Festival a Roma. L’opera cinese è vicina
l’Unità 27.5.08
Festival a Roma. L’opera cinese è vicina
La Cina ha oltre 25 milioni di pianisti
di Luca Del Fra
Uno sviluppo culturale enorme ispirato anche da Mao
Ne parlano alcuni musicisti
La Cina ha oltre 25 milioni di pianisti, crea festival e stili fra tradizione ed Europa
Prodotto da Musica per Roma, all'Auditorium fino all'8 giugno, c’è il Festival Cinavicina dove spiccano due titoli di teatro musicale. Per l'inaugurazione è andata in scena Poet Li Bai del compositore Guo Wenjing prodotta dal Teatro dell'Opera di Shanghai. Ha debuttato l'anno scorso negli Stati Uniti per poi trionfare a Beijing e poi a Shanghai: il libretto è in cinese, ma la musica è composta in uno stile contemporaneo occidentale, con interludi invece nello stile dell'opera di Pechino. È dunque da annoverarsi come una delle prime partiture che si distanzia dalla ricca tradizione del teatro musicale cinese. Il maggior dizionario del teatro musicale cinese, pubblicato nel 1995, cataloga infatti ben 335 stili regionali diversi di cui il più noto in occidente è l'opera di Pechino (si è visto al cinema in Addio mia concubina), o più correttamente opera di Beijing. Tra queste c'è l'opera yu e a questa tradizione appartiene Cheng Ying salva l'orfano degli Zhao, in scena il 28 e il 29 maggio in una produzione dall'Opera di Henan. (www.auditorium.com, tl 06 80241281).
Quanto agli artisti citati nell’articolo accanto, è doveroso citare, al netto dei suoi eccessi divistici, il giovane pianista Lang Lang con il suo disco Dragon Song (Deutsche Grammophon) perché mette a disposizione un documento di notevole interesse sullo sviluppo della musica occidentale in Cina e sull'incrocio dei due modelli di cultura musicale. Il cd è aperto dal Concerto per pianoforte e orchestra Fiume Giallo, tratto nel 1969 da una precedente Cantata del 1939 di Xian Xinghai. È uno dei rari esempi di musica che, pur originalmente composto prima della rivoluzione culturale, durante quegli anni ebbe una sua diffusione, si dice dovuta all'amore per il pianoforte di Jiang Qing, la moglie di Mao Zedong.
Beethoven, Mozart e involtini primavera
Da svariati anni i musicisti e i cantanti cinesi hanno preso d'assalto le maggiori sale da concerto occidentali: da Berlino alla Scala, da Londra ad Amsterdam a San Pietroburgo. Ci sono pianisti oramai celeberrimi come Lang Lang, primo musicista a lanciare un suo disco molto globalmente su «Second life» attraverso internet, oppure Dang Thai Son, il primo nel 1980 a strappare dalle mani occidentali il premio Chopin di Varsavia - il più importante concorso pianistico del mondo - e Yundi Li che bissò l'impresa nel 2000. Ma non scordiamoci il successo spesso meritato di violinisti, cantanti e direttori d'orchestra. E i compositori: il più noto è Tan Dun, in realtà sono una marea.
La Repubblica popolare cinese ha oltre 25 milioni di pianisti: bella forza si dirà, con oltre un miliardo e mezzo di persone. Calma, se si calcola la percentuale sulla popolazione, si arriva a una cifra che molti paesi occidentali non possono più vantare, e tra questi l'Italia che pomposamente si definisce la patria della musica. Per l'armata cinese della tastiera che adora i classici viennesi - Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert - sta nascendo un repertorio particolare che trae origine dalla musica popolare rigenerata secondo il sistema occidentale in uno stile che, per l'uso delle scale pentatoniche cinesi, ricorda Debussy, ma vi spirano refoli del cross-over e perfino new age. Resta da chiedersi da dove nasca questa passione in un paese con una tradizione musicale risalente al 2000 avanti Cristo. Chi pensa che sia dovuto all'arrivo dei modelli economici occidentali, incorrerebbe in una rozza semplificazione: le cose sono più complesse e sorprendenti, in questa assimilazione un ruolo centrale lo hanno svolto Mao Zedong e la rivoluzione comunista.
