Picasso, Matisse, Renoir sulla via di Mosca

La Repubblica 7.4.08
Un omaggio a due ricchissimi mercanti d'arte russi alla Royal Academy
Picasso, Matisse, Renoir sulla via di Mosca

LONDRA. Ai mercanti, ai mecenati, ai collezionisti è dedicata la bellissima mostra "Dalla Russia", in corso alla Royal Academy di Londra fino al 18 aprile. Un omaggio ai due mercanti russi Sergey Shchukin e Ivan Morozov. Due commercianti moscoviti della fine del secolo XIX, ricchissimi, rivali tra di loro, entrambi ansiosi di far conoscere in patria le novità parigine nel campo dell´arte.
Ambroise Vollard il mercante di Césanne, diceva di Morozov: «È un russo che non contratta e non bada a spese». Fu così che prese la via di Mosca, con ogni mezzo di trasporto, una incredibile quantità di opere degli impressionisti francesi e non solo. I curatori Ann Dumas e Norman Rosenthal hanno realizzato una mostra intellettualmente ambiziosa e visivamente affascinante. Morozov, dei due, era forse di gusti più conservatori, ma Shchukin acquistò un centinaio di opere di Picasso del periodo rosa, blu, cubista, e divenne il più importante mecenate di Matisse, al quale commissionò, nel 1909, La danza, l´impressionante murale oggi all´Hermitage. La mostra, ricca di centoventi capolavori, provenienti dai musei di Mosca e di San Pietroburgo, si divide in due sezioni: i dipinti francesi che i due mercanti fecero arrivare in Russia e le opere degli artisti russi.
Shchukin, fino ai primi del secolo non aveva amato particolarmente Picasso, ma racconta nelle sue memorie: «Sollecitato dagli amici ne acquistai uno. A Mosca però non sapevo dove sistemarlo. Non andava d´accordo con il resto della collezione. Alla fine lo collocai accanto alla porta d´ingresso. Ci passavo davanti tutti i giorni e naturalmente gli davo uno sguardo. Divenne un´abitudine inconscia. Dopo un mese mi resi conto che se non vedevo il dipinto non mi sentivo a mio agio e la colazione mi andava di traverso. Perché? Realizzai allora che quel quadro aveva una spina dorsale di ferro e tutti gli altri mi sembrava l´avessero di cotone». In breve Shchukin divenne "Picasso dipendente". Quello che aveva stregato Shchukin era quanto di barbaro, di violento, di essenziale c´era nell´arte di Picasso. E barbaro, violento, essenziale, sono fra gli elementi fondamentali della pittura russa della seconda metà dell´Ottocento. «Gratta un russo e troverai un barbaro». Non era concepibile, allora, che si potesse dipingere in Russia un´opera come Le dejeuner sur l´herbe di Manet. Per diversi motivi, sociali, religiosi e francamente realistici. Se si entra nel dipinto di Renoir Le moulin de la Galette e si scostano le fronde che nascondono in parte il tavolo e i commensali si avverte inevitabile un odore di cucina, cucina ricca e borghese. Sensazione impensabile per qualsiasi dipinto russo.
Ancora nel 1856, il giovane conte Leone Tolstoi scrive nel suo diario: «Il mio atteggiamento nei confronti dei servi della gleba comincia a darmi molti pensieri». La schiavitù venne abolita in Russia nel 1861 dallo zar riformatore Alessandro II, ucciso vent´anni dopo dilaniato dalla bomba di un terrorista. La conseguenza dei pensieri di Tolstoi, e non solo dei suoi, fu che l´elemento popolare, il neoprimitivismo, i grandi temi dei lavoratori, diventano fondamentali e ricchi di fermenti per tutta l´arte russa. Il grande Ilya Repin, l´artista più longevo e influente della scuola dei cosiddetti peredvizniki, gli ambulanti, ce ne regala una vera e propria enciclopedia, come I battaglieri del Volga, o Ottobre 1805, ma Repin, e come poteva farne a meno?, ascolta Tolstoi che dice: «Per dipingere ci vuole il cuore» e quando esegue il suo memorabile ritratto, lo ritrae nella sua tenuta di Jasnaia Poiana, vestito da contadino, a piedi nudi sull´erba, le mani dentro la cintura, come un povero pellegrino.
La profonda attenzione alla religione c´è sempre stata nella cultura russa fin dal tempo delle icone. La rassegna lo mette bene in rilievo, dando spazio ai contadini senza volto, vere immagini di Cristo, di Kasimir Malevic, che a volte li dipinge davanti a una croce, o meglio davanti a un´idea astratta di croce. Malevic minimalizza le immagini fino a tornare all´archetipo dell´icona. E un pathos religioso dal quale nascono le "croci nere", i "cerchi neri", i "quadrati neri". E siamo a qualche decennio prima di Rothko. Insomma il risultato di tanta pittura diversa che «arrivò a Mosca grazie a due mercanti di tessuti come Shchukin e Morozov», quando cominciarono a esporre Gauguin e Cézanne, e poi Picasso, Matisse e Derain, fu che gli artisti russi si trovarono a confrontarsi con un vero e proprio "nuovo corso", e l´effetto fu che la modernità, nel momento in cui toccò il suolo della Santa Madre Russia, si slavizzò nello stile vivace e selvaggio del neoprimitivismo, a volte anche romantico.
Ma forse la sezione russa della mostra, dedicata ai ritratti, è quella più coinvolgente. Il ritratto di Ida Lvovna Rubistein, la danzatrice famosa per i suoi ruoli di Cleopatra e di Sherazade, non è solo un capolavoro di Valentin Serov, ma è uno dei punti chiave del modernismo russo. È sì un bassorilievo arcaico, ma la protagonista si esibisce nella sua totale e affilata nudità con sicurezza malinconica e insolente. Forse, è proprio nel ritratto che si esprime meglio l´ansia rivoluzionaria, l´irrequietezza e spesso l´ambiguità degli artisti russi.
Ma "Dalla Russia" va oltre, oltre i ritratti, i paesaggi, il significato dei cubo futuristi, dei suprematisti, degli strutturalisti, perché sistemando i dipinti russi insieme ai francesi che spesso li hanno ispirati, alla Royal Academy si mette in evidenza il dialogo tra i padri fondatori, chiamiamoli così, i loro discendenti ribelli e rivoluzionari.

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