I greci e l'uguaglianza di fronte alla legge

La Repubblica 1.8.07
Perché non possiamo non dirci pagani
I greci e l'uguaglianza di fronte alla legge
di Lucio Villari

Ripubblicata l'opera di Santo Mazzarino: l'antichista vedeva in Sparta e Atene e nella loro religione il fondamento della nostra civiltà
Da Epicuro a Seneca l'arte di credere in se stessi e l'idea di giustizia
Qui l'etica laica, in Oriente un fanatismo che è il simbolo della vita nazionale stessa

Una lieve ansia di rientrare in se stessi, il desiderio di qualche terapia intellettuale e di idee chiare e disarmate di cui si percepisce l´assenza, forse sono questi stati interni a far parlare di religioni e di religiosità e a far sospettare più che l´inquietudine di chi cerca una fede, la stanchezza e la noia del vuoto. Una medicina per questi sentimenti potrebbe essere, ad esempio, un richiamo al perché non possiamo non dirci pagani, al lascito eterno della cultura classica, della storia del mondo antico e persino dell´universo degli «dei falsi e bugiardi». Anche se quest´ultimi non pare fossero veramente tali. «Gli dei non sono dotati di nessuna trascendenza; - diceva Marc Augé nel 2005 a un convegno a Rimini sul mondo antico, sul tema Antico/Presente - appartengono allo stesso mondo degli uomini e rivestono essenzialmente un ruolo simbolico in senso letterale: mettono in relazione gli uomini tra loro. La "fede" negli dei passa attraverso l´accettazione del vivere quotidiano». Era in sostanza un rifarsi alla «concretezza storica» della mitologia di cui parlava Kàroly Kerényi nel l955 a proposito dei greci. Tesi ribadita l´anno dopo dal filologo e storico Walter Friedrich Otto nel saggio Il mito originario alla luce della simpatia di uomo e mondo. Ed era anche dalla differenza e opposizione tra la religiosità greca e quella orientale che si doveva partire per avvertire la contiguità della religione greca con il nostro Occidente, il solo spazio, aveva scritto Santo Mazzarino nel l947, «dove vibra l´anima della storia greca».
Un´anima che va percepita per contrasto con l´Oriente «e proprio per rivelare la sua originalità e fisionomia caratteristica».
Anche attraverso questa immagine umano-divina della religione greca (e romana) riemerge l´esigenza antica di razionalità di cui Marco Aurelio in uno dei «Pensieri» vede privi i cristiani, portatori di un culto orientale. E´ questa la Grecia che «entra» a Roma nella transizione tra repubblica e impero e, pur confrontandosi con tempi politici e sociali disumani e violenti, ha introdotto la limpida filosofia dello stoicismo.
Era un pagano pragmatismo morale che, da Epicuro a Seneca a Epitteto a Marco Aurelio, ha insegnato l´arte del credere in se stessi e l´idea di giustizia come fondamento della società civile.
La Stoà fu anche un movimento spirituale e filosofico, una etica laica che il monoteismo cristiano ha poi in parte inglobato nella sua dottrina e in parte sopraffatto innestandovi sentimenti e comportamenti sconosciuti agli antichi, come il timore verso un misterioso trascendente (gli dei sono invece umani, quindi non misteriosi) e la convinzione, come sosteneva Paolo di Tarso nella Lettera ai Corinzi, che «la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio».
Comunque la Stoà - ha scritto nel 1943 uno dei suoi maggiori studiosi, Max Pohlenz - «ha dato per mezzo millennio a innumerevoli uomini una base morale e la pace interiore». Il suo più agguerrito avversario, Agostino - lo ha ricordato Italo Sciuto ne L´etica del Medioevo (Einaudi, 2007) - rimproverava ai filosofi pagani, di cui però sentiva il fascino, di avere sì pensato ad una società giusta, ma di non averla saputa realizzare.