Il primo strumento occidentale, una tastiera, giunse nel XIV secolo. Ai primi del ‘900 nasce la prima sezione di musica occidentale, nella scuola normale superiore femminile di Beijing (Pechino). Nel 1927 a Shangai il primo Conservatorio. Negli anni Trenta alcuni compositori sviluppano uno stile per cantate corali che dovevano veicolare un messaggio politico. Con le scarpe ancora inzaccherate dal fango della Lunga marcia, Mao Zedong in Democrazia nuova (1940) scrive: «La cultura cinese deve avere una sua forma propria, cioè una forma nazionale. Nazionale quanto alla forma, nuova e democratica in quanto al contenuto». Due anni dopo precisa negli Interventi alle conversazioni sulla letteratura e l'arte: «Non dobbiamo respingere l'eredità degli antichi e degli stranieri, né rifiutare di prendere le loro opere a esempio». Idee-guida che dopo il 1949 informeranno la vita culturale cinese, permetteranno la diffusione della musica occidentale e del pari la nascita di una nuova musica cinese, ovviamente marcata dall'estetica del realismo socialista. «Mio padre ha studiato in Conservatorio negli anni ‘60 - spiega Lü Jia, direttore nato a Shangai, affermatosi in Europa e in Italia con una brillantissima carriera - faceva parte della seconda generazione di musicisti cresciuti nella Cina comunista. Il modello dei Conservatori era stato trapiantato dall'Unione Sovietica. Ma la Russia ha aiutato lo sviluppo della musica occidentale in Cina anche negli anni '30, quando molti musicisti ebrei fuggirono dallo stalinismo, riparando prima in Mongolia e poi scendendo verso sud. Una scuola violinistica fondamentale».
Negli anni '60 si sviluppano i primi mescolamenti di strumenti della tradizione orientale e occidentale. Una pratica oggi divenuta una moda. Per esempio si può ricordare Sanmen Gorge Fantasia per erhu - violino a due corde - e orchestra di Liu Wenjin. Molti strumenti tradizionali furono rimodellati per renderli compatibili con le orchestre occidentali; nacquero moderne versioni del repertorio, come l'opera pechinese Hongdeng ji («La lanterna rossa»). Era il 1968, scoppiava la rivoluzione culturale. «Per i musicisti come mio padre quegli anni furono piuttosto duri - spiega Lü Jia -: tutto il giorno dovevano suonare inni e marcette. I Conservatori continuarono a funzionare, io frequentavo quello di Pechino, ci facevano studiare i classici, poi dovevi suonare roba spesso poco interessante». Dopo? «Dopo la rivoluzione culturale la gente era curiosa di tutto, voleva sapere - spiega la giovane Yu Qing Hu - e la musica ha avuto un ruolo fondamentale. Da almeno due decenni per i giovani delle città studiare musica occidentale è un dovere culturale e non importa da che classe si proviene. Lo fanno i tuoi compagni di classe, le tue amiche e i tuoi amici: tutti hanno lezioni private di pianoforte». La struttura dell'insegnamento musicale, plasmata negli anni '50 sul modello sovietico, è funzionale a questo interesse, i Conservatori aumentano di numero ma restano molto selettivi: se riesci a entrare e a diplomarti hai un mestiere assicurato come musicista o insegnante. Il pianoforte acquista il ruolo di strumento principe assieme al violino, tutti e due prodotti in loco, dunque a un costo relativamente abbordabile. L'alfabetizzazione musicale produce pubblico - pronto a sobbarcarsi biglietti a 5-8 euro per la China Philharmonic, cinque volte un cinema -, e stimola la nascita di orchestre, inizialmente forse non ineccepibili ma che nel tempo crescono qualitativamente.
Il 13 ottobre del 1998 Rafael Frühbeck de Burgos alzò la bacchetta e la Rundfunk Sinfonieorchester di Berlino lasciò risuonare il primo accordo del quinto Concerto per pianoforte di Beethoven nella Gran sala del popolo nel Politecnico di Beijing: nasceva il Beijing Music Festival, oggi la più importante manifestazione musicale di tutta l'Asia. «L'idea del suo fondatore Long Yu era dare continuità a una vita musicale fino allora piuttosto improvvisata - spiega con orgoglio Yu Qing Hu che ha lavorato alla rassegna fin dalla prima edizione -. Altro stimolo era il confronto tra le orchestre ospiti europee, americane e anche asiatiche. In questi dieci anni molte nostre orchestre hanno creato stagioni regolari: a Canton, Macao, Shangai e in posti più defilati come Shenzhen, nel cui Conservatorio ha studiato Yundi Li». Nella capitale oggi sono attive 8 orchestre, e 3 - China Philharmonic, China National Symphony e Beijing Symphony - hanno una stagione stabile. «Sia la città di Beijing che il ministero della cultura supportano il Festival - conclude Yu Qing Hu -, ma all'inizio tutto si basava su finanziamenti privati». Furono infatti Sony, Ubs (Unione di Banche Svizzere), Deutsche Bank e American Express a tirar fuori i soldi per il Beijing Festival: l'interesse per la promozione culturale avrà pesato, ma le multinazionali, anche discografiche, hanno intravisto un mercato immenso in un paese che rischia di diventare uno dei centri di produzione e consumo di classica più importanti del pianeta.
