Bauman, la nostra paura è riciclata e non smaltita
il Riformista 26.1.08
Stati d'animo uscito da Laterza l'ultimo saggio del sociologo
Bauman, la nostra paura è riciclata e non smaltita
Un'epoca d'angoscia da eventi naturali e culturali, dal terrorismo alle catastrofi. Viene assorbita, indotta e non trova sfogo. La speranza va comunque tenuta viva
di Livia Profeti
«La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disarticolata, fluttuante, priva di un indirizzo e di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente». Con queste parole, che quasi descrivono uno stato d'animo delirante, il sociologo Zygmunt Bauman introduce il suo Paura Liquida appena tradotto in Italia da Laterza (15 euro, pp. 220), ultimo capitolo della sua ricerca sulla società postmoderna dopo Vita liquida e Amore liquido .
Bauman cita Lucien Febvre per evidenziare come nel Cinquecento la paura invadesse tutti gli aspetti del vivere, a cui è seguito un lungo cammino per tentare di avviarsi «verso un mondo liberato dal fato cieco e imperscrutabile, che è la serra di tutte le paure». In realtà l'approdo si è rivelato ben diverso da quello che agli illuministi sembrò a portata di mano, perché «la nostra è, ancora una volta, un'epoca di paure».
Terrorismo, catastrofi naturali, padri e madri di famiglia che improvvisamente sterminano i loro cari, assassinii di massa altrettanto razionalmente incomprensibili: tutto ciò alimenta una paura che Bauman definisce «riciclata» indipendente dalle minacce reali, che si autoalimenta e pervade le vite di un senso di insicurezza, orientando «il comportamento dell'essere umano dopo aver modificato la sua percezione del mondo e le aspettative che ne guidano le scelte».
Ogni giorno i mass-media aggiornano l'inventario dei rischi che corriamo, guardandosi bene dal definirlo come completo e sottolineando che non c'è modo di sapere quanti altri, sfuggiti alla nostra attenzione, si preparano a colpirci all'improvviso. In realtà i pericoli annunciati sono molto meno numerosi di quelli che arrivano veramente; infatti quanti computer conosciamo che siano stati realmente preda del «sinistro millennium bug»? O quante persone ci sono note per essere vittime degli acari sui tappeti o magari aggredite «da qualcuno di quei perfidi e biechi soggetti che chiedono asilo politico»? Bauman rileva pure che «l'opinione secondo la quale il mondo là fuori è pericoloso ed è meglio evitarlo» è irrealisticamente molto più diffusa tra quelli che non escono mai piuttosto che tra coloro che invece amano uscire la sera.
Nell'ultimo capitolo del volume, dal titolo Il pensiero contro la paura , il sociologo rifiuta la convinzione panglossiana secondo la quale si è già fatto tutto ciò che si poteva fare per migliorare l'esistenza umana, e ricorda che "«chi è vivo ha il compito di tenere viva la speranza, o meglio di farla rinascere in un mondo che cambia velocemente e si distingue per modificare velocemente le condizioni in cui si svolge la lotta incessante per renderlo più ospitale per l'umanità».
Nel porsi questo compito Bauman ripropone la questione se «le parole possono cambiare il mondo», notando come gli intellettuali non abbiamo mai avuto molta fiducia in questa possibilità, bensì «hanno sempre avuto bisogno di qualcuno che facesse il lavoro che esortavano a compiere», per ultima la classe operaia. Ma egli rifiuta l'idea che le speranze che hanno animato il socialismo debbano necessariamente «seguire nell'abisso il "soggetto storico" in via di estinzione, come chiedeva il capitano Achab ai suoi marinai». Il secolo che ci aspetta può effettivamente avere esiti catastrofici, ma al contrario potrebbe anche invertire la sua rotta se saprà essere «un'epoca in cui si stringerà e darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità».
Nell'ambito della sua Lectio magistralis all'ultimo Festival di filosofia di Modena, il sociologo ha sostenuto la tesi che l'esistenza umana è basata su due valori, entrambi imprescindibili sebbene in costante conflitto tra loro: la sicurezza e la libertà. Una condizione ambivalente che orienta il corso della storia umana, che in questo senso può essere vista come un pendolo oscillante tra i due poli: a volte si sposta verso la libertà ma poi, «ossessionati dalle questioni della sicurezza», gli uomini riportano il pendolo verso il polo opposto, rischiando derive autoritarie. Paura liquida è un «inventario» delle paure della nostra società ma anche un tentativo di individuarne le radici comuni: un contributo e una proposta intellettuale per evitare una nuova oscillazione pericolosa del pendolo.