In realtà l´idea di giustizia, anche se la sua origine politica era greca, fu, accomunata dai cristiani al rifiuto della schiavitù, fu l´insidia più pericolosa il tarlo che indebolì mortalmente Roma.
Chi riconosce però nella filosofia pagana una delle premesse del pensiero moderno - dall´Umanesimo a Erasmo, Spinoza, Kant, l´Illuminismo - sa che questa pace interiore, il tecum fugis di Seneca, la moralità dell´esistenza, suggerite più che predicate o imposte, erano fondate sul piacere del vivere e sul vivere conoscendo; sentimenti che potevano essere sconvolti da eventi esterni (alcuni stoici erano attraversati da queste inquietudini preferendo alla violenza psicologica o politica un calmo suicidio) e quindi delicati, inermi. Un piacere fondato sul principio del «conservare il proprio essere», come dirà Spinoza, di «individuazione» dell´individuo, che in traduzione attuale potrebbe essere il principio della salvaguardia della «persona».
Era attenzione filosofica verso l´anima umana, anzi, la «therapia animae», di Panezio di Rodi, il filosofo greco che più influenzò gli stoici romani, a cominciare da Cicerone, sul problema dell´etica che aveva il segno aurorale della libertà dell´uomo.
Forse questa lezione l´avrebbe oggi ripensata un conoscitore della classicità come Santo Mazzarino, ma venti anni or sono, nel l987, la sua scomparsa ha privato la cultura italiana di una intelligenza straordinaria e di un indagatore dell´«Antico/Presente» che manifestava con franchezza anche la propria passione politica, sia nel giudizio storico preciso e filologicamente implacabile sulla classicità, sia nella interpretazione della classicità nella storia contemporanea del mondo occidentale.
Sono stato suo allievo nell´Università di Messina (insegnavano con lui Giacomo Debenedetti, Galvano della Volpe, Ruggero Moscati, Lucio Gambi, Giorgio Petrocchi, Rosario Romeo) e posso testimoniare che gli altri storici moderni (ma lo stesso succederà quando Mazzarino si trasferì all´Università di Roma) non si ponevano, né risolvevano, i problemi complessi della storia del Novecento come invece Mazzarino faceva spesso, con la naturalezza dello storico totale e il gusto di occuparsi di cose diverse. I problemi novecenteschi che lo incuriosivano - ne discuteva spesso con alcuni allievi in privati conversari - avevano una dimensione europea, occidentale ed erano di una «qualità» diversa dalle pur fondamentali questioni della prima guerra mondiale, del fascismo, del comunismo, del nazismo, con relative guerre e damnatio memoriae. Una storia politica e soprattutto sociale che Mazzarino invece sentiva intensamente e «vedeva» - scoprendo personaggi e eventi fondamentali che allora parevano sfuggire alla storiografia italiana corrente - dall´interno, con lo spirito critico con in quale investigava l´interno della classicità. In fondo applicava al tempo presente la «istorin» greca, cioè la «problematica illustrazione del fatto che si indaga» più che «raccontarne una serie», cioè «la narrazione continuata che è propria degli Orientali».
Quando, nel l959, apparve La fine del mondo antico, nella breve Premessa c´era l´indicazione del metodo: «Credo che il tema della "morte di Roma" presenti un particolare interesse: sentiamo così il bisogno di percorrere il cammino delle idee di "decadenza" e "fine" del mondo antico, come di chiederci ancora, per nostro conto, quale spiegazione di quella "fine" appaia, all´uomo di oggi, necessaria e sufficiente. Ma, proprio per questo, un "dialogo" siffatto è in realtà inesauribile...». Il dialogo, dunque tra antico e presente, parafrasi del dialogo fra Oriente e Occidente (dialogo e insieme distinzione) al quale nel l947 Mazzarino dedicò una ricerca fondamentale: Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica. Sessanta anni dopo l´opera è stata ripubblicata da Bollati Boringhieri (una edizione Rizzoli risale al l989) e ha una introduzione di Filippo Cassola e in appendice la recensione critica che del libro fece nel `47 Arnaldo Momigliano e la puntuale replica di Mazzarino al quale in realtà le polemiche accademiche non interessavano affatto, e che quindi non volle allora pubblicare. Con questo libro Mazzarino toccava infatti i nervi scoperti di alcuni storici della classicità e contestava nettamente l´opinione, di cui era portatore Momigliano, che il tema Oriente-Occidente fosse ormai storiograficamente risolto e che si trattasse di un «problema fantasma». Mazzarino sosteneva al contrario che «chi studia storia arcaica ha il compito di rievocare Oriente e Grecia e studiare in che modo "il tempo della storia orientale" si sia poi risolto nel "tempo della storia greca"».