Festival a Roma. L’opera cinese è vicina
La Cina ha oltre 25 milioni di pianisti
di Luca Del Fra
Uno sviluppo culturale enorme ispirato anche da Mao
Ne parlano alcuni musicisti
La Cina ha oltre 25 milioni di pianisti, crea festival e stili fra tradizione ed Europa
Prodotto da Musica per Roma, all'Auditorium fino all'8 giugno, c’è il Festival Cinavicina dove spiccano due titoli di teatro musicale. Per l'inaugurazione è andata in scena Poet Li Bai del compositore Guo Wenjing prodotta dal Teatro dell'Opera di Shanghai. Ha debuttato l'anno scorso negli Stati Uniti per poi trionfare a Beijing e poi a Shanghai: il libretto è in cinese, ma la musica è composta in uno stile contemporaneo occidentale, con interludi invece nello stile dell'opera di Pechino. È dunque da annoverarsi come una delle prime partiture che si distanzia dalla ricca tradizione del teatro musicale cinese. Il maggior dizionario del teatro musicale cinese, pubblicato nel 1995, cataloga infatti ben 335 stili regionali diversi di cui il più noto in occidente è l'opera di Pechino (si è visto al cinema in Addio mia concubina), o più correttamente opera di Beijing. Tra queste c'è l'opera yu e a questa tradizione appartiene Cheng Ying salva l'orfano degli Zhao, in scena il 28 e il 29 maggio in una produzione dall'Opera di Henan. (www.auditorium.com, tl 06 80241281).
Quanto agli artisti citati nell’articolo accanto, è doveroso citare, al netto dei suoi eccessi divistici, il giovane pianista Lang Lang con il suo disco Dragon Song (Deutsche Grammophon) perché mette a disposizione un documento di notevole interesse sullo sviluppo della musica occidentale in Cina e sull'incrocio dei due modelli di cultura musicale. Il cd è aperto dal Concerto per pianoforte e orchestra Fiume Giallo, tratto nel 1969 da una precedente Cantata del 1939 di Xian Xinghai. È uno dei rari esempi di musica che, pur originalmente composto prima della rivoluzione culturale, durante quegli anni ebbe una sua diffusione, si dice dovuta all'amore per il pianoforte di Jiang Qing, la moglie di Mao Zedong.
Beethoven, Mozart e involtini primavera
Da svariati anni i musicisti e i cantanti cinesi hanno preso d'assalto le maggiori sale da concerto occidentali: da Berlino alla Scala, da Londra ad Amsterdam a San Pietroburgo. Ci sono pianisti oramai celeberrimi come Lang Lang, primo musicista a lanciare un suo disco molto globalmente su «Second life» attraverso internet, oppure Dang Thai Son, il primo nel 1980 a strappare dalle mani occidentali il premio Chopin di Varsavia - il più importante concorso pianistico del mondo - e Yundi Li che bissò l'impresa nel 2000. Ma non scordiamoci il successo spesso meritato di violinisti, cantanti e direttori d'orchestra. E i compositori: il più noto è Tan Dun, in realtà sono una marea.
La Repubblica popolare cinese ha oltre 25 milioni di pianisti: bella forza si dirà, con oltre un miliardo e mezzo di persone. Calma, se si calcola la percentuale sulla popolazione, si arriva a una cifra che molti paesi occidentali non possono più vantare, e tra questi l'Italia che pomposamente si definisce la patria della musica. Per l'armata cinese della tastiera che adora i classici viennesi - Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert - sta nascendo un repertorio particolare che trae origine dalla musica popolare rigenerata secondo il sistema occidentale in uno stile che, per l'uso delle scale pentatoniche cinesi, ricorda Debussy, ma vi spirano refoli del cross-over e perfino new age. Resta da chiedersi da dove nasca questa passione in un paese con una tradizione musicale risalente al 2000 avanti Cristo. Chi pensa che sia dovuto all'arrivo dei modelli economici occidentali, incorrerebbe in una rozza semplificazione: le cose sono più complesse e sorprendenti, in questa assimilazione un ruolo centrale lo hanno svolto Mao Zedong e la rivoluzione comunista.
