Riflessioni su pensiero e tecnica

Corriere della Sera 28.4.08
Riflessioni su pensiero e tecnica
Severino e i valori dell'Occidente
di Leonardo Messinese

La lezione di Parmenide e il confronto con Gentile e Leopardi

Nel suo scritto sul «Corriere» («La filosofia salverà l'Europa », 6 aprile 2008) Emanuele Severino osserva che è «l'essenza del pensiero filosofico» a mostrare come il dispiegamento della «massima potenza» non sia più nelle mani di un «Dio eterno», ma in quelle della scienza e della tecnica. In un precedente intervento («Platone la Tecnica e il Mondo Globale», 22 marzo 2008), egli aveva rilevato che risulta vano appellarsi all'uno o all'altro dei «valori eterni» della civiltà occidentale per assicurare all'Europa la sua «salvezza ». Molto spesso gli scritti politico-culturali di Severino, isolati dal loro contesto teorico-fondativo, corrono il rischio di non essere adeguatamente compresi, mentre quel contesto è di primaria importanza. Propongo due riflessioni.
Quando Severino sottolinea l'estrema «rigorosità» presente nella «distruzione degli immutabili» operata dalla filosofia contemporanea — si pensi a Gentile, a Nietzsche e a Leopardi — non deve essere equivocato. Tale maggiore «verità» è soltanto la maggiore coerenza nell'«errore» che è comune agli «abitatori del tempo», i quali ritengono che sia evidente il «divenire» delle cose. Inoltre, il richiamo a non rapportarsi «ingenuamente» nei confronti della filosofia contemporanea, quando si intende discutere e affrontare praticamente i problemi attuali, in Severino, è accompagnato dall'avvertenza di non lasciare che i «conti della filosofia » siano eseguiti al di fuori della filosofia medesima. La questione essenziale, perciò, riguarda la determinazione del sapere metafisico fondamentale.
Osservo: mentre nella sua opera fondamentale del 1958, La struttura originaria, in nome della «verità dell'essere » era affermata la trascendenza di Dio e la creazione del mondo, a partire dagli scritti raccolti in Essenza del nichilismo (1972), fino al recente Oltrepassare (Adelphi, 2007), tale verità è stata declinata da Severino quale critica della metafisica e dell'antropologia occidentale e anche di quella «cupido mortis » presente in modo sotterraneo nell'agire degli uomini, nel loro affannarsi a «costruire » il mondo e la storia, nel loro preoccuparsi della «salvezza» mondana o della «salvezza eterna». Alla radice di tutto questo vi è la convinzione che ogni cosa nasca e muoia, che l'uomo stesso sia costituito di una natura mortale, che lo spinge ad allontanare da sé, mediante un «fare » artigiano, l'ora della morte.
Ci si deve chiedere: la «verità dell'essere» implica una critica così radicale dell'intera vicenda dei pensieri e delle opere dell'uomo «metafisico »? E, inoltre, qual è l'autentico rapporto di Severino con la tradizione occidentale? In effetti, il suo pensiero si mantiene all'interno dell'eredità della metafisica, per il persistere di una certa dimensione di «trascendenza», che lo distingue da quel superiore e assoluto «empirismo» costituito dall'attualismo immanentista di Giovanni Gentile. Più precisamente, a partire dalla «svolta» inaugurata da Ritornare a Parmenide (1964), Severino afferma una «differenza ontologica» tra l'essere e gli enti nella quale può essere colta una corrispondenza con la «differenza metafisica» tra Dio e il mondo. Si tratta di calibrare, quindi, il significato della «trascendenza » che caratterizza la seconda fase del pensiero severiniano. La «svolta» consiste nel venir meno della «trascendenza» in senso pienamente metafisico, cosicché Dio non è più l'Essere assoluto che crea liberamente il mondo. Nel successivo sviluppo, «dio» è divenuto per Severino la stessa totalità degli enti in quanto se ne sta fuori dell'apparire e, il «mondo », questa stessa totalità di enti in quanto si manifesta.
La discussione con Severino non dovrà mettere in dubbio il valore del Principio di Parmenide, ma dovrà riguardare gli sviluppi di quel Principio, che hanno portato il filosofo a negare la trascendenza metafisica dell'Essere assoluto, a «divinizzare» gli enti del mondo e a giudicare illusoria la fede cristiana sia nella sua dimensione «formale» di fede, sia nei «contenuti» offerti dalla Rivelazione. Tale discussione è di non poco conto, sia per la filosofia, che per la fede cristiana, ma anche per l'interpretazione del corso storico del pensiero occidentale.

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