«Chiesa e nazionalismi, nostri mali eterni»

«Chiesa e nazionalismi, nostri mali eterni»

Corriere della Sera del 5 marzo 2008, pag. 17

di Aldo Cazzullo

«Da due secoli, ogni volta che la Spagna si incammina sulla strada del progresso, deve affrontare due grandi ostacoli: la Chiesa e il nazionalismo basco e catalano. È sempre stato così. Nella guerra cartista e nella guerra civile. Ai tempi del superamento della monarchia assoluta, dello Stato feudale, del latifondo. E all'avvento della Repubblica, dei diritti civili, dell'uguaglianza. Zapatero oggi polemizza con la Chiesa, ma si guarda dal mettere davvero in discussione i suoi privilegi, sanciti dal concordato dell'era di Franco. Si serve della polemica con i vescovi a fini elettorali, e i sondaggi gli danno ragione. Però è troppo arrendevole verso gli indipendentisti. E l'indipendentismo è un'ideologia che si colora di sinistra, ma è in realtà profondamente conservatrice. Un milione di catalani e di baschi radicali tengono in scacco quaranta milioni di spagnoli. Zapatero si è rivelato debole, ha aperto un disastroso dialogo con l'Eta, e siccome vincerà di poco, continuerà a cedere. A rischio dell'unità della Spagna».



Il successo non ha tolto a Fernando Savater, lo spagnolo più letto e tradotto al mondo, la voglia di impegnarsi. Anzi, quando parla di politica il filosofo si accalora. Per gestualità e gusto della parola ricorda Umberto Eco, con meno ironia e più rabbia. In questi giorni di vigilia elettorale, poi, Savater è furibondo perché su Internet circola una versione schematica della sua intervista a Zero, secondo cui l'autore di Etica per un figlio (in Italia pubblicato da Laterza) giudicherebbe immorali i matrimoni gay e le conseguenti adozioni. «Non è così. Non vivo nel passato: non ho nulla contro i diritti delle coppie di fatto, indipendentemente dalle loro preferenze sessuali. E non trovo nulla di male se un bambino abbandonato dai genitori naturali e rinchiuso in un istituto trova in due persone disposte ad amarlo una nuova famiglia. Ma un conto è l'adozione, un altro la filiazione. L'idea di una lesbica che ricorre alla fecondazione artificiale o di due omosessuali maschi che commissionano un figlio a un'amica, va bene per un film di Almodovar, ma non credo faccia bene al bambino. Non si progetta un orfano. Ogni essere umano è frutto della filiazione di un uomo e di una donna. Però non è sul terreno dei diritti civili che critico Zapatero».



Dice Savater che i vescovi spagnoli, alla cui testa è stato eletto proprio ieri un intransigente come il cardinale di Madrid Rouco Varela, hanno tentato di intromettersi in politica, ma hanno fallito. «Si va verso una vittoria di misura di Zapatero; e per la Chiesa questa è una sconfitta. Qui in Spagna la situazione è molto diversa che in Italia. Da voi la Chiesa ha un grande prestigio, anche se Giovanni Paolo n e ora Benedetto XVI hanno deviato dalla via tracciata dai loro predecessori con il Concilio. Da noi la Chiesa è molto meno ascoltata. Gli spagnoli non dimenticano che il clero fu un pilastro dell'interminabile dittatura di Franco, e respingono la commistione tra fede e morale, non hanno alcuna nostalgia di inquisitoli che si infilino sotto le lenzuola e sentenzino cosa si debba e non si debba fare. Dopo la morte di Franco la Chiesa spagnola si era aperta alla modernità e al dialogo, con figure come il cardinale Tarancon. Ora invece i vescovi hanno scelto lo scontro con il governo, e Zapatero ne ha approfittato. Le loro critiche sono diventate un'arma elettorale per il Psoe. E i popolari si guardano bene dallo schierarsi con la Chiesa, anzi annunciano che, a parte le questioni terminologiche, non intendono modificare la sostanza delle norme volute da Zapatero».



Per Savater, il terreno su cui è emersa la debolezza del primo ministro è il confronto sia con gli autonomisti, sia con l'Eta. «Zapatero è andato al governo nel momento peggiore per il terrorismo. Lo choc per la bomba di Madrid, le pressioni internazionali sull'Eta, la collaborazione del governo francese. Ma lui con i terroristi ha aperto un dialogo. Che è altro da una trattativa. Un conto sarebbe se l'Eta bussasse alla porta, posasse le armi e avviasse un negoziato. Un altro conto è chiedere all'Eta quale governo preferisce nei Paesi baschi, quale a Madrid. Zapatero ha rotto l'unità del Paese contro il terrorismo. E rischia di spezzare l'unità nazionale. Si è consegnato alle gang basche e catalane, che sono minoranza nella loro stessa terra. Il premier discetta di Spagna plurale. Ma la Spagna plurale è una Spagna morta. Finita». Savater vede uno Zapatero riconfermato ma traballante. E sogna che il puntello, anziché gli estremisti catalani di Esquerra Republicana e l'ambiguo Pnv basco, possa essere il partito liberalcentrista che ha contribuito a fondare, l’UpyD, Unión Progreso y Democracia. Lo guida una transfuga socialista, Rosa Diez. Lo sostiene un altro grande scrittore, Mario Vargas Llosa. Ma il «partito degli intellettuali» non va molto oltre gli ambienti accademici di Madrid. Rajoy, il capo dei popolari, a Savater proprio non piace. «È totalmente privo di carisma. Meglio Aznar, che nel bene o nel male aveva personalità, è stato il nostro Sarkozy. Zapatero è accorto. Pragmatico. Come tutti i politici spagnoli, parla all'elettore quasi fosse un bambino di quattro anni. Purtroppo i suoi interlocutori a volte sono più svegli e spregiudicati di lui. Mi lascia perplesso anche la sua legge sulla memoria della guerra civile. La memoria è per natura individuale; non può essere stabilita dal potere. A volte, gli individui stessi coltivano una memoria divisa. Io vengo da una famiglia repubblicana; ma i repubblicani fucilarono il fratello minore di mio padre, solo perché era cattolico».

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