Il primo strumento occidentale, una tastiera, giunse nel XIV secolo. Ai primi del ‘900 nasce la prima sezione di musica occidentale, nella scuola normale superiore femminile di Beijing (Pechino). Nel 1927 a Shangai il primo Conservatorio. Negli anni Trenta alcuni compositori sviluppano uno stile per cantate corali che dovevano veicolare un messaggio politico. Con le scarpe ancora inzaccherate dal fango della Lunga marcia, Mao Zedong in Democrazia nuova (1940) scrive: «La cultura cinese deve avere una sua forma propria, cioè una forma nazionale. Nazionale quanto alla forma, nuova e democratica in quanto al contenuto». Due anni dopo precisa negli Interventi alle conversazioni sulla letteratura e l'arte: «Non dobbiamo respingere l'eredità degli antichi e degli stranieri, né rifiutare di prendere le loro opere a esempio». Idee-guida che dopo il 1949 informeranno la vita culturale cinese, permetteranno la diffusione della musica occidentale e del pari la nascita di una nuova musica cinese, ovviamente marcata dall'estetica del realismo socialista. «Mio padre ha studiato in Conservatorio negli anni ‘60 - spiega Lü Jia, direttore nato a Shangai, affermatosi in Europa e in Italia con una brillantissima carriera - faceva parte della seconda generazione di musicisti cresciuti nella Cina comunista. Il modello dei Conservatori era stato trapiantato dall'Unione Sovietica. Ma la Russia ha aiutato lo sviluppo della musica occidentale in Cina anche negli anni '30, quando molti musicisti ebrei fuggirono dallo stalinismo, riparando prima in Mongolia e poi scendendo verso sud. Una scuola violinistica fondamentale».
Negli anni '60 si sviluppano i primi mescolamenti di strumenti della tradizione orientale e occidentale. Una pratica oggi divenuta una moda. Per esempio si può ricordare Sanmen Gorge Fantasia per erhu - violino a due corde - e orchestra di Liu Wenjin. Molti strumenti tradizionali furono rimodellati per renderli compatibili con le orchestre occidentali; nacquero moderne versioni del repertorio, come l'opera pechinese Hongdeng ji («La lanterna rossa»). Era il 1968, scoppiava la rivoluzione culturale. «Per i musicisti come mio padre quegli anni furono piuttosto duri - spiega Lü Jia -: tutto il giorno dovevano suonare inni e marcette. I Conservatori continuarono a funzionare, io frequentavo quello di Pechino, ci facevano studiare i classici, poi dovevi suonare roba spesso poco interessante». Dopo? «Dopo la rivoluzione culturale la gente era curiosa di tutto, voleva sapere - spiega la giovane Yu Qing Hu - e la musica ha avuto un ruolo fondamentale. Da almeno due decenni per i giovani delle città studiare musica occidentale è un dovere culturale e non importa da che classe si proviene. Lo fanno i tuoi compagni di classe, le tue amiche e i tuoi amici: tutti hanno lezioni private di pianoforte». La struttura dell'insegnamento musicale, plasmata negli anni '50 sul modello sovietico, è funzionale a questo interesse, i Conservatori aumentano di numero ma restano molto selettivi: se riesci a entrare e a diplomarti hai un mestiere assicurato come musicista o insegnante. Il pianoforte acquista il ruolo di strumento principe assieme al violino, tutti e due prodotti in loco, dunque a un costo relativamente abbordabile. L'alfabetizzazione musicale produce pubblico - pronto a sobbarcarsi biglietti a 5-8 euro per la China Philharmonic, cinque volte un cinema -, e stimola la nascita di orchestre, inizialmente forse non ineccepibili ma che nel tempo crescono qualitativamente.
Il 13 ottobre del 1998 Rafael Frühbeck de Burgos alzò la bacchetta e la Rundfunk Sinfonieorchester di Berlino lasciò risuonare il primo accordo del quinto Concerto per pianoforte di Beethoven nella Gran sala del popolo nel Politecnico di Beijing: nasceva il Beijing Music Festival, oggi la più importante manifestazione musicale di tutta l'Asia. «L'idea del suo fondatore Long Yu era dare continuità a una vita musicale fino allora piuttosto improvvisata - spiega con orgoglio Yu Qing Hu che ha lavorato alla rassegna fin dalla prima edizione -. Altro stimolo era il confronto tra le orchestre ospiti europee, americane e anche asiatiche. In questi dieci anni molte nostre orchestre hanno creato stagioni regolari: a Canton, Macao, Shangai e in posti più defilati come Shenzhen, nel cui Conservatorio ha studiato Yundi Li». Nella capitale oggi sono attive 8 orchestre, e 3 - China Philharmonic, China National Symphony e Beijing Symphony - hanno una stagione stabile. «Sia la città di Beijing che il ministero della cultura supportano il Festival - conclude Yu Qing Hu -, ma all'inizio tutto si basava su finanziamenti privati». Furono infatti Sony, Ubs (Unione di Banche Svizzere), Deutsche Bank e American Express a tirar fuori i soldi per il Beijing Festival: l'interesse per la promozione culturale avrà pesato, ma le multinazionali, anche discografiche, hanno intravisto un mercato immenso in un paese che rischia di diventare uno dei centri di produzione e consumo di classica più importanti del pianeta.
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