Vivaldi, gli ultimi fuochi del teatro

Corriere della Sera 12.3.08
L'altra mostra. I manoscritti del musicista che collaborò con il pittore veneziano
Vivaldi, gli ultimi fuochi del teatro
di Gianfranco Formichetti

Palazzo Bricherasio ospiterà dal 23 aprile all'8 giugno anche una mostra dedicata ad Antonio Vivaldi, nella quale verrà esposta una parte dei suoi manoscritti conservati nella Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino (27 volumi con circa 450 composizioni). Gianfranco Formichetti, autore del libro «Venezia e il prete col violino, vita di Antonio Vivaldi» (Bompiani) spiega il legame tra il compositore e il Canaletto: due stelle complementari nello splendore della Serenissima del '700.

Giovan Antonio Canal, detto il Canaletto, lavorò dal 1717 al 1720 al Teatro Sant'Angelo insieme al padre Bernardo, nelle scenografie del palcoscenico gestito da Antonio Vivaldi. Non tutti sanno che il Prete Rosso, protagonista assoluto della musica veneziana del primo Settecento, fu un brillante manager teatrale, capace di mettere in atto ogni strategia pur di ottenere successo.
Nel 1637 a Venezia era nato il San Cassiano, primo teatro per musica destinato a un pubblico pagante. Una novità assoluta per il mondo dello spettacolo. Nei libretti si sottolineava la spettacolarità della rappresentazione, la grandiosità delle scene, la bellezza dei costumi, la magnificenza delle macchine. Che lo sforzo imprenditoriale raccogliesse risultati sorprendenti si capì subito: nel giro di un quinquennio i teatri divennero quattro. E la concorrenza si fece accanita. Ogni gestore si preoccupava di organizzare un calendario in grado di riscuotere il massimo successo. La conquista del pubblico faceva riferimento a vere e proprie stagioni, con la speranza di quante più repliche possibili.
Il Sant'Angelo fu il laboratorio operistico di Vivaldi, con più di cinquanta melodrammi al suo attivo; quello più strettamente musicale fu l'Ospedale della Pietà, che cominciò a frequentare giovanissimo, nel 1703, appena ordinato prete. Aveva quasi subito smesso di dir messa, attratto più dalla musica che dall'altare.
Le «putte rosse» della Pietà erano le sue allieve. Per formare la sua orchestra aveva potuto fare una selezione tra un migliaio di orfanelle che il governo cittadino e la benevolenza dei nobili facevano vivere più che dignitosamente in questo «Ospedale», dove l'assistenzialismo si coniugava con la formazione professionale. Orchestra e coro allietavano con i loro concerti domenicali e festivi il bel mondo veneziano e i numerosissimi turisti ammaliati dalla Serenissima. La musica era una presenza costante e viva nella quotidianità lagunare. Le formazioni musicali trovavano spazio per esibirsi nelle numerosissime ricorrenze festive e celebrative. Quando Vivaldi salì alla ribalta della Laguna, la cultura dello spettacolo annoverava, oltre ai dieci teatri ufficiali, numerose case private che si trasformavano in «luoghi di recita e di musica», a volte perfino clandestini. Al ponte di Rialto, nel mercato di frutta e verdura più importante della laguna, si potevano trovare banchi con ceste piene di spartiti musicali. Ben diciassette erano a Venezia le stamperie specializzate in questo settore.
Lo scenario europeo mostrava le avvisaglie del grande rivolgimento che avrebbe caratterizzato il Settecento. I Veneziani sembravano coscienti della fine di un'epoca che li aveva veduti protagonisti e al cambiamento che li stava emarginando si apprestavano a opporre quel fiorire della società dello spettacolo che tanto avrebbe colpito i visitatori. Capitale del bengodi intellettuale, in quegli anni Venezia divenne una sorta di grande ammaliatrice del bel vivere europeo. Capace di offrire un connubio di arte e musica come nessuna città al mondo.

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