I luoghi comuni platonici
La Repubblica 11.7.11
I luoghi comuni platonici
Dall’amore al mito della caverna, così si banalizza il filosofo
Le idee del più studiato pensatore antico sono entrate, fraintese e semplificate, nel lessico di tutti. Ma oggi nuove traduzioni delle sue opere recuperano, riportandolo alle origini, il loro significato
di Matteo Nucci
Nel "Simposio" non ha affatto predicato un rapporto solo spirituale senza trasporto fisico
C´è però anche chi sostiene che volgarizzazioni e distorsioni sono segni di vitalità
L´unico filosofo che non fece riferimento a lui fu Socrate. Ma il motivo è semplice: ne fu il maestro e morì prima che il discepolo cominciasse a dire la sua. Bastarono pochi anni dal suo primo scritto e Platone divenne semplicemente "il divino" e chi, in seguito, tra i filosofi, non lo abbia citato esplicitamente lo ha fatto comunque fra le righe, anche solo per negare di sentirsi un epigono. Nel 1929, Alfred North Whitehead, matematico e filosofo inglese, lo scrisse in una frase semplicissima: «La storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine a Platone». Ma non poteva immaginare che all´alba del successivo millennio, l´aggettivo derivato dal nome del pensatore ateniese potesse essere utilizzato durante la telecronaca di una partita di calcio, per definire il lancio di un difensore in difficoltà, tentato da una sorta di utopia disperata: sognare un attaccante che raccoglie il pallone e va in gol: "un passaggio platonico" appunto. Il fatto è che di nessun filosofo come di Platone, la storia ha banalizzato il pensiero, finendo per produrre luoghi comuni che sono ormai parte dell´immaginario collettivo, tanto che è difficile estirparli per chi si dedichi allo studio e all´insegnamento. L´amore platonico, le idee, la caverna. Temi, concetti, immagini che la storia del nostro pensiero ha via via reso fruibili, in una semplificazione sempre più impoverita dell´originaria potenza. «Basta rileggere i dialoghi», dicono concordi i maggiori platonisti italiani uniti adesso nel progetto portato avanti da Einaudi di ritradurre l´opera di Platone. «In fondo è tutto cominciato molto presto», spiega Franco Trabattoni, professore di Filosofia Antica all´Università di Milano, «Già i primi interpreti di Platone hanno cercato di offrire l´immagine di un filosofo sognatore, segnato da un eccessivo oltremondismo. Come se Platone disprezzasse il mondo alla stregua loro. È "l´assimilazione a dio" tipicamente neoplatonica. Una fuga dal mondo che non ha niente a che vedere con quel che scrive Platone».
Il caso più significativo è l´amore. Nei dialoghi consacrati all´eros – soprattutto il Simposio e il Fedro – nulla racconta di un disprezzo del corpo e di una relazione spiritualizzata in cui il contatto sessuale non ha luogo, come vuole la vulgata che nasce in sostanza con Marsilio Ficino. «L´entusiasmo erotico non viene mortificato in senso ascetico da Platone», spiega Bruno Centrone, antichista docente all´Università di Pisa. «Semmai lo scopo è riorientarlo: quell´entusiasmo si dovrebbe provare oltre che per i corpi belli, anche per la bellezza morale, dunque per la virtù, la giustizia e, su tutto, per il sapere. Allora eros diventa una forza potentissima». «Il sesso non è negato, per farla breve», aggiunge Trabattoni. «L´idea di liberarsi dal corpo non è affatto di Platone, ma di Plotino, più di sei secoli dopo. Per Platone, il corpo ce l´hai e lo devi usare. Il rischio sta nell´affidarsi unicamente alla realtà sensibile e nel rivolgere eros solo e soltanto verso i corpi».