Stati d'animo uscito da Laterza l'ultimo saggio del sociologo
Bauman, la nostra paura è riciclata e non smaltita
Un'epoca d'angoscia da eventi naturali e culturali, dal terrorismo alle catastrofi. Viene assorbita, indotta e non trova sfogo. La speranza va comunque tenuta viva
di Livia Profeti
«La paura più temibile è la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disarticolata, fluttuante, priva di un indirizzo e di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente». Con queste parole, che quasi descrivono uno stato d'animo delirante, il sociologo Zygmunt Bauman introduce il suo Paura Liquida appena tradotto in Italia da Laterza (15 euro, pp. 220), ultimo capitolo della sua ricerca sulla società postmoderna dopo Vita liquida e Amore liquido .
Bauman cita Lucien Febvre per evidenziare come nel Cinquecento la paura invadesse tutti gli aspetti del vivere, a cui è seguito un lungo cammino per tentare di avviarsi «verso un mondo liberato dal fato cieco e imperscrutabile, che è la serra di tutte le paure». In realtà l'approdo si è rivelato ben diverso da quello che agli illuministi sembrò a portata di mano, perché «la nostra è, ancora una volta, un'epoca di paure».
Terrorismo, catastrofi naturali, padri e madri di famiglia che improvvisamente sterminano i loro cari, assassinii di massa altrettanto razionalmente incomprensibili: tutto ciò alimenta una paura che Bauman definisce «riciclata» indipendente dalle minacce reali, che si autoalimenta e pervade le vite di un senso di insicurezza, orientando «il comportamento dell'essere umano dopo aver modificato la sua percezione del mondo e le aspettative che ne guidano le scelte».
Ogni giorno i mass-media aggiornano l'inventario dei rischi che corriamo, guardandosi bene dal definirlo come completo e sottolineando che non c'è modo di sapere quanti altri, sfuggiti alla nostra attenzione, si preparano a colpirci all'improvviso. In realtà i pericoli annunciati sono molto meno numerosi di quelli che arrivano veramente; infatti quanti computer conosciamo che siano stati realmente preda del «sinistro millennium bug»? O quante persone ci sono note per essere vittime degli acari sui tappeti o magari aggredite «da qualcuno di quei perfidi e biechi soggetti che chiedono asilo politico»? Bauman rileva pure che «l'opinione secondo la quale il mondo là fuori è pericoloso ed è meglio evitarlo» è irrealisticamente molto più diffusa tra quelli che non escono mai piuttosto che tra coloro che invece amano uscire la sera.
Nell'ultimo capitolo del volume, dal titolo Il pensiero contro la paura , il sociologo rifiuta la convinzione panglossiana secondo la quale si è già fatto tutto ciò che si poteva fare per migliorare l'esistenza umana, e ricorda che "«chi è vivo ha il compito di tenere viva la speranza, o meglio di farla rinascere in un mondo che cambia velocemente e si distingue per modificare velocemente le condizioni in cui si svolge la lotta incessante per renderlo più ospitale per l'umanità».
Nel porsi questo compito Bauman ripropone la questione se «le parole possono cambiare il mondo», notando come gli intellettuali non abbiamo mai avuto molta fiducia in questa possibilità, bensì «hanno sempre avuto bisogno di qualcuno che facesse il lavoro che esortavano a compiere», per ultima la classe operaia. Ma egli rifiuta l'idea che le speranze che hanno animato il socialismo debbano necessariamente «seguire nell'abisso il "soggetto storico" in via di estinzione, come chiedeva il capitano Achab ai suoi marinai». Il secolo che ci aspetta può effettivamente avere esiti catastrofici, ma al contrario potrebbe anche invertire la sua rotta se saprà essere «un'epoca in cui si stringerà e darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità».
Nell'ambito della sua Lectio magistralis all'ultimo Festival di filosofia di Modena, il sociologo ha sostenuto la tesi che l'esistenza umana è basata su due valori, entrambi imprescindibili sebbene in costante conflitto tra loro: la sicurezza e la libertà. Una condizione ambivalente che orienta il corso della storia umana, che in questo senso può essere vista come un pendolo oscillante tra i due poli: a volte si sposta verso la libertà ma poi, «ossessionati dalle questioni della sicurezza», gli uomini riportano il pendolo verso il polo opposto, rischiando derive autoritarie. Paura liquida è un «inventario» delle paure della nostra società ma anche un tentativo di individuarne le radici comuni: un contributo e una proposta intellettuale per evitare una nuova oscillazione pericolosa del pendolo.
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