Perché possiamo dirci zapateriani

Perché possiamo dirci zapateriani
L'Unità del 30 gennaio 2008, pag. 11

di Umberto De Giovannangeli

Tempi elettorali. In Italia come in Spagna. Tempi di verifica sulle rispettive esperienze. Di governo, e non solo. Tempi di convergenze e di nuove affi­nità, come quella che lega l'idea di Partito demo­cratico tratteggiata da Walter Veltroni e il «socialismo gentile» propugnato da Josè Luis Zapatero. Zapatero fa discutere. Per le posizioni assunte in ma­teria di diritti civili nel campo della sessualità, per il rapporto rispettoso ma laicamente forte stabili­to con la Chiesa cattolica del suo Paese. Un leader che nasce all'interno dell'apparato di partito ma che non ne resta imprigionato. Un socialista che guarda oltre i confini tradizionali del socialismo europeo, ponendo al centro della sua azione di go­verno la questione dei diritti, delle libertà della persona. Conquistando su questo terreno anche i suoi avversali. Lo dimostra la presa di posizione del leader dello schieramento conservatore spagnolo, Mariano Rajoy, presidente e candidato del Partito popolare contro Zapatero: «I diritti dei gay? Se vinco li confermo», ha affermato. Zapate­ro che lancia un «dialogo di civiltà» con l'Islam; colui per il quale il socialismo è aiutare i singoli, non le classi, il premier che in nome dell'europeismo, rompe con Bush e punta ad un rafforzamen­to politico dell'Unione Europea. E ancora, il capo di governo che non esita a rendere l'ora di religio­ne non più obbligatoria ma opzionale, scatenan­do la reazione della gerarchia cattolica. Cosa «invi­diare» del modello-Zapatero? L'Unità ne discute con lo storico Massimo Salvadori, il politologo Angelo Bolaffi, con Ettore Siniscalchi, giornalista e autore di «Zapatero, un socialismo gentile» (Manifestolibri) e con Aldo Garzia, autore assieme a Marco Calami, del libro-intervista «Zapatero. Il so­cialismo dei cittadini» (Feltrinelli).



1) Il modello-Zapatero, la sua «rivoluzione morbida», il suo «socialismo gentile»: in che misura e su quali terre­ni l'esperienza del leader spagnolo può offrire indica­zioni utili anche alla sini­stra e ai progressisti italiani?



2) Molto si discute di modelli elettorali in Italia: tra quelli di ferimenti, c'è il modello spagnolo. Ma al di là del si­stema elettorale, su quali ambiti il progressimo zapateriano rappresenta un punto di riferimento?




Aldo Garzia

«Gli invidiamo la laicità e i diritti di cittadinanza»



1) «Ciò che ha subito colpito, fin dai giorni immediatamente successivi alla vittoria di Zapatero, è stato il rinnovamento culturale della piattaforma politica con cui si era presentato alle elezioni. Infatti, Zapatero aveva posto al centro della sua proposta politica la questione dell'estensione dei diritti di cittadinanza e dei diritti sociali. Ciò nasceva dall'idea

che la Spagna dovesse portare a compimento il processo di piena democratizzazione della sua società e delle sue istituzioni. Ma il vero punto di novità che la sinistra europea non ha saputo o voluto cogliere all'inizio dell'esperienza di Zapatero, è che si era in presenza di un rovesciamento del modo tradizionale con cui la sinistra si pone il problema del governo. Nell'epoca della globalizzazione e del Trattato di Maastricht, un governo di sinistra può agire poco sui vincoli nazionali, anche se rispetto alla destra deve difendere e riformare il proprio welfare, ma ciò che più conta, incide e innova è il porre al centro del proprio agire politico e di governo, come ha fatto Zapatero, il tema della democrazia, della laicità, dei diritti individuali e collettivi, riducendo ogni forma di potere statale sulla vita di ognuno. Sulla base di questa innovazione, Zapatero si è preoccupato, prima e dopo le elezioni del 2004, di avere come consulente un teorico della politica e della democrazia come Philip Pettit: non è un fatto abituale che un premier faccia i conti anche con la teoria politica».



