Un record macinato dal mondo energivoro

Un record macinato dal mondo energivoro

Il Manifesto del 3 gennaio 2008, pag. 11

di Galapagos

Un percorso durato 35 anni: prima della guerra del Kippur il petrolio costava me­no di 2 dollari al barile. Ieri ha superato quota 100 dollari, una quota forse simbolica, psicologica ma l'impressione è che non siamo che al­l'inizio.



I 35 anni trascorsi sembrano non aver insegnato nulla al mondo occi­dentale, che ha «tenacemente» perse­guito lo stesso modello di sviluppo. Eppure già nel 1973 c'era chi avvertiva che il petrolio si stava esaurendo. Forse affermazione non del tutto ve­ra: di oro nero ce n'è ancora tanto. Ma costa non solo perché l'Opec ha trova­to coesione, perché la speculazione applica sistematicamente una tangente, perché nuovi paesi si sono affaccia­ti con grandi risorse finanziarie in gra­do dì «pagare» qualsiasi prezzo. Colpa della Cina, è di moda sostenere: si di­mentica che Pechino ha un Pil di po­co superiore a quello italiano e consu­mi energetici paragonabili a quelli del­l'Italia.



Di petrolio ce n'è ancora tanto, ma estrado costa, anche se la tecnologia consente di andarlo a trovare scavan­do pozzi che si spingono fino a 7 chilo­metri di profondità. Questo significa che l'offerta è rigida e che di petrolio ce ne sarà sempre di meno. Al contra­rio la domanda di energia è crescente.



I 100 dollari di ieri sono il segnale di un fallimento storico: sono stati spre­cati 35 anni senza interventi sulla composizione dell'offerta e su quella della domanda. Il mondo rimane petroliocentrico e per fare maggiori dan­ni ambientali aggiungiamo il carbo­ne. Vedrete che oggi molti commenta­tori rilanceranno l'opzione nucleare anche nella pericolosa tecnologia at­tuale. E' una scelta ideologica, antide­mocratica, di capitalismo monopoli­stico qual è quello che domina il setto­re energetico.



L'alternativa è nella natura stessa: nel sole, nel vento, nelle maree, come ripete da 35 anni inascoltato l'ambien­talismo. I grandi investimenti nelle fonti rinnovabili però non consento­no profitti commensurabili all'investi­mento stesso. Questo significa che senza l'intervento dello stato nella ri­cerca e nelle applicazioni, nulla sarà creato.


Poi c'è il problema della domanda, dei consumi imposti, sbagliati. Spre­chiamo energia nelle abitazioni, nei trasporti, ma anche nelle buste di pla­stica e nei contenitori di carbone. Si fabbricano auto che vanno a 200-300 chilometri l'ora, velocità vietata dap­pertutto; si fabbricano 4x4 da 5.000 cc. di cilindrata, motoscafi e aerei energivori. Sono solo pochi esempi. Quello che è certo è che bisogna cam­biare. Possibilmente prima che il pe­trolio arrivi a 200 dollari e senza che il Bush di turno si inventi un altro stato canaglia ricco di petrolio da invadere.

Commenti

Post popolari in questo blog

Il segreto dei numeri, la matematica, gli uccelli e le rane

Boccaccio, quel simpatico sporcaccione

La notte di Pompei. Le rovine valgono meno dei rifiuti