I cattolici americani perdono colpi
I cattolici americani perdono colpi
Il Riformista del 27 febbraio 2008, pag. 1
di Federico Romero
Fluidità e mutamento sono le principali caratteristiche del panorama delle religioni tra i cittadini statunitensi. Lo dice un'ottima, ampia indagine svolta dal Pew Reseach Center tra 35.000 americani adulti (reperibile a: http://religions.pewforum.org/reports) che conclude: «il mercato religioso americano è segnato da un costante movimento, perché ogni gruppo principale guadagna e perde simultaneamente aderenti».
Questo studio consente però di quantificare tali spostamenti e quindi ci dà sia una mappa aggiornata del presente che indicazioni sui trend futuri. Il primo dato, che non stupisce, è la crescente moltiplicazione e frammentazione delle appartenenze religiose derivante dall'afflusso di migrazioni molto diverse, che stanno ad esempio introducendo nel paese l'islam e l'induismo. Ne consegue il calo del peso relativo delle religioni tradizionali. I protestanti sono ora appena il 51% e cesseranno presto di rappresentare la maggioranza della popolazione. I cattolici sono il 24% e il totale dei cristiani arriva al 78,4%.
Cospicua è la quota - prevalentemente maschile - di chi non dichiara alcuna affiliazione (16%): essa include minoranze di atei e agnostici, ma soprattutto persone che si dicono in ugual misura religiose o secolari ma senza riconoscersi in nessuna chiesa. È il gruppo che è cresciuto di più: oltre metà di loro aveva nell'infanzia un'affiliazione religiosa - ovviamente quella della famiglia d'origine - in cui non si identifica più. Siccome tra loro c'è un alta percentuale di giovani è facilmente prevedibile che questo gruppo si espanderà ulteriormente in futuro.
Nella galassia del protestantesimo sono in calo battisti, metodisti e luterani mentre aumentano gli aderenti a chiese senza denominazioni specifiche. Ciò fa sì che non sia particolarmente aumentato il numero degli evangelici (ora al 26% del totale, con una più accentuata presenza nel Sud e una spiccata maggioranza femminile) ma che stia segmentandosi la loro composizione interna. Mentre nelle denominazioni protestanti tradizionali, più rappresentate nel Mid-West e nelle fasce anziane d'età, s'identifica il 18% degli americani. Se la mobilità interna tra tutte queste chiese è piuttosto alta, soprattutto in relazione ai matrimoni, più stabili sono ovviamente le denominazioni protestanti tradizionalmente radicate nella popolazione afro-americana, che ne riproducono la distribuzione geografica nel Sud e nelle grandi aree urbane con un 7% del totale.
Nel complesso ben il 28% degli americani ha cambiato affiliazione rispetto all'infanzia (un dato che sale al 44% se si calcolano i movimenti entro le varie denominazioni protestanti). Qui spicca in particolare il forte calo dei cattolici. Quasi un terzo degli intervistati che erano cattolici da bambini non si dichiarano infatti più tali da adulti, portando al 10% di tutti gli americani il numero degli ex-cattolici.
Vi contribuisce soprattutto un dato sociologico, visto che le tradizionali comunità principali - irlandesi, italiani e polacchi - hanno perso omogeneità territoriale, si sono aperte a matrimoni misti, hanno conosciuto una forte mobilità sociale e si sono in certa misura secolarizzate. Forse influisce anche la sfiducia in alcune diocesi, se non nella chiesa americana nel complesso, per la scarsa o tardiva rispondenza ai fedeli - emersa nell'ultimo decennio - rispetto agli scandali di pedofilia. Il cattolicesimo è anche la denominazione che attrae il minor numero di convertiti da altre religioni.
Nonostante ciò il cattolicesimo americano resta pressoché ugualmente numeroso e ben distribuito nella nazione (anche se radicato soprattutto nelle aree urbane e nel Nord-est, e tra ceti poveri con bassi livelli d'istruzione) grazie alla ampia immigrazione ispanica che ne rimpiazza le perdite in altri settori della popolazione. Se tra i nati negli Usa i cattolici sono solo il 21 %, tra i nati all'estero la loro quota sale addirittura al 46% del totale, mentre i protestanti arrivano appena al 24%.
Questo schiude orizzonti futuri di ampio e continuo cambiamento del cattolicesimo americano. Gli ispanici sono ora circa un terzo di tutti i cattolici, e ben il 45% di quelli sotto i trent'anni. Bastano quindi i trend demografici, oltre a quelli migratori, per dirci che essi continueranno ad aumentare il loro peso relativo in una chiesa che sta evidentemente attraversando una lenta ma poderosa metamorfosi storica.