Si tratta insomma del grande pregiudizio idealista in base a cui esiste una separazione netta fra sensibile e intellegibile e Platone sarebbe tutto dedito a ciò che sensibile non è. In sostanza, quindi, le famose Idee e il mondo dell´iperuranio, una dimensione al di là del cielo, in cui queste Idee sarebbero confinate, lontanissime e per sempre separate dal nostro mondo. «In questo caso però sono le parole di Platone ad aver favorito interpretazioni del genere», dice Centrone. «Nel senso che è lui stesso a parlare di un luogo oltre il cielo, anche se lo fa in senso mitico. Il problema, come sempre, sta nel prendere un solo aspetto della questione. Perché Platone è un pensatore complesso e ambiguo. È vero, per esempio, che l´Idea è separata dalle cose che prendono il suo nome, ma al tempo stesso in qualche modo deve essere presente in esse». Secondo Trabattoni, però, il punto è altrove: nella tendenza a leggere le Idee come un modo di proiettare fuori dal mondo la risposta, ammettendo dunque il luogo comune in base a cui Platone esalterebbe un filosofo sognatore, dedito alla costruzione di un mondo ideale, un uomo in fuga dalla realtà. «L´Idea non è nient´altro se non un modello che serve a far funzionare il reale. Il calzolaio quando fa una scarpa guarda al modello ideale di scarpa e cerca di fare la sua approssimandosi al modello. L´azione virtuosa si approssima all´Idea di virtù, la cosa bella si approssima all´Idea di Bellezza e così via. L´errore è leggere Platone spostandolo tutto verso la trascendenza. È chiaro che qui parliamo dei secoli in cui neoplatonismo e cristianesimo vanno a intrecciarsi. Ma cosa diceva Nietzsche? Il cristianesimo è il platonismo degli ignoranti».
Interpretazione trascendentista e semplificazione delle complessità sarebbero dunque alle origini della progressiva, inarrestabile banalizzazione del pensiero di Platone. Quello che esemplarmente mostra un´immagine famosa: la caverna, le ombre riflesse sul muro, i prigionieri costretti a credere che quella sia la realtà e incapaci di liberarsi per ascendere alla contemplazione delle vere realtà. Una metafora chiamata erroneamente mito e interpretata semplicisticamente e in senso ascetico, mentre la sua complessità dovrebbe semmai spingere a ben altri sforzi di esegesi e rilettura anche quando l´intento è solo divulgativo. Gli sforzi che per esempio fece Orson Welles, dando voce alle parole di Platone su immagini animate che ora circolano su YouTube e raccontano la metafora nei minimi dettagli (http://www.youtube.com/watch?v=UQfRdl3GTw4).
C´è però chi non è completamente d´accordo. Riccardo Chiaradonna, professore di Filosofia Antica a Roma Tre, sostiene che banalizzazione e distorsione sono segni di vitalità, segni della capacità del pensiero platonico di riplasmarsi e rivivere. «Platone è stato letto e venerato più di ogni altro filosofo. Sia come pensatore altissimo che come modello di stile, come scrittore insomma. Il fatto che la sua filosofia si sia trasformata così tanto nei secoli è un segno della sua forza. Le versioni del platonismo peraltro sono state innumerevoli e non dimentichiamoci che neoplatonici come Porfirio e Proclo erano accaniti avversari del cristianesimo, tuttavia il loro pensiero venne adattato, ripreso e integrato dai Cristiani. Questo dimostra la vitalità del platonismo, non la sua debolezza. Del resto Platone fu un pensatore talmente complesso ed enigmatico che quanto insegnò si poteva interpretare sia in senso antimetafisico e aporetico, sia in senso metafisico e dogmatico. È dalla sua ricchezza che deriva la sua eternità, il moltiplicarsi di interpretazioni, di riletture complesse e anche di semplificazioni e banalizzazioni. Però resta il fatto che oggi, ad esempio, non diciamo di nulla che è "crisippeo", nonostante Crisippo sia stato un importantissimo pensatore antico. Diciamo "platonico". Se lo diciamo a sproposito è nelle cose. È il risultato di un pensiero che da duemilaquattrocento anni non finisce di trasformarsi e ispirare chi vi si avvicina».
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