Charles Darwin, ultimo processo. Ravasi: sintesi tra evoluzione e disegno intelligente

Corriere della Sera 11.4.08
Dibattito Il Vaticano prepara un convegno. Mentre si discute di selezione sociale e di totalitarismo
Charles Darwin, ultimo processo
Ravasi: sintesi tra evoluzione e disegno intelligente. Boncinelli: un naufragio
di Dario Fertilio

Santo o dannato, questo Darwin? Santo, risponde la «Preghiera darwiniana» di Michele Luzzatto, fresca di stampa da Cortina, dove il naturalista inglese viene accostato a Giacobbe e Giobbe. Dannato, suggeriscono invece alcune pagine sulfuree che gli dedica Hannah Arendt nel suo celebre saggio sulle «Origini del totalitarismo», da poco ristampato per Einaudi. Parole come piombo fuso, gli rovescia addosso la filosofa allieva di Heidegger: secondo lei l'evoluzionismo di Darwin, con la sua spietata «legge del movimento», sarebbe insieme a quella marxista una matrice non solo del razzismo, ma anche del totalitarismo e del terrore rivoluzionario. Giacché «è il movimento stesso che individua i nemici dell'umanità contro cui scatenare il terrore».
Con l'avvicinarsi delle celebrazioni per i 200 anni dalla nascita — cadranno nel febbraio del prossimo anno — si cerca una via di mezzo fra salvezza e dannazione per il vecchio Sir Charles. Fu buono o cattivo maestro? La domanda, al di là del suo rapporto con il totalitarismo, tocca la posizione della Chiesa, la conciliabilità fra evoluzione e ruolo di Dio. In questa luce bisogna vedere l'annuncio di monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Consiglio pontificio per la cultura: si svolgerà in Vaticano un convegno internazionale sull'evoluzionismo e le sue teorie, come parte di un «piano più generale di dialogo tra scienza e teologia ». Si tratterà di un evento di portata mondiale, «preparato da workshop sia a Roma che negli Stati Uniti», con lo scopo di ricucire i rapporti tra Chiesa e mondo scientifico, turbati da certi atteggiamenti critici del Papa nei confronti delle teorie di Darwin (giudicate «non completamente dimostrabili »). Più in generale, lo scopo dell'iniziativa di Ravasi sembra essere quella di ridare dignità culturale alla teoria del «disegno intelligente» posto alla base della vita, con l'intervento decisivo di Dio.
Certo il dibattito su Darwin non si limita a questo. Si discute, ad esempio, su quel «darwinismo sociale» che ispirò filosofi come Herbert Spencer; su quelle teorie della selezione naturale e della «sopravvivenza del più adatto» che oggi suonano vagamente sinistre, ma al tempo in cui vennero formulate si proponevano come ferree leggi di natura. Ispirando memorabili tirate letterarie, come quella del «Martin Eden» di Jack London: «L'antica legge dell'evoluzione domina ancora. Nella lotta per l'esistenza, il forte e la progenie del forte tendono a vivere, mentre il debole e la progenie del debole sono schiacciati e tendono a perire. Questa è l'evoluzione. Ma voi, schiavi, sognate di una società dove la legge dello sviluppo sarà annullata...».
Appunto l'applicazione del darwinismo alle scienze sociali è criticata oggi da Alberto Martinelli, per lo meno nella sua variante americana del primo novecento, individualista e liberista: «È l'idea di una lotta senza esclusione di colpi, attuata da robber barons, basata sull'idea che il più adatto a sopravvivere sia colui che riesce ad accumulare maggiori ricchezze». Bastano simili idee per sospingere Darwin fra i cattivi maestri? Secondo Martinelli «l'applicazione delle sue teorie ai fenomeni umani si era rivelata adatta allo spirito di frontiera, tipico di un Theodore Roosevelt. Ma ancor oggi — ricorda — nella cultura degli Stati Uniti la definizione di loser, di perdente, equivale a una sanzione sociale durissima». Né le cose sono andate meglio con il darwinismo sociale europeo, quello di un Ludwig Gumplowicz «che interpretò la lotta di razza come essenza del processo storico e fornì armi al nazismo, al colonialismo, all'imperialismo ». Eppure, nonostante tutto, «buon maestro e grande scienziato» secondo Martinelli resta Darwin. Lo difende anche sul versante del totalitarismo: «Le affermazioni della Arendt a suo carico sono eccessive e schematiche, i veri modelli di quei regimi erano Gobineau, Chamberlain, Gumplowicz». Non la pensa proprio così invece la filosofa Simona Forti, studiosa della Arendt. «Il problema non è il contenuto di verità del darwinismo, ma il modo in cui è stato utilizzato all'interno della pratica del potere». Ora, «il totalitarismo usa il sapere biologico, benché non si possa stabilire una filiazione diretta con Darwin». Resta il fatto, aggiunge la Forti, che «la biopolitica è l'orizzonte del darwinismo sociale, dove la vita intesa come totalità biologica entra nel campo della politica». C'è un punto oltre il quale il pensiero di Darwin genera mostri? «Concordo su questo» risponde: «Guardare con occhi critici al darwinismo sociale equivale a criticare qualsiasi tentativo di tradurre un sapere scientifico in una teoria politica sull'uomo».
E poi c'è il punto più delicato del darwinismo, quella teoria dell'evoluzione naturale che sembrerebbe escludere l'intervento di Dio. Riuscirà il pensiero religioso, e magari anche il convegno progettato dall'arcivescovo Ravasi, a placare i contrasti? È profondamente scettico Edoardo Boncinelli: «Qui si parla di due realtà completamente diverse. Il neodarwinismo è una teoria scientifica che vuole analizzare i fenomeni naturali in termini di meccanismi precisi e riproducibili, cioè scientifici. L'idea di un disegno intelligente divino, invece, è metafisica della specie più brutta». In che senso? «Si antepongono i propri desideri e idiosincrasie alla realtà. Ma non c'è nessuna base per crederci, se non il fatto che a tutti noi fa piacere pensare che sia così». È drastico, Boncinelli, sulla progettata iniziativa vaticana: «Un tentativo destinato al naufragio o, peggio ancora, alla menzogna ». Esattamente il contrario di quanto crede Paolo De Benedetti, docente di giudaismo alla facoltà teologica di Milano: «Non c'è nessun conflitto fra scienza e sistemi attuali di lettura della Bibbia, attuati con metodo storico-critico. Del resto il racconto biblico attinge a sua volta alla mitologia mesopotamica: l'importante non è dire che le cose siano andate così o all'opposto, dal momento che le stesse parabole di Gesù non vanno prese in senso storico-letterario ». Dunque, il tentativo di conciliazione fra Darwin e la Bibbia può riuscire? «Certo, è conciliabile l'incontro fra una concezione mitica — nel senso di un racconto fondato sulle categorie culturali dell'epoca — e una scientifica, che come tale poggia sempre su ipotesi e non su certezze definitive».
Già, ma proprio qui non rischia di cascare l'asino? Come valutare l'allarme lanciato da un pensatore liberale, come François Fejtö: «La difesa di una verità scientifica suscita a volte la medesima passione di un articolo di fede, come testimoniano la storia del darwinismo, della psicoanalisi e della teoria della relatività»? Vero, riconosce Paolo De Benedetti, «ma il rischio di un dogmatismo fideistico è più presente nei divulgatori che negli scienziati». Vero anche per Edoardo Boncinelli, con una precisazione: «Il rischio di dogmatismo c'è sempre, l'uomo ha bisogno di odiare».

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