Il Riformista del 27 febbraio 2008, pag. 1
di Federico Romero
Fluidità e mutamento sono le principali caratteristiche del panorama delle religioni tra i cittadini statunitensi. Lo dice un'ottima, ampia indagine svolta dal Pew Reseach Center tra 35.000 americani adulti (reperibile a: http://religions.pewforum.org/reports) che conclude: «il mercato religioso americano è segnato da un costante movimento, perché ogni gruppo principale guadagna e perde simultaneamente aderenti».
Questo studio consente però di quantificare tali spostamenti e quindi ci dà sia una mappa aggiornata del presente che indicazioni sui trend futuri. Il primo dato, che non stupisce, è la crescente moltiplicazione e frammentazione delle appartenenze religiose derivante dall'afflusso di migrazioni molto diverse, che stanno ad esempio introducendo nel paese l'islam e l'induismo. Ne consegue il calo del peso relativo delle religioni tradizionali. I protestanti sono ora appena il 51% e cesseranno presto di rappresentare la maggioranza della popolazione. I cattolici sono il 24% e il totale dei cristiani arriva al 78,4%.
Cospicua è la quota - prevalentemente maschile - di chi non dichiara alcuna affiliazione (16%): essa include minoranze di atei e agnostici, ma soprattutto persone che si dicono in ugual misura religiose o secolari ma senza riconoscersi in nessuna chiesa. È il gruppo che è cresciuto di più: oltre metà di loro aveva nell'infanzia un'affiliazione religiosa - ovviamente quella della famiglia d'origine - in cui non si identifica più. Siccome tra loro c'è un alta percentuale di giovani è facilmente prevedibile che questo gruppo si espanderà ulteriormente in futuro.
Nella galassia del protestantesimo sono in calo battisti, metodisti e luterani mentre aumentano gli aderenti a chiese senza denominazioni specifiche. Ciò fa sì che non sia particolarmente aumentato il numero degli evangelici (ora al 26% del totale, con una più accentuata presenza nel Sud e una spiccata maggioranza femminile) ma che stia segmentandosi la loro composizione interna. Mentre nelle denominazioni protestanti tradizionali, più rappresentate nel Mid-West e nelle fasce anziane d'età, s'identifica il 18% degli americani. Se la mobilità interna tra tutte queste chiese è piuttosto alta, soprattutto in relazione ai matrimoni, più stabili sono ovviamente le denominazioni protestanti tradizionalmente radicate nella popolazione afro-americana, che ne riproducono la distribuzione geografica nel Sud e nelle grandi aree urbane con un 7% del totale.
Nel complesso ben il 28% degli americani ha cambiato affiliazione rispetto all'infanzia (un dato che sale al 44% se si calcolano i movimenti entro le varie denominazioni protestanti). Qui spicca in particolare il forte calo dei cattolici. Quasi un terzo degli intervistati che erano cattolici da bambini non si dichiarano infatti più tali da adulti, portando al 10% di tutti gli americani il numero degli ex-cattolici.
Vi contribuisce soprattutto un dato sociologico, visto che le tradizionali comunità principali - irlandesi, italiani e polacchi - hanno perso omogeneità territoriale, si sono aperte a matrimoni misti, hanno conosciuto una forte mobilità sociale e si sono in certa misura secolarizzate. Forse influisce anche la sfiducia in alcune diocesi, se non nella chiesa americana nel complesso, per la scarsa o tardiva rispondenza ai fedeli - emersa nell'ultimo decennio - rispetto agli scandali di pedofilia. Il cattolicesimo è anche la denominazione che attrae il minor numero di convertiti da altre religioni.
Nonostante ciò il cattolicesimo americano resta pressoché ugualmente numeroso e ben distribuito nella nazione (anche se radicato soprattutto nelle aree urbane e nel Nord-est, e tra ceti poveri con bassi livelli d'istruzione) grazie alla ampia immigrazione ispanica che ne rimpiazza le perdite in altri settori della popolazione. Se tra i nati negli Usa i cattolici sono solo il 21 %, tra i nati all'estero la loro quota sale addirittura al 46% del totale, mentre i protestanti arrivano appena al 24%.
Questo schiude orizzonti futuri di ampio e continuo cambiamento del cattolicesimo americano. Gli ispanici sono ora circa un terzo di tutti i cattolici, e ben il 45% di quelli sotto i trent'anni. Bastano quindi i trend demografici, oltre a quelli migratori, per dirci che essi continueranno ad aumentare il loro peso relativo in una chiesa che sta evidentemente attraversando una lenta ma poderosa metamorfosi storica.
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