Chi sono i padroni del paesaggio

Chi sono i padroni del paesaggio
La Repubblica del 28 gennaio 2008, pag. 1

di Giovanni Valentini

A chi appartiene il pae­saggio? Chi è illegittimo "proprietario" del terri­torio, cioè di quel patrimonio costituito nel tempo dalla na­tura e dalla storia? Le popola­zioni che lo abitano oppure l'intera nazione?



Di fronte allo scempio del Belpaese, consu­mato dalla distruzione dell'ambiente, dalla cementificazione selvaggia, da­gli abusi edilizi, dall'inquina­mento dell'aria e dell'acqua, la tutela del paesaggio assume un valore culturale determinante perla difesa della nostra identità collettiva. E nel pieno dell'emer­genza rifiuti che sta deturpando agli occhi del mondo l'immagine di Napoli, della Campania e purtroppo di tutta l'Italia, di­venta una priorità nazionale per salvaguardare - oltre alla salute pubblica anche gli interessi sociali ed economici dei cittadini, delle generazioni presenti e di quelle future.



La riforma del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio predi­sposta dal ministro Francesco Rutelli e varata in extremis dal governo uscente, a quattro anni dalla legge-delega dell'ex ministro Giuliano Urbani, rappre­senta perciò un'occasione deci­siva per segnare una svolta nella vita della nostra collettività. Può essere, insomma, l'inizio di una rifondazione ecologica del Pae­se, la prima pietra di una "nuova Italia", più ordinata, più pulita e dunque più vivibile. Se le Commissioni parlamentari a cui spetta ratificare entro tre mesi i 184 articoli del decreto legislati­vo avranno la capacità di approvarlo integralmente, magari al di là della logica degli schiera­menti contrapposti, forse potrà partire proprio da qui un mo­derno "rinascimento" civile o quantomeno una fase virtuosa nella gestione dell'ambiente, inteso nel senso più largo come sistema di relazioni con la natu­ra e con il prossimo.



Fondato sull'articolo 9 della Costituzione, in cui si sancisce in modo solenne che la Repub­blica "tutela il paesaggio e il pa­trimonio storico e artistico della Nazione", il Codice interviene opportunamente sul nodo dei rapporti tra governo centrale ed enti locali, per riportare questa responsabilità nell'ambito di una visione più generale. Si ri­duce cosi un eccesso di delega che, in questo come in altri cam­pi, ha prodotto una sovrapposi­zione e frammentazione di po­teri decisionali tra Regioni, Pro­vince e Comuni, spesso a danno della trasparenza, della legalità e soprattutto dell'interesse col­lettivo. Se la salvaguardia del la­go di Garda coinvolge contemporaneamente la Lombardia, il Veneto e il Trentino; o quella del lago Trasimeno riguarda la To­scana e l'Umbria; se l'infausto progetto dell'autostrada della Maremma attraversa (speriamo solo sulla carta) la Toscana e il Lazio; se la difesa della Sila, del Pollino o delle Murge chiama in causa la Calabria, la Basilicata e la Puglia, evidentemente l'unica autorità in grado di provvedere adeguatamente è proprio quel­la statale come punto di riferi­mento e di mediazione.



Al contrario, un malinteso fe­deralismo può solo alimentare gli egoismi e i particolarismi, disgregando ulteriormente il ter­ritorio, il paesaggio e il tessuto civile del Paese. Dall'ambiente al fisco, passando per la scuola, la sanità e la spazzatura, l'auto­nomia delle amministrazioni locali non deve confliggere con una politica organica di pro­grammazione e di solidarietà. Il federalismo, d'altronde, nasce storicamente per unire e non per dividere, serve per crescere e non per regredire.



Elaborata da una commissione speciale che ha lavorato per un anno e due mesi, sotto l'autorevole presidenza del professor Salvatore Settis, la riscrittura del Codice è stata avallata in corso d'opera dalla stessa Corte costi­tuzionale, con un'importante sentenza del novembre scorso (n.367/2007). La tutela del pae­saggio, come ha ribadito la Con­sulta, costituisce un valore pri­mario e assoluto. E perciò, rien­tra nella competenza "esclusi­va" dello Stato, precedendo e limitando il governo del territorio attribuito agli enti locali.



Da qui, appunto, l'obbligo di elaborare i piani paesaggistici con una pianificazione con­giunta fra Stato e Regioni. In questo iter amministrativo, è previsto poi il parere vincolante delle Sovrintendenze su qualsiasi intervento urbanistico o paesaggistico che incida su territori vincolati. Mentre la sub­delega dalle Regioni ai Comuni, per i piani e le licenze edilizie, è subordinata all'istituzione di uffici con competenze specifi­che.



Un'altra rilevante novità con­tenuta nel Codice riguarda il potere attribuito al ministero dei Beni e delle Attività culturali di apporre vincoli paesaggistici "ex novo". Al momento, il terri­torio italiano è già protetto per il 47% dell'estensione complessi­va. Ma la sua particolare confi­gurazione, prodotta storica­mente dall'intreccio fra la natura e la mano dell'uomo, richiede in effetti un'ulteriore tutela per salvaguardarne la straordinaria identità: con ottomila nuclei storici, il nostro è — come si dice in linguaggio tecnico - il Paese più "antropizzato" del mondo. Sono numerosi e frequenti, tut­tavia, i casi in cui l'urbanizzazio-ne provoca un "consumo del territorio" senza incorrere formalmente nell'abusivismo, producendo costruzioni legali con tanto di autorizzazioni e li­cenze edilizie in quelle che Ru­telli definisce le "aree grigie". E a parte alcune iniziative esempla­ri, come quella che ha ridimen­sionato in corso d'opera la "villettopoli" di Monticchiello in Val d'Orcia, gli interventi postu­mi risultano comunque più li­mitati e laboriosi. Carte bollate alla mano, non sempre si riesce ad abbattere gli ecomostri che proliferano da Nord a Sud, sul­l'esempio di quello che s'è fatto a Punta Perotti, sul lungomare di Bari.


Il paesaggio appartiene dun­que a tutti. Non è né di destra né di sinistra. È una grande risorsa collettiva, ambientale e anche economica, da cui dipendono la salute dei cittadini, lo sviluppo del turismo e la stessa occupa­zione del settore, oltre all'iden­tità e all'immagine del Paese. C'è da auspicare perciò che, no­nostante le convulsioni della politica nazionale, la riforma del Codice venga approvata in tem­po utile, quale che sia il governo in carica e la maggioranza parlamentare che lo sostiene.

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