Giordano Bruno, il copernicano esoterico e panteista

il Riformista 1.3.08
Fraintendimenti: non va ridotto a icona di ateismo e razionalismo
Giordano Bruno, il copernicano esoterico e panteista
Il discorso che fece a Oxford era un plagio da Ficino

Il luogo è adatto alle proteste anticlericali. A poca distanza da San Pietro, qui, nella Roma di Campo de' Fiori, il 17 febbraio del 1600, Giordano Bruno volava a esplorare l'infinità degli altri mondi in uno degli ultimi roghi di piazza. Qui, appena tre secoli dopo, nel 1889, un bel tripudio di labari massonici salutava con un rogo simbolico l'inaugurazione del monumento al filosofo eretico, celebre opera del futuro Gran Maestro Ettore Ferrari e sberleffo ai cattolici (per l'occasione più di una chiesa aveva tenuto le porte serrate e molti preti avevano abbandonato la città). Oggi il Nolano continua a riflettere torvo e il 17 di febbraio si è svolto ai suoi piedi un happening «ateo e razionalista» per celebrarne la memoria.
Che i roghi siano sconvenienti va da sé, e il più delle volte lo erano persino allora - l'Inquisizione pare che chiese fino all'ultimo al filosofo una minuscola ritrattazione così da concedergli la decapitazione; Bruno non era affatto il tipo. Che al grande eretico vada la nostra simpatia è scontato. Curioso è vedere, casomai, come davvero, in questi tempi di confuse ideologie, molto più simili all'età di Bruno di quanto si creda, ogni categoria storica, sapienziale, religiosa, sia pronta a entrare in confusione, ed ogni scuola di pensiero sia più disposta a darsi al dogma che alla ricerca della verità. In una strana, rediviva battaglia sciamanica, i nuovi gnostici si abbandonano a best-seller che svelano le trame esoteriche di Newton; gli atei e i razionalisti onorano un mago panteista che di «ateismo e di razionalismo» sarebbe stato rivale fierissimo.
Confusione storica. È ciò che avvenne d'altra parte anche nel 1463, quando Leonardo da Pistoia tornò a Firenze con ciò che sarebbe passato alla Storia come il Corpus Hermeticum , complesso di scritti che si dicevano composti da Ermete Trismegisto in persona, profeta più antico di Mosè, pronto a svelare i segreti del cosmo. Vi si leggeva di una antichissima sapienza egiziana e, fatto ancora più mirabile, recante in nuce ogni elemento della filosofia greca, del platonismo, del cristianesimo persino. Nulla di strano, a dire il vero, visto che il corpus con l'antico Egitto aveva poco a che spartire ed era stato in realtà scritto intorno al II o III secolo.
Pazienza. Cosimo de' Medici ne fu catturato; Ficino si affrettò a tradurlo. E quindi Pico della Mirandola, Cornelio Agrippa: con l'ermetismo, all'improvviso, si poté assistere alla nascita della magia cinquecentesca, magia cristiana, che coniugava gli amuleti e il misticismo biblico (l'evocazione degli angeli, la cabala di Pico) con una visione sacrale del cosmo come corpo vivente.
Come ha mostrato Frances Yates, è proprio seguendo questo solco che uno studioso italiano, uscito dall'ordine dei domenicani per convinzioni eterodosse, si presentò a Oxford nel 1583 per un ciclo di conferenze sulla teoria copernicana. Così l'avrebbe raccontato Abbot, professore oxfordiano presente agli incontri: «Quando quell'omicciattolo italiano, che si autodefiniva magis elaborata Theologia Doctor ecc... visitò la nostra università, non stava nei panni per il desiderio di divenire famoso. Quando ebbe occupato il posto più alto della nostra più famosa scuola, rimboccandosi le maniche come un giocoliere e facendoci un gran parlare di chenturm & chirculus & circumferenchia (tale è infatti la pronuncia del suo paese), egli intraprese il tentativo di far stare in piedi l'opinione di Copernico, per cui la terra gira, e i cieli stanno fermi; mentre, in verità, era piuttosto la sua testa che girava».
Qualcosa accadde, tuttavia; qualcosa che, nella Cena de le ceneri , avrebbe portato Bruno a scagliarsi contro i "pedanti" di Oxford. «Un uomo grave, che occupava una posizione eminente in quella università, ebbe l'impressione di aver letto da qualche parte quelle stesse cose che il dottore stava esponendoci. Recatosi nel suo studio, trovò che sia la prima sia la seconda lettura erano state tratte, quasi parola per parola, dalle opere di Marsilius Ficinus». Così, con questa figuraccia, «la questione ebbe termine».
Plagio di Bruno a parte, come scrisse la Yates, che scena meravigliosa! Il filosofo che espone la teoria copernicana nel contesto della magia astrale e del culto solare del De vita coelitus comparanda del mago Ficino!
C'è una poesia sottile in questo; una poesia quasi barocca. L'infinità dell'universo, dei pianeti, dei mondi, veniva appoggiata per culto ermetista. Le prime intuizioni eliocentriche, di per sé vere, venivano sostenute da un mago italiano per via rigidamente non-scientifica, bensì sulla base di un culto solare egiziano. Davvero nessun trionfo scientifico. In tempi in cui ancora il reale veniva esperito in base al testo, o ad una fede (qualsiasi testo, qualsiasi fede), poteva semplicemente accadere d'imbattersi poeticamente nella verità: era accaduto un secolo prima a Colombo che, ritenendo la Terra più piccola di quanto non fosse in realtà, aveva sbattuto casualmente contro delle Indie immaginarie. È quanto avvenne anche con Bruno, che alla sua fede fondata su un errore storico rimase attaccato per tutta la vita, teorizzando magici «teatri della memoria», studiando cabale e influenze astrali, facendosi arrestare a Venezia per traffico di trattati esoterici e condannare poco dopo a Roma in quanto mago (non certo in quanto sostenitore di Copernico, che pure apprezzava, benché un po' troppo «matematico»!), e che attraverso la propria magia era arrivato per caso al reale.
Oggi, a distanza ormai di secoli, un cosmo infinito continua ad assistere impassibile a quel complesso di fraintendimenti che ha fatto la storia dell'umanità. Nulla di meno «razionale» dell'elevare il Bruno a campione di scienza e di antireligiosità (contro chi avrebbero manifestato gli atei, se la riforma religiosa sognata dal fiero filosofo avesse trionfato?). Ma questo è il segreto dell'universo vivente: errori e conflitti nella Carne, e il Cielo delle stelle fisse ad osservarci, immobile e, per sempre, armonico.

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