Pintoricchio. L'arte nel dettaglio

Corriere della Sera 6.2.08
Pintoricchio. L'arte nel dettaglio
Quel piccolo grande uomo in lotta con la fama del Perugino
di Francesca Montorfano

Aveva lavorato per cinque Papi ma la sua Perugia gli preferì il rivale, abile manager di se stesso, che aveva amicizie altolocate

Sembrano volersi sfidare ad armi pari i due celebri autoritratti del Perugino e del Pintoricchio, nel Collegio del Cambio di Perugina l'uno, nella Cappella Baglioni di Spello l'altro, quasi a sottolineare la rivalità che da sempre aveva opposto i due grandi protagonisti della stagione artistica umbra tra il Quattro e il Cinquecento. Perché se il Perugino era da tempo in cima alla vetta, richiesto e vezzeggiato dai più autorevoli committenti della penisola, Bernardino di Betto non era da meno, pur se più giovane, pur se chiamato Pintoricchio perché «piccolo e di poco aspetto», pur se il Vasari, grande sostenitore del «divin pittore», nelle sue Vite gli avrebbe riservato parole impietose.
Tuttavia, anche se l'arte del Pintoricchio ha goduto di fortune alterne, di primo piano è stato il suo ruolo nel panorama artistico del Rinascimento e prestigiosi gli incarichi ricevuti. E non solo a Roma, con la decorazione delle cappelle di Santa Maria d'Aracoeli e di Santa Maria del Popolo o degli appartamenti Borgia in Vaticano, ma anche a Siena, con quello spettacolo meraviglioso che è la Libreria Piccolomini nel Duomo.
«Pintoricchio ha lavorato per ben cinque Papi, ma ciononostante la sua città gli ha voltato le spalle, preferendogli il Perugino, imprenditore di straordinaria abilità che non si faceva sfuggire nessuna occasione e poteva contare su una stabile bottega e una rete di relazioni e amicizie altolocate. Pintoricchio al contrario, spesso impegnato in grandi imprese lontano da Perugia, preferiva circondarsi di aiutanti di varia formazione, da utilizzare nelle diverse situazioni. Ecco allora tutta l'importanza di questa mostra che si propone di sottolineare gli stretti rapporti che sempre hanno legato il pittore alla sua terra», sottolinea Francesco Federico Mancini, membro del Comitato scientifico che ha presieduto all'evento affiancando la curatrice Vittoria Garibaldi.
Negli spazi, da poco rinnovati della Galleria Nazionale dell'Umbria a Perugia, sono esposte quasi tutte le opere «mobili» di Pintoricchio, dipinti su tavola e disegni provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo, insieme a lavori di artisti a lui contemporanei, a documentare la straordinaria cultura figurativa della città umbra che aveva visto la presenza di alcuni dei più conosciuti maestri del Quattrocento, Gentile da Fabriano e Beato Angelico, Giovanni Boccati e Domenico Veneziano, e manteneva frequenti contatti con la grande arte fiorentina. Così, Bartolomeo Caporali, Sante di Apollonio, Fiorenzo di Lorenzo, il Perugino e un Pintoricchio agli esordi si dividono la paternità di una lunga serie di dipinti, come le famose tavole con le Storie di San Bernardino, raffinato esempio degli alti vertici raggiunti dalla pittura perugina del tempo. Risale al febbraio 1496, invece, il contratto per la monumentale ancona di Santa Maria dei Fossi, tra le opere più celebrate del pittore per la varietà di interpretazione del soggetto sacro, la capacità di rendere i sentimenti e i paesaggi che paiono vibrare di luce.
Sarà proprio la rappresentazione della natura, di quegli alberi, di quei borghi, chiese e castelli che ancora punteggiano la campagna umbra insieme al suo indugiare sui dettagli e sul particolare aneddotico il tratto più distintivo dell'arte di Pintoricchio, il suo personalissimo modo di dar vita al Rinascimento. Ben lo si può vedere anche in quel capolavoro assoluto che è la Cappella Baglioni o Cappella Bella di Spello, dipinta con grande vivacità cromatica e freschezza narrativa tra il 1500 e il 1501, probabilmente come risposta alla decorazione del Collegio del Cambio a Perugia da poco ultimata dal suo rivale. «Quanto Perugino è squisitamente classico, tanto Pintoricchio sa accogliere echi diversi, gotici, fiamminghi, rinascimentali, tanto sa essere sintetico e fiorito insieme. L'impianto delle scene è rigoroso, le sue immagini complesse: vanno osservate lentamente, più volte, per poterne cogliere tutte le infinite sfaccettature», precisa Vittoria Garibaldi.
Altre sezioni della mostra evidenzieranno il ruolo di Pintoricchio come disegnatore, i rapporti con Raffaello e la fortuna che il suo linguaggio, intrecciandosi con quello del Perugino, di Signorelli e di Raffaello stesso, troverà tra le future generazioni. Un'onda lunga che si contrapporrà a quella breve della sua vita: il pittore morirà nel 1513, a poco più di cinquant'anni e in completa solitudine.

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