Quando Stalin riscrisse la genetica e la scienza
La Repubblica 10.6.08
Sessant'anni fa nascevano le teorie di Lysenko un saggio ne ricostruisce i terribili effetti
Quando Stalin riscrisse la genetica e la scienza
di Franco Prattico
Le tesi di Mendel furono cassate perché contrarie al marxismo. E chi le sosteneva fu perseguitato E anche il Pci si allineò
Buzzati Traverso contestò i sovietici Calvino esaltò l´Urss e i progressi della cultura
Aragon scrisse una prefazione in cui si magnificavano i metodi dei ricercatori
La rivoluzione era cominciata quando, il 7 agosto 1948, un oscuro agronomo ucraino, Trofim Lysenko, annunziò nel corso di una importante assise scientifica sovietica: «Il Comitato Centrale del Partito Comunista dell´Unione Sovietica ha esaminato la mia relazione e l´ha approvata». Era la campana a morte per la genetica sovietica, che fino a quel momento era in piena fioritura ed era conosciuta e rispettata in tutto il mondo scientifico, dove ormai trionfava, sulla base di incontestabili evidenze, la teoria di Mendel che attribuisce ai geni, alle minuscole unità discrete contenute nei cromosomi di tutti gli esseri viventi, la responsabilità della trasmissione ereditaria dei caratteri fenotipici. Una teoria, suffragata da migliaia di rigorosi esperimenti, che coniugata con l´evoluzione darwiniana costituisce tuttora il fondamento stesso della biologia moderna e che ha assicurato uno straordinario passo avanti nella comprensione della vita e anche della medicina. E che, sulla base di questi risultati, ha spazzato via definitivamente l´ipotesi, elaborata nel ‘700 dal grande zoologo francese Jean Baptiste Lamarck, della «trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti», che attribuiva le trasformazioni del mondo vivente (animale e vegetale) alla trasmissione ai discendenti dei caratteri acquisiti da ogni individuo nel corso della sua esistenza per meglio adattarsi al suo ambiente, dal lunghissimo collo delle giraffe, frutto dello sforzo individuale di raggiungere le foglie dei rami più alti, agli artigli dei predatori: i caratteri di ogni specie - e quindi il motore dell´evoluzione, delle trasformazioni che nel corso dei millenni hanno dato vita alle nuove specie - erano quindi per Lamarck e i lamarckiani il prodotto delle trasformazioni di ogni individuo nell´adattarsi al suo ambiente.
La scoperta che alla base dell´eredità c´erano i «geni» e che l´agente delle mutazioni erano le casuali mutazioni nelle basi della lunga catena molecolare del Dna, evidenziate dalla selezione naturale secondo la loro maggiore o minore «fitness», aveva definitivamente mandato in soffitta le ipotesi lamarckiane. Un meccanismo, quello mendeliano, che, introducendo la casualità delle mutazioni puntiformi e riducendo alla selezione naturale i motori dell´evoluzione, appariva (a Stalin e agli ortodossi interpreti del materialismo dialettico di Engels) in contrasto con uno dei canoni del marxismo e quindi con la convinzione che fosse l´ambiente a determinare l´evolversi delle trasformazioni del mondo vivente, nel caso degli esseri umani l´ambiente economico e sociale che, radicalmente trasformato dalla Rivoluzione d´Ottobre, non poteva che dar luogo «all´uomo nuovo sovietico». In più si insinuava che la teoria cromosomica avvalorasse teorie eugenetiche (care ai nazisti, fautori della «razza pura») e quindi fosse non solo sbagliata, ma anche idealistica, borghese, reazionaria e - perché no? - immorale.
Su questa base si innestò, nel secondo dopoguerra, una feroce polemica che non solo ebbe in Unione Sovietica esiti tragici, ma determinò una dura crisi anche tra gli intellettuali europei che avevano aderito al comunismo e alle idee del «socialismo scientifico». A questo tema è dedicato un appassionante libro dello storico della scienza Francesco Cannata (Le due scienze. Il caso Lysenko in Italia Bollati Boringhieri, pagg. 290, euro 28), una puntigliosa e illuminante analisi del «caso Lysenko», e degli effetti che si intrecciarono almeno in Europa con gli sviluppi della guerra fredda.