Dalla ricchezza e pluralità della ricerca di Mazzarino credo sia possibile qui riproporre soltanto qualche spunto. Muovendo dalla Grecia arcaica, come dice il titolo dell´opera, Mazzarino voleva stabilire, sulla base di innumerevoli fonti poetiche, letterarie, politiche, linguistiche, archeologiche i confini dell´«Asia», il cui nome rinvia allo stato di Asswa in Lidia, e i confini della Grecia «barbarizzata», cioè incrociata dagli «stranieri», per identificare sia le relazioni e contaminazioni tra i popoli e gli Stati dell´Asia minore e la Grecia arcaica, sia il processo di distinzione tra i due mondi, appunto tra Oriente e Occidente. Alla fine la differenza è netta e non è soltanto la diversità tra la polis e il potere non democratico degli stati orientali, ma l´originalità di una via culturale e politica che Mazzarino individua nel «travaglio costituzionale» che connota la Grecia classica. Ma leggiamo questa pagina esemplare. «Il travaglio costituzionale ci è apparso come l´opera di tutti i Greci; ed è un travaglio gelosamente, diremmo, greco, senza alcun "emprunt" lidio o comunque straniero. In esso l´anima dell´Occidente si è, la prima volta, rivelata. Partendo da condizioni analoghe a quelle delle città-stato orientali, i Greci tuttavia hanno "scoperto" qualcosa che gli Orientali non sospettavano: l´esigenza isonomica. Questa fu la nascita dell´Occidente».
Isonomia è una voce della democrazia greca che significa uguaglianza di fronte alla legge. La rivoluzione francese l´ha consacrata per sempre fondando l´Occidente moderno. A Mazzarino questo era chiaro con in più la convinzione «illuministica» che un altra differenza c´era nel fatto che «mancava ai Greci quel fanatismo religioso che per gli Orientali è simbolo della vita stessa nazionale». Ma c´è un punto sul quale credo si debba riflettere che capire le dimensioni di questo storico straordinario. Mazzarino parlava di «travaglio costituzionale» della Grecia proprio nell´anno, il l947, nel quale l´Italia stava elaborando una nuova Costituzione. Mazzarino scriveva il suo libro seguendo i lavori dell´Assemblea Costituente, cioè il travaglio costituzionale di un paese che, come la Grecia classica, scopriva i valori della democrazia. A mio parere il rapporto cui egli era, come si è detto, particolarmente sensibile tra mondo contemporaneo e mondo classico, emerge qui con una grande forza ideale e morale. Solo questa sensibilità storica e politica può separare, senza contrapporli, l´Oriente e l´Occidente. Mazzarino ha spiegato, con molto stile, il senso di questa separazione - dialogo parlando di un tempo nel quale «si formò una cultura che è la nostra. E che, grosso modo, si può dire greca per la politica e orientale per la religione. Ma la stessa unità di questa nostra cultura è prova, dunque, che nell´anima occidentale (nell´anima greca, cioè) non c´era chiusa avversione all´Oriente, ma aperta ansia di comprensione e di assimilazione».
Varie volte torna la parola anima nella razionale scrittura di Mazzarino; forse era un segreto richiamo anche allo stoicismo e a pagani pensieri e sentimenti di un Occidente libero e aperto a tutti.

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