2) «Ora la discussione sull'esperimento-Zapatero si riapre anche in Italia, forse perché la Spagna rischia di essere l'unico Paese significativo in Europa dove governa la sinistra socialista. Peccato che la sinistra in Italia abbia "demonizzato" fino a ieri Zapatero, forse temendo la sua coerenza sui temi della laicità e dei diritti dei gay, e non abbia invece colto la complessità del suo esperimento politico. Insomma, la sinistra italiana ha incensato troppo Blair e non si è accorta di Zapatero. Un altro punto di forza, non secondario, di Zapatero è la forte sintonia con un Paese dinamico, giovane, in crescita economica e che vuole lasciarsi alle spalle gli ultimi residui della dittatura franchista. Ecco perché la società e la sinistra spagnole ci fanno invidia».




Massimo Salvadori

«Dietro le spalle ha un partito forte non diviso come il nostro centrosinistra»



1) «Innanzitutto, Zapatero ha dietro di sé un grande partito, e questo partito è in grado di fornirgli una maggioranza parlamentare tale da sostenere il potere esecutivo e di essere, il Psoe, depositario delle aspettative, degli interessi di tutta quella parte della società spagnola che ha portato Zapatero al potere. Qui sta la prima, sostanziale differenza con il centrosinistra italiano al quale è mancato, almeno finora, la possibilità di contare su un soggetto forte, organizzato. E così, da un versante, quello spagnolo, abbiamo un Zapatero con un forte partito socialista che lo sostiene, mentre dal versante nostro, quello del centrosinistra italiano, abbiamo invece tre componenti tutte ancora "in mezzo al guado". Abbiamo frammentazione e ricerca di definizione».



2) «Zapatero, vinca o non vinca alle prossime elezioni, arriva all'appuntamento elettorale con una esperienza importante, che si è definita, ha prodotto delle conseguenze significative; una esperienza di governo che ha avuto un capo e una coda e con questa esperienza Zapatero si presenta all'elettorato spagnolo e sfida il campo avversario. Altro elemento importante, è che Zapatero oggi è un leader forte, riconosciuto, indiscusso, mentre noi non abbiamo una situazione di questo genere: anche nel Partito democratico quella di Veltroni è una leadership certa ma non è, in ultima analisi, una leadership così sicura nel senso che, di fronte ad una situazione complicata quale la nostra, anche all'interno del Pd ci sono in ballo molte questioni da definire. In ogni caso, il centrosinistra non ha un leader unico, ne ha tanti che sono pure in competizione tra di loro. Un altro aspetto importante, sta nel fatto che Zapatero si è misurato con la questione della laicità in un Paese a grande maggioranza cattolica. Zapatero, e per me questo è un risultato di grande peso e valore, ha portato avanti una idea di laicità che ha enormemente consolidato i diritti civili, rispettando in pieno l'autonomia della Chiesa cattolica ma allo stesso tempo non cedendo all'ingerenza della Chiesa stessa. A ciò va aggiunto che la Spagna è un Paese che ha assicurato una leadership politica che a sua volta si è sposata con una capacità di crescita economica molto importante».




Ettore Siniscalchi

«Non ha mai fatto l'occhiolino al nuovismo e all'antipolitica»



1) «Un primo motivo di "invidia", ritengo che possa essere la costruzione della leadership. Zapatero è una persona che ha costruito la sua leadership senza un apparato che gli mettesse freni. Lui è andato a un congresso, lo ha vinto abbastanza a sorpresa appellandosi al forte scontento che c'era all'interno del Psoe, nell'ambiente della militanza

rispetto alla vecchia generazione e alla fine del percorso politico di Gonzales e agli successivi che sono stati segnati dall'incapacità di creare un ricambio, di ritornare al potere...Zapatero ha intercettato questa esigenza che era poi anche quella che lui rappresentava generazionalmente. E una volta che ha vinto il congresso, Zapatero ha costruito una leadership molto forte, ha scelto i dirigenti del partito, ha messo da parte la "vecchia guardia" salvando però alcuni personaggi in apparenza di seconda fila ma in realtà molto importanti già nelle esperienze di governo di Gonzales - stutti Alfredo Perez Rubalcaba, attuale ministro degli Interni -: uomini di macchina estremamente preparati e che hanno fatto da raccordo sia prima di arrivare al potere nel partito sia dopo, garantendo al nuovo segretario, Zapatero, una

forza di apparato che altrimenti non avrebbe avuto».