L´incoronazione staliniana delle idee lamarckiane di Lysenko costituirono, allora, lo scalino che consentì all´agronomo ucraino di iniziare una lunga scalata ai vertici delle istituzioni scientifiche sovietiche condotta con l´astuta intuizione delle preferenze del dittatore russo e che portò all´ostracismo della genetica russa e alla persecuzione degli scienziati che la praticavano. In effetti, alcune innovazioni sostenute da Lysenko aveva registrato qualche successo iniziale e ciò gli diede l´autorità per partire nella sua crociata contro gli esponenti della genetica russa. Lysenko promise che in base ai suoi metodi l´agricoltura sovietica guidata dagli «scienziati scalzi» che seguivano il suo metodo, fondato non sulle astratte teorie della «scienza borghese», ma sulla pratica contadina, avrebbe trasformato le immense steppe in giardini fioriti. La genetica russa e i suoi cultori si trovarono esposti all´accusa - micidiale, in quel contesto - di essere quinte colonne della borghesia capitalista e nemici dello stato sovietico: molti scienziati furono marginalizzati, privati dei loro incarici accademici e istituzionali e il loro principale esponente, Vavilov (uno studioso di grande levatura internazionale) addirittura arrestato, rinchiuso in un carcere siberiano nel quale morì.
L´eco del terremoto che aveva investito le istituzioni scientifiche russe si propagò in Europa, suscitando l´indignazione e la protesta di molti scienziati di alto livello, anche tra quelli che aderivano apertamente al marxismo o ai rispettivi partiti comunisti: John Haldane in Inghilterra, Jacquel Monod (premio Nobel) per la Francia, Adriano Buzzati Traverso in Italia.
Inserito negli sviluppi anche ideali della guerra fredda, il «caso Lysenko» fornì l´opportunità per una campagna - robustamente incoraggiata dagli Stati Uniti - di condanna dell´Unione Sovietica e dei rozzi metodi staliniani, della violenta intrusione della politica nella ricerca scientifica. Un tema vissuto meno drammaticamente nel nostro paese, dove forse risentiva di una certa indifferenza degli intellettuali del Pci nei confronti di un dibattito che investiva lo stesso metodo scientifico, forse per la tradizionale egemonia - anche in buona parte del comunismo italiano - della cultura letteraria rispetto a quella scientifica. Un distacco di cui si fece portavoce anche uno degli scrittori più acuti e sensibili del nostro paese, Italo Calvino, che nel dicembre ‘48, scriveva su L´Unità piemontese: «In un paese socialista il progresso della cultura non è staccato dal progresso comune di tutta la società. Bisogna che lo scienziato non si proponga la scienza per la scienza. Il primo criterio deve essere serve o non serve allo sviluppo della rivoluzione».
Insomma, la propaganda sovietica aveva trasformato le ipotesi ben poco scientifiche del furbo agronomo ucraino nel paradigma della cultura socialista. Al punto che il poeta francese Aragon firmò l´introduzione a un pamphlet edito dal Partito Comunista francese dedicato alla esaltazione di Lysenko e dei suoi metodi. Nonostante l´opposizione e le messe in guardia di parecchi scienziati europei, buona parte dell´intellighentzia era convinta che come la Rivoluzione d´Ottobre aveva aperto una nuova fase nella storia umana, così la cultura che esprimeva doveva rappresentare una svolta radicale in ogni campo: lì, nelle immense distese russe, nasceva una nuova società, un uomo nuovo, «l´uomo sovietico», libero dallo sfruttamento e dai condizionamenti di classe e dall´individualismo egoistico borghese che non poteva non produrre una nuova cultura, un nuovo rapporto con la natura, nuovi rapporti umani e quindi anche una scienza nuova.
