"Così scompare il patrimonio dell'antica Mesopotamia"

La Repubblica 14.6.07
Diciotto santuari persi in un mese: parla Alastair Northedge, massimo esperto di Samarra
"Così scompare il patrimonio dell'antica Mesopotamia"
di Alix Van Buren

Tre giorni di lutto nazionale in Iraq per i minareti sbriciolati del santuario di Askariyah: è plumbea la voce di Alastair Northedge, massima autorità mondiale nell´arte di Samarra, docente di Arte e Archeologia islamica alla Sorbonne parigina. Se nel febbraio del 2006, alla notizia del bombardamento di quello stesso mausoleo, lui tuonava contro la profanazione del culto, dell´arte e della storia, questa volta al telefono da Parigi ha il tono sconsolato di chi cerca rifugio nella rassegnazione: «Il fatto è», dice, «che la devastazione dell´Iraq è per certi versi dissimile dalla rovina toccata a tanti Paesi infestati dalle guerre: qui si assiste alla distruzione del patrimonio di una intera nazione, anziché di città isolate. Se infatti osserva la Seconda guerra mondiale, in Europa si sono persi beni inestimabili, però più per negligenza che per proposito. E invece adesso, dalle forze della coalizione all´insorgenza, tutti si accaniscono contro le fragili architetture dell´antica Mesopotamia».
Professore Northedge, che aspetto ha la mappa dell´arte irachena vista dal suo osservatorio?
«È una mappa tutta crivellata dagli scavi dei trafficanti di antichità, dai colpi degli obici e dei mortai di entrambi gli schieramenti avversari. Poco sfugge alla violenza. Oggi fanno notizia le bombe detonate da mani esperte a Samarra, ma in un solo mese si è consumata un´orgia di scempi: 18 santuari del IX e X secolo sono andati perduti in appena quattro settimane, e fra questi alcune delle più splendide moschee del mondo arabo».
Qual è il danno reale inferto a Samarra?
«Il danno già era stato causato dagli ordigni del 2006: un colpo ben studiato contro il luogo di sepoltura di due fra gli imam più venerati, progettato da chi voleva un´apocalisse. Adesso quegli stessi ci riprovano, con mezzi identici. Sotto il profilo architettonico, i minareti hanno un valore relativo. Risalgono all´Ottocento: sono piuttosto recenti. Ma sotto il profilo politico il potenziale è esplosivo: la carica deriva dalla centralità del culto del Dodicesimo imam, cioè a dire del Messia, svanito in quel luogo e di cui si aspetta il ritorno. Davvero: il nuovo attentato è una pessima notizia: l´ultima di una indicibile sequenza di ferite».
A quali altre pensa?
«A troppe per riassumerle: penso a Ur, la città di Abramo, sfigurata da scariche di granate. Penso al tragico destino del Museo nazionale, alla metà dei capolavori svanita; ai cinque secoli di testi ottomani dati alle fiamme nella Biblioteca nazionale, alla grandiosa città di Babilonia riconvertita in base americana, i viali plurimillenari spianati dai tank».
«Vuole che le dica ancora? Il caravanserraglio di Khan al-Raba, del X secolo, è stato usato dalle forze alleate per far esplodere gli arsenali catturati agli insorti. Rimangono solo rovine. I resti di Isin e Shurnpak, città del 2000 a.C., sono evaporati, e così pure castelli, ziqqurat, antichi minareti e moschee. E fuori della capitale, almeno diecimila siti d´inestimabile valore per la storia della civiltà occidentale sono alla mercé dei saccheggiatori».
Professore, lei sta dipingendo un patrimonio dell'umanità per sempre perduto?
«Niente affatto: malgrado la profondità dell´orrore, nell´archeologia esiste sempre un margine parziale di conservazione. Nemmeno i saccheggiatori sanno distruggere tutto. Però, perché la storia e l´arte dell´Iraq risorgano, bisognerà aspettare la fine della guerra, il ritiro americano. Nell´attesa, noi archeologi non possiamo far altro che stare a guardare».

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