prima battaglia dell'Isonzo". Nèssun obiettivo raggiunto, né sul Podgora né sul Kuk, e questo al prezzo di 2.000 morti, 11.500 feriti e 1.500 dispersi. La "tattica" usata per esempio sul Kuk venne così descritta da Ugo Oietti: «Ci gettammo a testa bassa, per i ripidi pendii scoperti. Quattro brigate tentarono di sfondare in un triangolo di poco più di un chilometro di base. Immaginarsi il carnaio davanti ai reticolati austriaci pressoché intatti»
Meno di un mese dopo, il 18 luglio, si lancia la "seconda battaglia dell'Isonzo": nonostante il valore dei soldati che per tre volte tentano di conquistare il San Michele, si risolve in un altro disastro, causa mancati aiuti: 42 mila uomini fuori combattimento.
«Rinforzi non ne arrivavano mai e, qualche volta, mancavano le munizioni per resistere». Nondimeno il Comando non vuol chudere il 1915 senza avere colto qualche bel risultato. All'uopo è pronta la "terza battaglia dell'Isonzo", questa volta si punta su Gorizia. Per tre giorni, dal 19 al 22 ottobre, le artigliere italiane martellano i reticolati austriaci senza riuscire ad aprire dei varchi. Non importa: il piano degli strateghi cadorniani prevedeva che il terzo giorno sarebbe dovuta intervenire la fanteria e così fu. «I comandanti diedero ai soldati l'ordine di attaccare. In poche decine di metri quadrati, "i nostri" furono maciullati. Impregnarono col sangue le zolle e coprirono la terra coi loro corpi. Letteralmente». Lì sacrificati 67 mila ragazzi.
Beh pazienza. Si può sempre lanciare la "quarta battaglia dell'Isonzo", ciò che avvenne puntualmente dal 4 al 12 novembre, teatro la zona di San Floriano e Oslavia, ancora una volta, i fanti mandati all'attacco sotto la pioggia di fuoco austriaco, giusto come voleva la tattica di Cadorna: vennero perduti altri 49 mila soldati.
Cadorna, lui. Del Boca gli riserba pagine spietate. «Il generalissimo Luigi Cadorna? Da poche ore era stato nominato capo di Stato Maggiore ma, prima di verificare i piani militari, si preoccupò di acquistare un buon pacchetto di azioni dell'Ansaldo», cioé l'azienda-leader nel campo dei rifornimenti bellici, cannoni e simili: pacchetto sicuramente ad alta remunerazione, dato il macello in corso.
Del resto, nel 1914, al momento di nominare il capo di stato maggiore, gli era stato preferito il gen. Alberto Pollio, «soprattutto per l'intervento di Giolitti, che si giustificò: "Ho scelto Pollio che non conosco perchè Cadorna lo conosco"» (Pollio morì poco dopo) .
Generalissimo? «Non conosceva il valore della fatica (degli altri). Riteneva che il sacrificio non fosse mai sufficiente (quello degli altri). Di fronte al martirio di interi reparti che si lasciarono massacrare per obbedire a degli odini strampalati, mostrò un apatico cinismo. Il 28 agosto 1916 lasciò che un'offensiva terminasse per sfinimento. Era costata 36 mila morti, 96 mila feriti e 25 mila dispersi». Tutto «per avanzare di quattro chilometri e conquistare qualche ettaro di pietraia».
Generalissimo? «E quando i fiaschi non bastarono più, entrarono in azione i plotoni di esecuzione che, in fretta e spesso senza processo, mandavano al muro chi si mostrava titubante nel correre a farsi ammazzare». E «dovevano essere esecuzioni "esemplari", in modo che servissero da esempio e da deterrente».
Generalissmo? Caporetto, «fu una sconfitta da far vergogna». Anche allora, Cadorna venne informato per tempo, «ma ritenne improbabile una offensiva austriaca. Provocò crisi di comando, diede ordini sbagliati, confusi e contradditori che non consentirono alle truppe di schierarsi razionalmente. Sbagliò nel valutare le nostra forze e quelle dell'avversario...».
Caporetto, «la ritirata stava diventando una fuga e la fuga stava assomigliando a una rotta. I più alti in grado si segnalarono per l'agilità con cui abbandonarono il loro posto». Furono perduti centomila uomini. Caporetto, Italia.

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