Invano, anche in Italia, alcuni scienziati pure legati al Partito Comunista, come Massimo Aloisi, cercarono di contrastare l´esaltazione acritica di Lysenko e giustificare l´ostracismo contro la genetica: contro di loro c´era l´autorità di Emilio Sereni, responsabile della commissione culturale del Pci, uomo di cultura enciclopedica e di grande intelligenza, che cercò invano di convincere l´editore Giulio Einaudi, a far tradurre e pubblicare le relazioni lisenkiane o anche il pamphlet francese prefato da Aragon. Il fiuto culturale di Einaudi e la critica di Aloisi e di altri oppositori riuscirono a impedire una operazione, la cui unica giustificazione era che «tutto ciò che viene dall´Urss è giusto e va difeso» anche se si è convinti che si tratti di una mistificazione
Sessant'anni fa nascevano le teorie di Lysenko un saggio ne ricostruisce i terribili effetti
Quando Stalin riscrisse la genetica e la scienza
di Franco Prattico
Le tesi di Mendel furono cassate perché contrarie al marxismo. E chi le sosteneva fu perseguitato E anche il Pci si allineò
Buzzati Traverso contestò i sovietici Calvino esaltò l´Urss e i progressi della cultura
Aragon scrisse una prefazione in cui si magnificavano i metodi dei ricercatori
La rivoluzione era cominciata quando, il 7 agosto 1948, un oscuro agronomo ucraino, Trofim Lysenko, annunziò nel corso di una importante assise scientifica sovietica: «Il Comitato Centrale del Partito Comunista dell´Unione Sovietica ha esaminato la mia relazione e l´ha approvata». Era la campana a morte per la genetica sovietica, che fino a quel momento era in piena fioritura ed era conosciuta e rispettata in tutto il mondo scientifico, dove ormai trionfava, sulla base di incontestabili evidenze, la teoria di Mendel che attribuisce ai geni, alle minuscole unità discrete contenute nei cromosomi di tutti gli esseri viventi, la responsabilità della trasmissione ereditaria dei caratteri fenotipici. Una teoria, suffragata da migliaia di rigorosi esperimenti, che coniugata con l´evoluzione darwiniana costituisce tuttora il fondamento stesso della biologia moderna e che ha assicurato uno straordinario passo avanti nella comprensione della vita e anche della medicina. E che, sulla base di questi risultati, ha spazzato via definitivamente l´ipotesi, elaborata nel ‘700 dal grande zoologo francese Jean Baptiste Lamarck, della «trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti», che attribuiva le trasformazioni del mondo vivente (animale e vegetale) alla trasmissione ai discendenti dei caratteri acquisiti da ogni individuo nel corso della sua esistenza per meglio adattarsi al suo ambiente, dal lunghissimo collo delle giraffe, frutto dello sforzo individuale di raggiungere le foglie dei rami più alti, agli artigli dei predatori: i caratteri di ogni specie - e quindi il motore dell´evoluzione, delle trasformazioni che nel corso dei millenni hanno dato vita alle nuove specie - erano quindi per Lamarck e i lamarckiani il prodotto delle trasformazioni di ogni individuo nell´adattarsi al suo ambiente.
La scoperta che alla base dell´eredità c´erano i «geni» e che l´agente delle mutazioni erano le casuali mutazioni nelle basi della lunga catena molecolare del Dna, evidenziate dalla selezione naturale secondo la loro maggiore o minore «fitness», aveva definitivamente mandato in soffitta le ipotesi lamarckiane. Un meccanismo, quello mendeliano, che, introducendo la casualità delle mutazioni puntiformi e riducendo alla selezione naturale i motori dell´evoluzione, appariva (a Stalin e agli ortodossi interpreti del materialismo dialettico di Engels) in contrasto con uno dei canoni del marxismo e quindi con la convinzione che fosse l´ambiente a determinare l´evolversi delle trasformazioni del mondo vivente, nel caso degli esseri umani l´ambiente economico e sociale che, radicalmente trasformato dalla Rivoluzione d´Ottobre, non poteva che dar luogo «all´uomo nuovo sovietico». In più si insinuava che la teoria cromosomica avvalorasse teorie eugenetiche (care ai nazisti, fautori della «razza pura») e quindi fosse non solo sbagliata, ma anche idealistica, borghese, reazionaria e - perché no? - immorale.
Su questa base si innestò, nel secondo dopoguerra, una feroce polemica che non solo ebbe in Unione Sovietica esiti tragici, ma determinò una dura crisi anche tra gli intellettuali europei che avevano aderito al comunismo e alle idee del «socialismo scientifico». A questo tema è dedicato un appassionante libro dello storico della scienza Francesco Cannata (Le due scienze. Il caso Lysenko in Italia Bollati Boringhieri, pagg. 290, euro 28), una puntigliosa e illuminante analisi del «caso Lysenko», e degli effetti che si intrecciarono almeno in Europa con gli sviluppi della guerra fredda.