2) «Quello che non è accaduto nel Psoe, e questo dovrebbe essere oggetto di "invidia" da parte di tutti i progressisti italiani, è che l'apparato non ha fatto resistenza passiva. Zapatero, che pure è uomo di mediazione, vince il congresso, fa le sue nomine, forma il suo esecutivo e governa un partito pure così complesso e articolato come è il Psoe, che ha nelle componenti regionalistiche le sue vere correnti. Un altro aspetto significativo, è che Zapatero non ha dovuto fare tabula rasa, e a ciò va aggiunto, come altro elemento di "invidia", che Zapatero si proposto come innovatore ma nel segno della continuità: lui è un uomo di apparato, cresciuto nel Psoe, e in quanto tale ha rivendicato la sua formazione politica, non ha mai fatto l'occhiolino all'antipolitica, al nuovismo fine a se stesso, ma ha sempre incentivato un discorso di continuità e di forza culturale anche come creazione di leadership alte, medie e intermedie, cioè il partito come luogo dove si crea la classe dirigente del Paese».




Angelo Bolaffi

«Non ha nemici a sinistra e il sistema elettorale spagnolo funziona bene»



1) «Zapatero non deve fare i conti con una forte sinistra alla sua sinistra, come invece avviene in altri Paesi europei dove la tendenza è a stabilizzare una sinistra-sinistra accanto a una sinistra-centro. Zapatero "non ha nemici a sinistra" e questo indubbiamente lo rafforza. Come a rafforzarlo è il sistema elettorale spagnolo, che ha dimostrato di

funzionare altrettanto bene di quello tedesco. E non è un caso che sia il modello spagnolo che quello tedesco siano stati al centro del dibattito in Italia sulla riforma elettorale. Un elemento di indubbia innovazione politico-culturale introdotto da Zapatero rispetto ai canoni classici della socialdemocrazia europea, è di aver impostato il suo riformismo non più tanto sull'economia quanto sulla libertà del singolo. Non puntare sull'elemento dell'uguaglianza sociale ma su quello della libertà inteso in senso ampio, quindi anche come libertà di costume, come esercizio forte e diffuso dei diritti della persona, bé, questo è un tema molto più post moderno rispetto alla modernità un po' datata della socialdemocrazia classica, e questo è indubbiamente un elemento di forza di Zapatero e del suo liberalismo post moderno: lui unisce questa idea di afflato sociale con quella della libertà individuale, dei costumi, che certamente introduce un elemento nuovo nella cultura socialdemocratica».



2) «Zapatero non ha inventato dal nulla il suo liberalismo dei diritti della persona, per certi versi si può dire che se lo sia trovato addosso come esito della modernizzazione spagnola, ma questo non sminuisce la sua capacità innovativa. Zapatero si stacca dalla dimensione puramente del sociale e va sul personale. E quello della persona, che è il tema cristiano-cattolico per eccellenza, Zapatero lo declina come libertà della persona da un altro punto di vista: non è più solo la difesa della persona ma come libertà del singolo. E questo è un tema forte, che la sinistra in Italia non ha saputo finora affrontare con la stessa incisività e capacità innovativa dimostrata da Zapatero. Un limite nello "zapaterismo", come nel progressismo di sinistra italiano, è quello dell'assenza dell'ecologia e dell'idea di una difesa laica della persona che senza cadere nel dogmatismo cristiano si fa carico dell'idea del limite».

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