Tura e del Cossa, la grande gara per dare splendore agli Este

Corriere della Sera 23.9.07
Tura e del Cossa, la grande gara per dare splendore agli Este
Attorno ai due protagonisti, i tesori dell'«Officina ferrarese»
di Francesca Montorfano

Monumentale il primo, immaginifico il secondo. E in quell'ambiente cosmopolita, la terza star fu de' Roberti

Il portamento fiero, lo sguardo diretto e limpido, l'incisività del tratto. Poche altre immagini come il celeberrimo «Ritratto d'uomo» dipinto da Francesco del Cossa negli anni Settanta del Quattrocento possono testimoniare tutta la vivacità del fermento artistico e culturale che Ferrara stava vivendo in quei tempi e che avrebbe fatto della splendida corte estense una protagonista di primo piano dell'arte europea. Ma la strada verso il successo era stata lunga per l'artista. Tanti erano i maestri con cui aveva dovuto confrontarsi, tenuti in grande stima dalla corte. E non si trattava solo di Pisanello, Van der Weyden, Jacopo Bellini o Andrea Mantegna, per quanto celebratissimi, ma di quel Cosmè Tura, ferrarese a cui Borso aveva affidato la decorazione dello Studiolo di Belfiore, consacrandolo ancora giovane tra i pittori più noti di area padana.
Ma è proprio dall'antagonismo tra i due, o meglio dai differenti apporti del loro stile e dei loro modelli artistici, che nascerà un nuovo, stupefacente codice espressivo. Un linguaggio fantasioso e ricercato, eccentrico e ornato, che ben presto diventerà la cifra distintiva dell'arte rinascimentale ferrarese e che la grande mostra aperta dal 23 settembre nelle due sedi di Palazzo dei Diamanti e Palazzo Schifanoia, si propone di ricostruire nella sua magnificenza.
«Sicuramente Borso d'Este era preoccupato più della sua immagine che delle arti, considerate come strumenti politici finalizzati a magnificare la sua persona. Ma non va dimenticato che i vent'anni del suo governo, dal 1450 al 1471, hanno portato alla realizzazione di capolavori straordinari», precisa Mauro Natale, curatore della mostra.
«La pittura ferrarese- aggiunge- ha avuto una triste sorte. Dopo l'allontanamento degli Este alla fine del XVI secolo, molte delle opere più importanti sono state smembrate e acquistate da collezionisti e musei di tutto il mondo. E' questa la prima volta dalla grande mostra del '33 che si possono vedere riuniti anche dipinti frammentati o dispersi, ripercorrendo la parabola artistica di quella che gli storici hanno chiamato "età dell'oro" della corte estense».
Le premesse di tale rivoluzione espressiva sono da ricercarsi nel decennio che precede l'avvento di Borso. Ed è per questo che la rassegna si apre con l'evocazione del clima cosmopolita della Ferrara di Lionello e le opere dei maestri del gotico che tanta influenza ebbero sui gusti della corte, come dimostra quel San Girolamo di Bono da Ferrara così incredibilmente simile ai modi di Pisanello. Oltre 150 sono le opere in mostra, tra dipinti, sculture, miniature, disegni, medaglie, oreficerie e tessuti. Una ricchezza di tecniche e materiali ben illustrata nella sezione dedicata a quella che Roberto Longhi definì «Officina ferrarese», dove una posizione di rilievo spetta ai messali, ai libri d'ore, alle tavole astrologiche che Giorgio d'Alemagna e Taddeo Crivelli mirabilmente impreziosirono, fondendo il gusto decorativo tardogotico con le forme geometriche e luminose del Rinascimento. Ma la chiave di lettura che la mostra propone è un'altra ancora. Sottolineare i contributi che al nuovo codice espressivo diedero Cosmè Tura e Francesco del Cossa, artisti diversi per formazione e temperamento. Pittore di corte, interprete esclusivo degli ambiziosi progetti estensi Tura, che a parte un soggiorno giovanile a Padova non lascerà Ferrara. La sua formazione non sarà tuttavia provinciale, come documenta la deliziosa «Madonna col Bambino » della National Gallery di Londra legata alla cultura gotica o lo strepitoso capolavoro della Pietà di Venezia, dove il linguaggio dell'artista si aprirà alla lezione di Mantegna e dell'arte fiamminga. Sarà poi il Polittico di San Giacomo, qui ricostruito nelle sue tre parti, a testimoniare l'evoluzione in senso monumentale della sua pittura. Un percorso più diversificato, arricchito da importanti esperienze in terra fiorentina e bolognese, compie invece Francesco del Cossa, che nella sua scrittura asciutta, prospettica, felicemente cromatica, evidenzierà la conoscenza delle composizioni solari e volumetriche del Rinascimento toscano, come nell'intensa Pietà di Parigi restaurata per l'evento. Un'altra impresa dovrà ancora affrontare il pittore, raggiungendo i vertici della sua arte potente e immaginifica: la decorazione di uno dei cicli più affascinanti del Rinascimento, quello del Salone dei Mesi a Schifanoia che vedrà l'entrata in scena di Ercole de' Roberti, terzo grande protagonista della stagione e a cui lunghi restauri hanno oggi restituito piena leggibilità. Sarà questa l'ultimo eccesso, l'ultima «pazzia» della grandeur estense.

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