L´incoronazione staliniana delle idee lamarckiane di Lysenko costituirono, allora, lo scalino che consentì all´agronomo ucraino di iniziare una lunga scalata ai vertici delle istituzioni scientifiche sovietiche condotta con l´astuta intuizione delle preferenze del dittatore russo e che portò all´ostracismo della genetica russa e alla persecuzione degli scienziati che la praticavano. In effetti, alcune innovazioni sostenute da Lysenko aveva registrato qualche successo iniziale e ciò gli diede l´autorità per partire nella sua crociata contro gli esponenti della genetica russa. Lysenko promise che in base ai suoi metodi l´agricoltura sovietica guidata dagli «scienziati scalzi» che seguivano il suo metodo, fondato non sulle astratte teorie della «scienza borghese», ma sulla pratica contadina, avrebbe trasformato le immense steppe in giardini fioriti. La genetica russa e i suoi cultori si trovarono esposti all´accusa - micidiale, in quel contesto - di essere quinte colonne della borghesia capitalista e nemici dello stato sovietico: molti scienziati furono marginalizzati, privati dei loro incarici accademici e istituzionali e il loro principale esponente, Vavilov (uno studioso di grande levatura internazionale) addirittura arrestato, rinchiuso in un carcere siberiano nel quale morì.
L´eco del terremoto che aveva investito le istituzioni scientifiche russe si propagò in Europa, suscitando l´indignazione e la protesta di molti scienziati di alto livello, anche tra quelli che aderivano apertamente al marxismo o ai rispettivi partiti comunisti: John Haldane in Inghilterra, Jacquel Monod (premio Nobel) per la Francia, Adriano Buzzati Traverso in Italia.
Inserito negli sviluppi anche ideali della guerra fredda, il «caso Lysenko» fornì l´opportunità per una campagna - robustamente incoraggiata dagli Stati Uniti - di condanna dell´Unione Sovietica e dei rozzi metodi staliniani, della violenta intrusione della politica nella ricerca scientifica. Un tema vissuto meno drammaticamente nel nostro paese, dove forse risentiva di una certa indifferenza degli intellettuali del Pci nei confronti di un dibattito che investiva lo stesso metodo scientifico, forse per la tradizionale egemonia - anche in buona parte del comunismo italiano - della cultura letteraria rispetto a quella scientifica. Un distacco di cui si fece portavoce anche uno degli scrittori più acuti e sensibili del nostro paese, Italo Calvino, che nel dicembre ‘48, scriveva su L´Unità piemontese: «In un paese socialista il progresso della cultura non è staccato dal progresso comune di tutta la società. Bisogna che lo scienziato non si proponga la scienza per la scienza. Il primo criterio deve essere serve o non serve allo sviluppo della rivoluzione».
Insomma, la propaganda sovietica aveva trasformato le ipotesi ben poco scientifiche del furbo agronomo ucraino nel paradigma della cultura socialista. Al punto che il poeta francese Aragon firmò l´introduzione a un pamphlet edito dal Partito Comunista francese dedicato alla esaltazione di Lysenko e dei suoi metodi. Nonostante l´opposizione e le messe in guardia di parecchi scienziati europei, buona parte dell´intellighentzia era convinta che come la Rivoluzione d´Ottobre aveva aperto una nuova fase nella storia umana, così la cultura che esprimeva doveva rappresentare una svolta radicale in ogni campo: lì, nelle immense distese russe, nasceva una nuova società, un uomo nuovo, «l´uomo sovietico», libero dallo sfruttamento e dai condizionamenti di classe e dall´individualismo egoistico borghese che non poteva non produrre una nuova cultura, un nuovo rapporto con la natura, nuovi rapporti umani e quindi anche una scienza nuova.
Invano, anche in Italia, alcuni scienziati pure legati al Partito Comunista, come Massimo Aloisi, cercarono di contrastare l´esaltazione acritica di Lysenko e giustificare l´ostracismo contro la genetica: contro di loro c´era l´autorità di Emilio Sereni, responsabile della commissione culturale del Pci, uomo di cultura enciclopedica e di grande intelligenza, che cercò invano di convincere l´editore Giulio Einaudi, a far tradurre e pubblicare le relazioni lisenkiane o anche il pamphlet francese prefato da Aragon. Il fiuto culturale di Einaudi e la critica di Aloisi e di altri oppositori riuscirono a impedire una operazione, la cui unica giustificazione era che «tutto ciò che viene dall´Urss è giusto e va difeso» anche se si è convinti che si tratti di una mistificazione
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